Ieri la commissione Bilancio della Camera ha approvato gli emendamenti alla legge di stabilità 2013, che sarà adesso discussa in Aula. Le critiche ricevute nelle ultime due settimane hanno indotto il governo a negoziare diversi cambiamenti. I partiti hanno cercato di vendere come “decisive” tali modifiche, per ovvi fini elettorali. Così, attraverso giornali e Tv, è partito un tam-tam bipartisan che ha sostanzialmente trasmesso il messaggio di un dietrofront del governo (il governo tecnico cattivo indotto alla ragione dai partiti politici buoni, in sostanza).

In effetti, gli aspetti più regressivi della legge di stabilità sono stati opportunamente mitigati, e di questo va dato atto a governo e partiti che hanno accolto alcune richieste provenienti dalla società civile (per una sintesi dei cambiamenti, si veda il dossier su Pmi.it).

Scompaiono, per ora, l’aumento dell’Iva dal 10 all’11%, la franchigia di 250 euro per gli oneri deducibili, e il tetto dei 3mila euro delle spese detraibili. Viene così evitato un danno pesante al reddito disponibile delle classi meno abbienti. Inoltre, le organizzazioni della società civile tirano un sospiro di sollievo, poiché i limiti alla detraibilità sarebbero stati applicati anche alle donazioni, che costituiscono una delle maggiori fonti di finanziamento del terzo settore.

Tuttavia i consumatori rimangono penalizzati in modo punitivo
dalla legge, diversamente dalle imprese, che vengono avvantaggiate.

Viene annullata la riduzione di un punto percentuale delle aliquote Irpef. Ma soprattutto si conferma l’aumento dell’Iva ordinaria dal 21 al 22%. L’Iva è una tassa “regressiva”: poiché tutti sono tenuti a pagarla in ugual misura, indipendentemente dalla loro capacità contributiva, la tassa è più onerosa per i poveri e implica una redistribuzione del reddito a favore dei più ricchi.
Sul fronte della spesa, i tagli al welfare sono confermati, e si tradurranno rapidamente in una diminuzione dei posti letto negli ospedali e della fornitura di una serie di servizi pubblici, specie quelli sanitari.

Inoltre, l’aumento dell’Iva sui servizi forniti dalle cooperative sociali (dal 4% al 10%) è soltanto rinviato al 2014. Tale aumento è fortemente regressivo, perché colpisce duramente alcune delle categorie più fragili della popolazione, già soggette a gravi rischi di emarginazione sociale.

Parte delle risorse “liberate” con la mancata riduzione dell’Irpef o raccolte ex novo con l’aumento dell’Iva saranno utilizzate per attenuare temporaneamente la pressione fiscale sulle imprese, attraverso un aumento delle deduzioni della base imponibile Irap (l’imposta sulle attività produttive o commerciali) legate alle assunzioni di personale dipendente a tempo indeterminato.

Inoltre, le imprese più piccole e i professionisti che non si avvalgono di lavoratori dipendenti saranno esentati dal pagamento dell’imposta nel biennio 2014-15.

Anche questi ultimi provvedimenti potrebbero avere effetti regressivi, dal momento che favoriscono contribuenti generalmente dotati di una maggiore capacità contributiva. Ma sono quanto mai opportuni, perché concedono respiro alle piccole e medie imprese soffocate dalla crisi, stimolano le attività produttive e tentano attivamente di contrastare disoccupazione e precarietà.

Le conseguenze distributive della legge di stabilità dovranno certamente essere sottoposte a valutazioni più approfondite, soprattutto dopo l’approvazione del testo definitivo in Parlamento. Nel frattempo, la sensazione è che le modifiche apportate dalla commissione bilancio non siano in grado di intaccare la natura regressiva della manovra.

Il governo (e i partiti che lo sostengono) sembrano quindi perpetuare la redistribuzione di risorse dai ceti deboli alle classi più abbienti in atto già da tanti anni in questo paese. La speranza di Monti è aggiustare rapidamente i conti pubblici e, probabilmente, rilanciare la crescita, sia stimolando le attività produttive sia migliorando la competitività internazionale dei nostri prodotti attraverso il controllo dell’inflazione.

Il problema è che tale strategia non è più sostenibile sul piano sociale. Tempo fa abbiamo suggerito che per racimolare risorse sarebbe opportuno tagliare qualche F-35, per cominciare. È una provocazione che può sembrare demagogica, al pari delle richieste di tagliare i “costi della politica”, dato che gli importi sono risibili rispetto alle necessità dello Stato e alle cifre che si possono raccogliere “razionalizzando” il welfare o tartassando i cittadini facilmente tracciabili.

Ma non è demagogia: come spiega Joseph Stiglitz (uno dei più autorevoli studiosi di economia pubblica, vincitore del premio Nobel nel 2001), un sistema tributario percepito come iniquo dalla popolazione distrugge coesione sociale. Che è la risorsa di cui più abbiamo bisogno per affrontare lo sforzo collettivo richiesto dalla crisi.

Le piazze in fiamme sono la testimonianza più triste ed efficace che in Italia la coesione sociale è ormai ridotta ai minimi termini. E la situazione non può che peggiorare, se la politica economica continuerà a penalizzare sempre e solo i consumatori.

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