L’Aula del Senato ha bocciato la questione sospensiva presentata dal Pd al ddl diffamazione. A favore della sospensione si sono pronunciati Idv, Udc e Api. Nell’occasione, contro la sospensiva, si è di nuovo composta la “vecchia” maggioranza, Pdl più Lega Nord e Coesione Nazionale (gli ex Responsabili) che hanno votato contro. Il capogruppo del Popolo delle Libertà Maurizio Gasparri difende soprattutto la norma “salva-direttori” presentata dal relatore Filippo Berselli. “In fondo l’emendamento dice solo che se il direttore è l’autore dell’articolo anche per lui ci sarà il carcere. Ma se non lo ha scritto e ha solo omesso di vigilare, per lui scatterà la multa”, sintetizza Gasparri. “Evitiamo – ha aggiunto – che il carcere colpisca qualcuno e che si dica poi che il Parlamento non è stato in grado di legiferare anche di fronte ad un caso concreto”. Quasi stizzito il presidente del Senato Renato Schifani: “Sta diventando una telenovela”.
La protesta, però, arriva fuori dal Parlamento e la Federazione della Stampa minaccia lo sciopero: “Uno sforzo di solidarietà straordinario per uno sciopero lunedì contro l’ultimo pasticcio giuridico sulla diffamazione” chiede il segretario Fnsi Franco Siddi. “La decisione sarà formalizzata domani alla luce di quanto farà il Senato”. Siddi, d’intesa con il presidente dell’Ordine Enzo Iacopino, ha spiegato che, “non essendoci le condizioni per rispettare i 10 giorni di preavviso per il servizio pubblico”, il sindacato “è pronto a pagare le multe”.
Pd e Idv votano contro la calendarizzazione: “E’ la prima volta in 7 anni che si lavora di lunedì”
Era stata la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro a illustrare la sospensiva, necessaria perché la legge sulla diffamazione è scritta grazie ad “effimere maggioranze, spinte da pulsioni emotive”. “Il testo che stiamo producendo è un testo sbagliato, una legge Frankenstein come ho avuto già modo di definirla – ha spiegato – Per questo io penso che questo provvedimento vada messo da parte e per questo abbiamo presentato la richiesta di sospensiva”. “Sappiamo bene – ha sottolineato la capogruppo – che questo testo non corrisponde alla volontà dell’Aula ma è condizionato da questioni emotive. Volevamo un provvedimento che conciliasse valori costituzionali fondamentali come la libertà di stampa e la dignità e la tutela dei cittadini. Avevamo lavorato a un testo condiviso che non prevedeva la pena detentiva che invece persiste per un colpo di mano di alcuni gruppi contrariamente a quanto invece espresso dalla maggioranza dell’Aula”. “Io credo che anche l’emendamento Berselli, che pure viene presentato come un tentativo di aggiustamento – ha proseguito Finocchiaro – sia errato: sia perché in ogni caso prevede ancora per alcuni casi la pena detentiva, sia perché è cucito addosso a un caso giudiziario singolo. Volevamo scongiurare questo pericolo e non ci siamo riusciti. Non possiamo aspettarci niente di buono da questa discussione, dovremmo ripercorrere il calvario delle molte questioni. Siamo ormai di fronte ad un testo ‘irredimibile’ dal momento che è stato introdotto il carcere per i giornalisti”.
L’Aula si riunirà lunedì e sul punto la Finocchiaro salta sulla sedia: “E’ da sette anni che presiedo il gruppo parlamentare al Senato e sono sette anni che chiedo che l’Aula lavori anche di lunedì. Senza alcun risultato. Ora, invece, per il ddl Sallusti, l’Aula si riunirà. E’ davvero incredibile”.
Pd e Idv non hanno votato il calendario d’aula di Palazzo Madama, che deciso dalla conferenza della capigruppo, prevede anche l’esame del provvedimento. “La delega fiscale merita altro rilievo di quello da scantinato in cui è stata relegata – attacca Finocchiaro – e il Parlamento deve convertire il dl sullo sviluppo e la crescita su cui gravano 1200 emendamenti. Si devono stabilire delle priorità” che sono altre rispetto “al mostro che stiamo partorendo”.
“L’accanimento terapeutico è fuori luogo – le fa eco l’Idv Luigi Li Gotti – nessuna legge arriverà mai in tempo per evitare al direttore Sallusti il carcere o la misura alternativa che la procura generale d’ufficio potrà concedere. Non serve al caso e con i nuovi emendamenti state creando un ginepraio che sottovalutate. State creando un mostro giuridico e perdendo tempo sapendo che la legislatura è agli sgoccioli”.
Rutelli propone il registro degli pseudonimi
Intanto Rutelli continua la sua battaglia sul tema. L’Api oggi ha depositato due emendamenti per modificare il disegno di legge: “Prevedere l’istituzione obbligatoria di un registro degli autori di articoli anonimi o con pseudonimo“. Con il primo si interviene sulla parte che riguarda il concorso di reato e si stabilisce che il direttore o il vicedirettore “che, senza avere concorso all’ideazione o alla redazione di qualsiasi altrui articolo pubblicato sul giornale o sul periodico da lui diretto, ne abbia solo deciso la pubblicazione, è punito per il reato di cui al comma precedente con la multa da 5.000 a 50.000 euro tenuto conto della gravita’ dell’offesa e della diffusione dello stampato”. Quanto al registro degli articoli anonimi o con pseudonimo, si chiede che: “Presso la redazione di ogni giornale o periodico deve essere istituito un registro in cui indicare il titolo delle pubblicazioni anonime o firmate con pseudonimo, la data della loro pubblicazione, il loro autore. Il registro deve essere immediatamente consegnato all’autorità giudiziaria che ne faccia richiesta senza che sia opponibile il segreto professionale”. Quindi si stabilisce che “salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione, il direttore o il vice direttore responsabile o altra persona da loro delegata con atto scritto il quale omette di istituire il registro di cui al comma 1-ter, se un reato è commesso con la pubblicazione anonima o sotto pseudonimo, è punito con le pene per tale reato stabilite. Se il fatto e’ dovuto a colpa le pene sono diminuite fino ad un terzo”.
Quanto all’irregolare tenuta del registro, “salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione, il direttore o il vice direttore responsabile o altra persona da loro delegata con atto scritto alla tenuta del registro il quale omette di inserire le annotazioni prescritte dalla legge ovvero le inserisce in modo incompleto o contrario al vero, se un reato è commesso con la pubblicazione anonima o sotto pseudonimo, è punito con le pene stabilite per tale reato. Se il fatto è dovuto a colpa le pene sono diminuite fino ad un terzo”.
Farina a tempo scaduto: “Il giudice mi quereli, così salviamo Sallusti”
Infine c’è Renato Farina, in buona parte causa prima di tutto il polverone prima giudiziario e ora politico, che si è ricordato di avere buoni motivi per intervenire solo ora, quando Sallusti è a un passo dal carcere. “Il giudice che ha querelato Sallusti ora quereli me e si potrà avviare una procedura di revocazione del giudicato che potrà evitare la galera al direttore de Il Giornale” ha spiegato durante una conferenza stampa a Montecitorio.
Farina ha spiegato di essersi denunciato lo scorso 3 ottobre presso i carabinieri di Desio di essere lui l’articolo che ha causato la denuncia arrivata dal giudice Giuseppe Cocilovo che potrebbe costare la galera a Sallusti e di aver notificato il tutto al magistrato con una raccomandata. All’epoca scriveva sotto pseudonimo perché era stato sospeso dall’Ordine dai giornalisti per aver preso soldi dai servizi segreti italiani con i quali collaborava.
“Quel giudice può sbloccare con la sua iniziativa la questione perché solo a fronte di una sua querela nei miei confronti si potrebbe avviare il processo di revocazione visto che al sentenza della Cassazione attribuisce a Sallusti la paternità dell’articolo”, ha detto il deputato. Farina anche ha spiegato di aver più volte cercato di parlare con Sallusti per spiegargli la sua “totale disponibilità” a risolvere la questione ma di non aver avuto risposta dal direttore: “So che dice che io porto jella; vorrà dire che mi farò dare la patente e andrò in giro con gli occhiali scuri,come nella novella di Pirandello” ha commentato con ironia chiarendo anche che questa sua iniziativa non vuole entrare in contrasto con la scelta di Sallusti di far diventare questa sulla diffamazione che porta in galera i direttori “una battaglia di civiltà”.