L’arrivo sulla scena degli sceriffi del fisco tedesco, che ha di fatto raddoppiato, portandole anche oltre confine, le inchieste per evasione fiscale a carico della gestione di Unicredit da parte di Alessandro Profumo, capita in un momento piuttosto delicato per il banchiere genovese. E non solo perché proprio nei giorni scorsi si è aperto il processo per il caso Brontos, quello per cui Unicredit la scorsa estate ha raggiunto un accordo transattivo da 246 milioni di euro. La vicenda, infatti, è venuta alla luce proprio mentre il ministro del Tesoro, Vittorio Grilli e il premier Mario Monti, a Bruxelles stanno trattando sul filo del tempo per avere entro fine anno il via libera agli aiuti di Stato da dare al Monte Paschi di Siena, banca sull’orlo del collasso di cui Profumo è diventato presidente la scorsa primavera.
E la vicenda è in continua evoluzione, non propriamente positiva. Proprio ieri, infatti, mentre la Guardia di Finanza della Merkel perquisiva la controllata tedesca di Unicredit per operazioni sospette risalenti agli anni nei quali alla guida del gruppo c’era il banchiere genovese, da Siena è arrivata la richiesta di altri 500 milioni di euro di aiuti da aggiungere ai previsti 3,4 miliardi. L’incremento di mezzo miliardo che porta il totale della richiesta a 3,9 miliardi di euro è stato motivato “dai possibili impatti patrimoniali derivanti dagli esiti dell’analisi in corso di talune operazioni strutturate poste in essere in esercizi precedenti”. Il riferimento è ai 25 miliardi di Btp che la banca ha comprato a debito tra il 2009 e il 2010, gestione Giuseppe Mussari in questo caso, ma sui quali sta guadagnando molto meno del previsto per un errore nella scelta della copertura dal rischio del rialzo dei tassi.
Errore che si è aggiunto all’infelice acquisizione di Banca Antonveneta per la ragguardevole somma di 10,3 miliardi di euro decisa nel 2007 sempre dalla gestione dell’attuale presidente della Confindustria delle banche, l’Abi. E così la posta in gioco a Bruxelles sale ancora. “Non faccio commenti sulla decisione. Un reazione arriverà solo quando avrò l’opportunità di analizzarla”, ha detto ieri il commissario Ue alla concorrenza Joaquin Almunia, sul cui tavolo si sta svolgendo la trattativa con il governo italiano che deve arrivare a un punto entro il 28 dicembre. Ma trovare il punto d’incontro non sembra facile.
I tecnici di Bruxelles, infatti, contestano al Governo Monti le clausole del decreto estivo con era stato dato il via libera agli aiuti a Siena sotto forma di Monti bond, cioè emissioni obbligazionarie della banca totalmente a carico del Tesoro. Se la banca non avrà utili per pagare gli interessi, come sembra probabile visto l’andamento dei conti di Mps, lo Stato verrà rimborsato in titoli dell’istituto. Ma le modalità di calcolo del valore delle azioni prevista da Monti e Grilli, secondo le regole comunitarie si prefigurerebbe come una violazione della concorrenza perché implicherebbe il pagamento da parte del Tesoro di una specie di “premio” per salvare la banca in contrasto con le più recenti regole europee sugli aiuti di Stato alle banche indicate dalla Commissione, che chiede ai Paesi membri di limitare gli interventi “al minimo necessario” e di evitare appunto “indebite distorsioni della concorrenza”.
Non aiuta certo l’ingresso sulla scena della Germania, che ha già i suoi problemi con le banche popolari tedesche. Nel mezzo, appunto, Profumo, i cui difensori al processo per l’affaire Brontos la scorsa settimana hanno ottenuto un passo indietro con il ritorno nella fase di chiusura delle indagini, perché il giudice della II sezione di Milano Maria Antonietta Monfredi ha dichiarato incompetente il tribunale di Milano nel procedimento che vede il presidente del Monte dei Paschi tra i 20 imputati per frode fiscale. Sarà quindi la Procura di Bologna a chiedere nuovamente il giudizio.
Il banchiere – che si trova così nella speciale posizione di imputato che ridiventa “indagato” e con l’inchiesta tedesca di nuovo protagonista, oltre che analizzato al lentino da Bruxelles – da ad ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento in quelle complicate operazioni che avrebbero permesso alla banca di piazza Cordusio di “evadere” 245 milioni di euro. Fatto sta che l’istituto di credito ha chiuso, lo scorso agosto, le pendenze con le Agenzie delle Entrate proprio in relazione alle operazioni di finanza strutturata relative proprio agli esercizi 2007, 2008, 2009, tra cui appunto l’operazione Brontos.
Profumo, secondo quella che era stata la ricostruzione degli inquirenti milanesi, prese parte alla presunta frode fiscale, per arricchire l’istituto di credito e nell’interesse esclusivo della stessa banca: approvando la realizzazione dell’operazione ”apponendo la propria sigla sulle richieste di approvazione dell’investimento”, il 1 marzo del 2007, il 9 aprile del 2008 e il 7 novembre del 2008. Anni sovrapponibili a quelle contestate nell’indagine della Procura di Francoforte. Nel caso Brontos il partner dell’operazione fu Barclays: “Le operazioni più complesse, che prevedono l’utilizzo di derivati, vengono registrate direttamente da Londra – raccontò il 26 maggio del 2009 agli inquirenti la responsabile operativa della Barclays di Milano – Il progetto Brontos da questo punto di vista è stato un’eccezione, in quanto, pur essendo complesso, e prevedendo operazioni diverse è stata registrata utilizzando la filiale di Milano. Tale decisione è stata motivata per garantire una prestazione più performante dal punto di vista fiscale per la controparte. Preciso che la gestione ottimale dell’onere tributario della controparte è stata illustrata come caratteristica importante del progetto” .
E “per ottenere le efficienze fiscali era necessario che l’operazione fosse gestita a livello di filiale italiana”, aveva poi anche confermato un’altra dirigente. A conferma che fosse “l’ottimizzazione fiscale” il vero “obbiettivo” dell’operazione, fu trovato all’allora manager Unicredit, Stefano Porro – durante una perquisizione del 12 giugno 2009 – uno schema con “gli aspetti specifici” dell’operazione che provavano, secondo gli inquirenti milanesi, “la conoscenza sostanziale dei meccanismi e dei vantaggi”. Un documento che il gip milanese nel decreto di sequestro, poi annullato dalla Cassazione, definiva “una vera confessione stragiudiziale”.
di Gaia Scacciavillani e Giovanna Trinchella