Tirano il fiato, dopo le ultime proteste, i bagnini italiani. Le concessioni demaniali potrebbero essere prorogate di ulteriori 30 anni dalla data di scadenza, fissata per il 31 dicembre 2015. Niente di ufficiale ancora: la speranza degli esercenti è riposta in un emendamento al decreto legge sviluppo presentato nella commissione industria di palazzo Madama da Simona Vicari (Pdl) e da Filippo Bubbico (Pd). L’accordo è dunque bipartisan e l’obiettivo è di rinviare l’applicazione della direttiva europea Bolkestein, con la quale le concessioni saranno assegnate tramite asta pubblica.
Fortemente negativa è la reazione delle associazioni ambientaliste, il Wwf in testa, che commenta l’accordo tra i due partiti come “un inciucio che viola pienamente gli obblighi comunitari fissati dalla cosiddetta direttiva sulla concorrenza”. “Il rischio di prolungare di altri 30 anni il termine di scadenza delle concessioni -dichiara in una nota il World wildlife fund- diventerebbe realtà se la settimana prossima l’aula del Senato dovesse confermare l’emendamento e poiché il provvedimento dovrà essere convertito entro il prossimo 17 dicembre, pena il suo decadimento, il passaggio alla Camera non permetterà ulteriori modifiche che poi comporterebbero un nuovo passaggio al Senato, reso impossibile dai tempi”.
Per il Wwf l’emendamento Vicari-Bubbico altro non è che “una norma salva-concessioni”. L’associazione ritiene peraltro che i due senatori abbiano “fatto finta di dimenticare che questa legislatura aveva già visto tentativi analoghi, tutti falliti proprio perché, in palese violazione degli obblighi comunitari, avrebbero comportato automaticamente l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia producendo l’obbligo di ritirare il provvedimento”.
Al fine di salvaguardare le imprese familiari gli ambientalisti ritengono che occorra trovare una maniera di applicare la direttiva europea secondo un criterio che privilegi, nell’assegnazione delle aree demaniali, quei progetti gestionali che s’ispirano “a criteri di sostenibilità, salvaguardia, promozione territoriale, qualità dei servizi, legame dell’impresa col territorio”. Dunque a essere messo in discussione è il mero criterio dell’offerta economica, che pone in svantaggio le piccole imprese rispetto ai grandi gruppi e presta il fianco a possibili infiltrazioni malavitose, qualora non si vigili opportunamente sulla trasparenza dei partecipanti alle gare pubbliche.
Certo è per il Wwf che i bagnini “devono comprendere che le concessioni ultradecennali, che di fatto trasformano i beni demaniali in beni di proprietà degli assegnatari, non sono previste neppure dal nostro ordinamento”, pertanto “il profilo giuridico della questione va rivisto con realismo”. Insomma mettere in discussione l’insindacabilità delle concessioni suona come un attacco chiaro alla categoria dei bagnini, che per molti altro non è che una delle tante caste del bel Paese.
Ciò che è lapalissiano, per chi guarda alle spiagge come a un bene naturale pubblico, non è così scontato per chi invece ha fatto di recente degli investimenti sull’arenile e vorrebbe perlomeno avere il tempo di ammortizzarli. Da palazzo Madama hanno gettato l’ancora della salvezza e i concessionari ci si sono tuffati tutti sopra. “È improponibile –ha dichiarato il presidente di Fipe-Confcommercio Lino Enrico Stoppani, alla vigilia della votazione sull’emendamento- pensare che un imprenditore investa di suo un capitale in un’azienda che dopo due anni è destinata per legge a finire all’asta, il cui esito, come in tutte le aste, è sempre imprevedibile. Confidiamo quindi nel buon operato della decima commissione del Senato: in questo modo stabilimenti balneari e ristoranti che operano su terreno demaniale avranno modo di organizzare meglio le loro attività in vista della aste pubbliche”.
La partita sulle spiagge, che si gioca in Europa, in Italia è ancora a un bivio. Da una parte gli interessi di migliaia di famiglie che detengono un’impresa balneare, dall’altra l’esigenza di rispettare le regole del patto comunitario. L’esito dello scontro è chiaro al Wwf che prevede: “Se il parlamento dovesse insistere sulla strada sbagliata, assunta dalla commissione industria del Senato, sarebbe inevitabile l’azione dell’Unione europea e la conseguente penosa retromarcia che poi l’Italia dovrebbe fare dopo l’ennesima falsa promessa fatta dalla politica senza che questa possa essere mantenuta”.