La Corte costituzionale ha accolto il ricorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sul conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo, sollevato riguardo alle intercettazioni telefoniche a carico del senatore Nicola Mancino, che si era rivolto al Colle per discutere dell’inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia all’epoca delle stragi del 1992-1993. La corte ha quindi accolto il principio dell’inviolabilità della riservatezza del capo dello Stato, anche nel caso in cui le intercettazioni riguardino un soggetto terzo che entra in contatto con il Quirinale. Le intercettazioni dovranno quindi essere distrutte.
“Non spettava” alla Procura di Palermo, secondo la Consulta, “valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica” captate nell’ambito dell’inchiesta. I pm di Palermo, di conseguenza, non potevano “omettere di chiedere al giudice l’immediata distruzione” di tali intercettazioni, “ai sensi dell’articolo 271, terzo comma, cpp e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti”.
Per conoscere nel dettaglio la decisione assunta dalla Consulta dopo oltre 4 ore di Camera di Consiglio bisognerà attendere il deposito della sentenza, e quindi le motivazioni, che avverrà nelle prossime settimane, presumibilmente a gennaio. I giudizi costituzionali hanno accolto le tesi del Quirinale: “La Procura di Palermo ha trattato queste come normali intercettazioni, non ha tenuto presente il fatto che siano intercettazioni illegittime“, ha spiegato l’avvocato generale dello Stato Giuseppe Di Pace. Così facendo si è “prodotto un vulnus nella riservatezza del Presidente”, ha aggiunto la collega Gabriella Palmieri, perché la Procura di Palermo, ipotizzando un’udienza stralcio di fronte al Gip per chiedere la distruzione delle intercettazioni, ha esposto quelle conversazioni del Capo dello Stato alla valutazione dei pm. E ancor più al rischio che una volta messe a disposizioni delle parti per eventuali usi processuali, potessero diventare pubbliche.
Bocciate invece la tesi della Procura di Palermo, riassunte dall’avvocato Alessandro Pace, che ha cercato di dimostrare come il ricorso del Quirinale potesse avere effetti paradossali. Innanzitutto, ha argomentato Pace, “un fatto fortuito“, come imbattersi nel presidente della Repubblica intercettando una terza persona, “non può essere oggetto di divieto. E’ mai possibile vietare di scivolare accidentalmente su una strada ghiacciata?”. Nella parte finale del suo intervento, Pace si è chiesto che cosa dovrebbero fare i pm se intercettassero una conversazione del presidente della Repubblica che complotta per un colpo di Stato. Distruggere i file? E se questo “surplus di garanzie” valesse anche per ministri e premier, i magistrati non potrebbero più intercettare nessun sospettato che avesse contatti con loro? Una via “lineare” di soluzione, ha suggerito il legale dei pm di Palermo, “potrebbe essere la richiesta dell’apposizione del segreto di stato da parte del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio” sul contenuto delle telefonate intercettate.
Ma la Consulta ha indicato una strada del tutto diversa: quella prevista dall’art. 271 del codice di procedura penale sulle intercettazioni vietate. Quell’articolo afferma che il giudice può in ogni grado del processo disporre la distruzione delle registrazioni che coinvolgano soggetti non intercettabili in funzione del loro ruolo: il difensore, il confessore, il medico. A maggior ragione deve valere per il Presidente, ha sostenuto l’Avvocatura e ha confermato la Consulta. Perché quella strada prevede che “il giudice decida senza contraddittorio”, hanno spiegato gli avvocati dello Stato, e senza rischio che i contenuti delle conversazioni siano divulgati.
Un duro colpo per i magistrati di Palermo impegnati nella delicata inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia, che vede imputati 12 persone tra politici, mafiosi e uomini delle forze dell’ordine. “Non credo che si debbano fare commenti allo stato”, afferma il procuratore di Palermo Francesco Messineo, “aspettiamo di leggere il provvedimento”. Interviene anche il pm Nino Di Matteo, uno dei titolari dell’inchiesta sulla trattativa coordinata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia: “Vado avanti nel mio lavoro tranquillo, nella coscienza di avere agito correttamente e ritenendo di avere sempre rispettato la legge e la Costituzione”.
Ingroia, attualmente in Guatemala per un incarico internazionale, si era detto sorpreso dell’iniziativa del capo dello Stato. E dopo la sentenza affida un duro commento a Il Fatto Quotidiano: “Siamo cornuti e mazziati”, afferma. “Le ragioni della politica hanno prevalso sulle ragioni del diritto. Da quello che ho letto finora questa sentenza mi pare un gran pasticcio”. Perlatro “già scritto da tempo.
Nessuna reazione ufficiale al momento dal presidente Napolitano, ma le indiscrezioni fatte filtrare parlano di una naturale “soddisfazione” dopo un’attesa “serena”. Quella di ricorrere alla suprema corte è stata sin dall’inizio “una decisione obbligata”, ha spiegato più volte Napolitano, perchè “né io né d’Ambrosio (il consigliere giuridico a cui si è rivolto Mancino, ndr) abbiamo mai interferito” con le indagini della procura di Palermo.
Secondo l’accusa, Mancino – che si insediò al Viminale a inizio luglio 1992 – avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra intercorsi nei primi anni ’90, durante la stagione delle stragi. Oggi Mancino è accusato di falsa testimonianza. Nel periodo che ha preceduto l’avvio del procedimento a Palermo che lo vede con altri imputato, ci sono stati contatti tra lui e il Colle, in particolare telefonate con Loris D’Ambrosio, il consulente giuridico del Quirinale morto il 26 giugno, e in alcune occasioni, con lo stesso Napolitano.
Queste ultime conversazioni sono state in tutto quattro, come si è saputo dagli atti depositati per conto della Procura di Palermo su richiesta della Corte Costituzionale durante l’iter del conflitto tra poteri: in due casi a chiamare è stato Mancino, per altro alla vigilia di Natale 2011 e, pochi giorni dopo, il 31 dicembre; in altre due occasioni, a telefonare è stato il Presidente. Il contenuto delle conversazioni non è noto, ma la notizia dei colloqui tra i due è finita sui giornali e ha suscitato il caso che ha portato alla decisione del Quirinale di chiamare in causa la Consulta.
Giustizia & Impunità
Trattativa, la Consulta accoglie ricorso del Quirinale. “Distruggere le intercettazioni”
La Consulta dà torto alla Procura di Palermo sulle telefonate del senatore Nicola Mancino al Colle, registrate nell'inchiesta sui patti fra Stato e Cosa nostra all'epoca delle stragi del 1992-1993. Accolta la tesi dell'inviolabilità assoluta del Colle. La tesi del legale dei pm: "E se progettasse un golpe?". Ingroia: "Siamo cornuti e mazziati, è una sentenza politica"
La Corte costituzionale ha accolto il ricorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sul conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo, sollevato riguardo alle intercettazioni telefoniche a carico del senatore Nicola Mancino, che si era rivolto al Colle per discutere dell’inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia all’epoca delle stragi del 1992-1993. La corte ha quindi accolto il principio dell’inviolabilità della riservatezza del capo dello Stato, anche nel caso in cui le intercettazioni riguardino un soggetto terzo che entra in contatto con il Quirinale. Le intercettazioni dovranno quindi essere distrutte.
“Non spettava” alla Procura di Palermo, secondo la Consulta, “valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica” captate nell’ambito dell’inchiesta. I pm di Palermo, di conseguenza, non potevano “omettere di chiedere al giudice l’immediata distruzione” di tali intercettazioni, “ai sensi dell’articolo 271, terzo comma, cpp e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti”.
Per conoscere nel dettaglio la decisione assunta dalla Consulta dopo oltre 4 ore di Camera di Consiglio bisognerà attendere il deposito della sentenza, e quindi le motivazioni, che avverrà nelle prossime settimane, presumibilmente a gennaio. I giudizi costituzionali hanno accolto le tesi del Quirinale: “La Procura di Palermo ha trattato queste come normali intercettazioni, non ha tenuto presente il fatto che siano intercettazioni illegittime“, ha spiegato l’avvocato generale dello Stato Giuseppe Di Pace. Così facendo si è “prodotto un vulnus nella riservatezza del Presidente”, ha aggiunto la collega Gabriella Palmieri, perché la Procura di Palermo, ipotizzando un’udienza stralcio di fronte al Gip per chiedere la distruzione delle intercettazioni, ha esposto quelle conversazioni del Capo dello Stato alla valutazione dei pm. E ancor più al rischio che una volta messe a disposizioni delle parti per eventuali usi processuali, potessero diventare pubbliche.
Bocciate invece la tesi della Procura di Palermo, riassunte dall’avvocato Alessandro Pace, che ha cercato di dimostrare come il ricorso del Quirinale potesse avere effetti paradossali. Innanzitutto, ha argomentato Pace, “un fatto fortuito“, come imbattersi nel presidente della Repubblica intercettando una terza persona, “non può essere oggetto di divieto. E’ mai possibile vietare di scivolare accidentalmente su una strada ghiacciata?”. Nella parte finale del suo intervento, Pace si è chiesto che cosa dovrebbero fare i pm se intercettassero una conversazione del presidente della Repubblica che complotta per un colpo di Stato. Distruggere i file? E se questo “surplus di garanzie” valesse anche per ministri e premier, i magistrati non potrebbero più intercettare nessun sospettato che avesse contatti con loro? Una via “lineare” di soluzione, ha suggerito il legale dei pm di Palermo, “potrebbe essere la richiesta dell’apposizione del segreto di stato da parte del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio” sul contenuto delle telefonate intercettate.
Ma la Consulta ha indicato una strada del tutto diversa: quella prevista dall’art. 271 del codice di procedura penale sulle intercettazioni vietate. Quell’articolo afferma che il giudice può in ogni grado del processo disporre la distruzione delle registrazioni che coinvolgano soggetti non intercettabili in funzione del loro ruolo: il difensore, il confessore, il medico. A maggior ragione deve valere per il Presidente, ha sostenuto l’Avvocatura e ha confermato la Consulta. Perché quella strada prevede che “il giudice decida senza contraddittorio”, hanno spiegato gli avvocati dello Stato, e senza rischio che i contenuti delle conversazioni siano divulgati.
Un duro colpo per i magistrati di Palermo impegnati nella delicata inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia, che vede imputati 12 persone tra politici, mafiosi e uomini delle forze dell’ordine. “Non credo che si debbano fare commenti allo stato”, afferma il procuratore di Palermo Francesco Messineo, “aspettiamo di leggere il provvedimento”. Interviene anche il pm Nino Di Matteo, uno dei titolari dell’inchiesta sulla trattativa coordinata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia: “Vado avanti nel mio lavoro tranquillo, nella coscienza di avere agito correttamente e ritenendo di avere sempre rispettato la legge e la Costituzione”.
Ingroia, attualmente in Guatemala per un incarico internazionale, si era detto sorpreso dell’iniziativa del capo dello Stato. E dopo la sentenza affida un duro commento a Il Fatto Quotidiano: “Siamo cornuti e mazziati”, afferma. “Le ragioni della politica hanno prevalso sulle ragioni del diritto. Da quello che ho letto finora questa sentenza mi pare un gran pasticcio”. Perlatro “già scritto da tempo.
Nessuna reazione ufficiale al momento dal presidente Napolitano, ma le indiscrezioni fatte filtrare parlano di una naturale “soddisfazione” dopo un’attesa “serena”. Quella di ricorrere alla suprema corte è stata sin dall’inizio “una decisione obbligata”, ha spiegato più volte Napolitano, perchè “né io né d’Ambrosio (il consigliere giuridico a cui si è rivolto Mancino, ndr) abbiamo mai interferito” con le indagini della procura di Palermo.
Secondo l’accusa, Mancino – che si insediò al Viminale a inizio luglio 1992 – avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra intercorsi nei primi anni ’90, durante la stagione delle stragi. Oggi Mancino è accusato di falsa testimonianza. Nel periodo che ha preceduto l’avvio del procedimento a Palermo che lo vede con altri imputato, ci sono stati contatti tra lui e il Colle, in particolare telefonate con Loris D’Ambrosio, il consulente giuridico del Quirinale morto il 26 giugno, e in alcune occasioni, con lo stesso Napolitano.
Queste ultime conversazioni sono state in tutto quattro, come si è saputo dagli atti depositati per conto della Procura di Palermo su richiesta della Corte Costituzionale durante l’iter del conflitto tra poteri: in due casi a chiamare è stato Mancino, per altro alla vigilia di Natale 2011 e, pochi giorni dopo, il 31 dicembre; in altre due occasioni, a telefonare è stato il Presidente. Il contenuto delle conversazioni non è noto, ma la notizia dei colloqui tra i due è finita sui giornali e ha suscitato il caso che ha portato alla decisione del Quirinale di chiamare in causa la Consulta.
B.COME BASTA!
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Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.