Dietrofront del cosiddetto salotto buono sul salvataggio di Rcs, la casa editrice del Corriere della Sera: Mediobanca, Fiat, Pirelli, Intesa Sanpaolo, Pesenti e Unipol non verseranno un euro nelle casse della società prima delle elezioni. E con loro gli altri azionisti del patto che controlla il gruppo, ma anche quelli che ne stanno fuori, come Giuseppe Rotelli e Diego Della Valle. Lo ha annunciato una nota della società che mercoledì 19 avrebbe dovuto approvare un piano industriale, con annesso aumento di capitale per una somma stimata in 400-700 milioni di euro in conseguenza delle massicce perdite accumulate negli ultimi anni che a metà 2012 hanno superato un terzo del capitale sociale e del debito di quasi 900 milioni di euro con le banche (circa un terzo in mano all’azionista Intesa).
Invece niente da fare: il 19 saranno approvati soltanto gli obiettivi economici del gruppo, non l’ammontare preciso del denaro necessario per sanare le esangui casse della società e fare gli investimenti per tornare a crescere. Di questo se ne parlerà solo in sede di approvazione del bilancio 2012, quindi a marzo, dopo le elezioni. La tormentata decisione è arrivata oggi pomeriggio dopo una lunga riunione del consiglio di amministrazione che era appunto focalizzata sulla definizione del fabbisogno finanziario del gruppo editoriale che è stato dissanguato principalmente dall’acquisizione miliardaria del gruppo spagnolo Recoletos, avvenuta nel 2007 a solo vantaggio della famiglia del banchiere spagnolo vicino all’Opus Dei, don Emilio Botin. Lo stesso, cioè, che pochi mesi dopo sempre dall’Italia incassava lauti guadagni dalla vendita di banca Antonveneta al Monte dei Paschi di Siena. Un’operazione, quest’ultima, che è costata cara alla banca senese in procinto di ricevere oltre 4 miliardi di aiuti pubblici e che, come nel caso di Rcs-Recoletos, aveva come consulente del compratore Mediobanca, che però dell’editrice del Corriere era ed è ancora azionista, oltre che creditore.
L’improvviso rinvio di ogni decisione e il fatto che sia arrivato a soli cinque giorni dal termine previsto, rende bene l’idea dei profondi strappi all’interno del gruppo che avrebbe invece bisogno di decisioni rapide ed efficaci. Non è del resto un mistero che gli stessi soci che ai tempi di Recoletos avevano prima spinto sull’operazione, al punto da mettere alla porta l’amministratore delegato che non aveva voluto portarla a termine, Vittorio Colao e poi, una volta portata a termine, l’avevano accolta con giubilo, oggi non sono altrettanto concordi sulle vie da percorrere per porvi rimedio. Complice della situazione è senz’altro la crisi che ha portato tutti i nodi al pettine, tanto che buona parte degli azionisti di Rcs è a corto di contante. Chi più chi meno, quasi tutti devono affrontare fasi di mercato non proprio brillanti nel loro settore.
Gli esempi non mancano, con i Pesenti, i signori bergamaschi del cemento via Italcementi, che due giorni fa hanno annunciato un corposo piano di tagli da 120 milioni di euro che passa per la cassa integrazione per 665 dipendenti su 2.500, che potrà poi trasformarsi in mobilità per circa 330 persone. Ma c’è anche il caso della Pirelli di Marco Tronchetti Provera, alle prese con un difficile riassetto dopo lo strappo col socio Malacalza. Per non parlare della Fiat, i cui operai italiani sono più spesso in cassa integrazione che non alla catena di montaggio e che difficilmente potrebbe giustificare uscite di liquidità per un’attività periferica. Discorsi analoghi si potrebbero fare per le banche, che lesinano i prestiti alle famiglie. Eppure nessuno sembra disponibile a mollare la presa sul Corriere della Sera, meglio, piuttosto, prendere ancora tempo e rimandare la decisione e, quindi, eventuali cambiamenti nell’azionariato, di altri tre mesi, quando tra l’altro la situazione politica sarà definita.
A poco è valso, quindi, l’appello di metà ottobre dei giornalisti del Corriere che nei giorni scorsi hanno firmato un importante accordo sindacale con l’azienda, ma che il 16 ottobre avevano ricordato agli azionisti del patto i “copiosi” dividendi percepiti calcolando in 108 milioni di euro il totale dell’ultimo quinquennio, “contro risorse provenienti da aumenti di capitale pari a zero” e li avevano invitati ad “onorare l’impegno che è implicito per chi compra azioni del più grande quotidiano di informazione italiano”. Invito che, fuori dal coro e dal patto, è stato raccolto solo da Della Valle e Rotelli, entrambi interessati a pesare di più nell’azionariato del giornale, con il secondo che all’uscita del cda di oggi aveva lasciato intendere ai giornalisti che la decisione sulla ricapitalizzazione era vicina, salvo poi smentirla con una secca nota.