Mario Monti non ha ancora sciolto le riserve su una sua possibile discesa in campo. E’ un bene o un male che il presidente del Consiglio decida di correre per Palazzo Chigi?
Risponde Lidia Ravera
Lo so, avete valutato per un attimo l’ipotesi che ci tornasse fra i piedi Berlusconi e adesso siete disposti a guardare con sollievo quasi qualsiasi candidatura. Ogni essere umano senziente, anche nocivo, ma non ridicolo, acquista un’aura, un credito, uno statuto di uomo della speranza. In questo stato d’animo l’icona Monti viene da cliccarla subito.
“Tutti i leader europei, sperano che abbia un futuro politico”, dicono in zona governo. E chi teme per i suoi risparmi è portato a considerarlo una specie di guardiano della stabilità monetaria. Per parte sua, Monti, da esponente della borghesia d’antan, sa come stare al mondo: parla poco, ironizza molto, si fa desiderare e riesce a sembrare un non-desiderante. Uno che proprio non ci pensa a competere. Uno che “il potere logora chi lo persegue”. Un signor “No, grazie”. Uno che indossa l’imparzialità come il dresscode consigliato per partecipare alla Festa della Crisi. Un maestro di eleganza e correttezza che spicca come una mosca bianca nella mischia vociferante della politica italiana.
Però, fate attenzione: questo piccolo grande Lord, che azzecca con sicurezza i congiuntivi, mastica un verosimile inglese e non ci costringe a occuparci del suo talamo, ha guidato un governo severo e schierato, che ha tagliato welfare e sanità, senza toccare i grandi patrimoni e le rendite finanziarie, che ha eroso le conquiste dei lavoratori, tassato la prima casa, aumentato l’età pensionabile senza peraltro far ripartire l’economia, ridurre lo spread a zero, mettere in sicurezza i conti pubblici. Se, fregandosene di sputare sulla mano che l’ha sostenuto, si troverà a duellare con Bersani, per chi dobbiamo fare il tifo?
Per Bersani, inevitabilmente. Prima di tutto perchè la squadriglia che intende saltare in groppa al “professore”, emana un acre odore di vecchia cucina, nomi fritti e rifritti: Casini e Fini che hanno governato con Berlusconi e per questo meriterebbero un caldo invito a ritirarsi a vita privata. Frattini e Mauro e Mantovani, che, tanto per dedicarsi a uno dei più celebrati sport nazionali, hanno fondato un nuovo partito e l’hanno battezzato “Ita – lia popolare” (originali, no? Chissà che brain storming!). Luca di Montezemolo, che l’Italia invece, la vuole, “Futura” ed è disposto a battersi come un leone per i diritti degli imprenditori. E poi Acli, Cisl, Cielle… Monti attira come una calamita tutte le sigle di un centro in cerca di collocazione vincente.
Bersani, in questo vortice di estremisti della moderazione, brilla come un Illuminato nella nebbia. Le sua vecchia storia di comunista, il recente debito contratto con Vendola, il suo dna da Emilia Rossa e proletaria, ci fanno, improvvisamente, sognare: forse i lavoratori con lui non verrano esodati o gasati, i ceti medi non finiranno a mendicare, la solidarietà non sarà bollata come una patologia da perdenti. Perciò, dai Bersani! Perfino le tue ardite metafore ci sembrano ormai esaltanti: “Non siamo mica qui a prenderci gli scarponi in leasing, anche i Monti si possono spianare!”.
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Il Fatto Quotidiano, 16 Dicembre 2012