“La più bella del mondo”, come “TuttoDante” (di cui ha replicato troppe battute), ha una parte debolissima (quella satirica) e una pregevole (quella divulgativa). Benigni ha da tempo ucciso il Cioni Mario: scelta dolorosa, ma comprensibile. Adesso dovrebbe però emanciparsi, e definitivamente, dal Piccolo Diavolo. Invece si incaponisce – si direbbe controvoglia – con queste mezz’ore sciatte sull’attualità politica. Peccato: come narratore didattico è bravo, come comico assai consunto. “Berlusconi ha disorientato anche Maroni, che pure è abituato con Bossi: ce ne vuole”. Trovate esili. Ammucchiate, Bunga Bunga, “Gli attacchi alla Magistratura sono il suo classico, come Satisfaction per i Rolling Stones”. Dopo 15 minuti (interminabili) su Berlusconi, i buffetti bipartisan: Renzi (“l’unico uomo di sinis…eh, l’unico uomo di Firenze che è andato a una cena veramente elegante di Arcore, c’erano Verdini e La Russa, in confronto Monti è Lady Gaga”). Prima di raccontare la Costituzione, Benigni ha usato la metafora del Medioevo come chiave interpretativa della contemporaneità: “Il Cavaliere di Mediolanum” che fa votare il Parlamento sulla “nipote di Ugolino”, “una trota che giocava ai videogiochi”, Beppe Grillo novello “Cecco Angiolieri” sboccato. Un mix tra Bagaglino di sinistra e una replica minore di Zelig. Poi, per fortuna, Roberto Benigni ha raccontato la Costituzione. Con il consueto surplus di enfasi, ma comunque meravigliosamente.
Il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2012