Antonio Ingroia scioglierà dopo Natale la “riserva” sulla propria candidatura alle elezioni politiche: “Da parte mia assumerò le mie determinazioni finali entro il 28-29 dicembre”, ha spiegato il magistrato intervenuto al teatro Quirino a Roma all’assemblea di “Cambiare si può“. “Ho posto condizioni. Una di queste è verificare se, sul versante della società civile, si creano le condizioni per un passo in avanti e se riusciamo a riempire di contenuti, di persone, di associazioni il progetto e riuscire a fare una lista”.
Ma la candidatura che appare sempre più vicina riattizza le critiche. Che non vengono solo dal Pdl. Fabrizio Cicchitto è tornato ad attaccare Ingroia definendolo una “caricatura di se stesso”, mentre il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli invoca una legge che ponga dei paletti alle candidature dei magistrati.
Ingroia ha sottolineato che i tempi per le decisioni sono stretti e ha aggiunto: “Se vogliamo partecipare alla campagna elettorale dobbiamo anche avere delle strategie. Dobbiamo fare il massimo dello sforzo per trovare una sintesi e un punto di convergenza comune. La mia, come ho detto ieri, è stata una dichiarazione di disponibilità e di servizio su un progetto che si sta formando“.
Il magistrato, attualmente “distaccato” in Guatemala e che ha ottenuto dal Csm l’aspettativa per motivi elettorali, ha ribadito che la condizione per la sua corsa come candidato premier del Movimento arancione dipende dal grado di apertura al di fuori dei partiti: “Sono convinto della necessità di un passo in avanti della società civile e di un ‘passo incontro’ da parte della politica che, in questi mesi, dentro e fuori il Parlamento, si è espressa in modo alternativo al montismo e berlusconismo. Questo è il denominatore comune su cui costruire questa aggregazione”.
Il progetto a cui pensa il magistrato che ha coordinato l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia è quindi quello di una “lista civica“. “Credo fortemente nel concetto della rivoluzione civile“, ha aggiunto. “Non chiedo alla politica di farsi da parte, ma di fare un passo indietro, non più in prima fila, ma in seconda fila”. Ingroia ha nuovamente sostenuto la necessità di aprire un dialogo con Pd e Grillo. “Ci sono differenze e critiche che facciamo al Pd per il sostengo dato al governo Monti, ma non dobbiamo avere paura del confronto e verificare se ci sono compatibilità. Il confronto non infetta e non sporca. Capisco lo scetticismo -ha concluso il magistrato- ma senza pregiudizi nei confronti degli altri. Questo vale anche per il Movimento 5 Stelle“.
Anche oggi, come ieri dagli scranni parlamentari, il magistrato è stato oggetto degli strali di Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera: “Ingroia sta diventando la caricatura di se stesso”, ha affermato. “Arriva al punto di dire che lui non è mai stato un giudice politicizzato. Per un verso ricordiamo ancora i suoi interventi nei congressi di partito più vari; e per altro verso il suo tentativo di demonizzare un partito intero, cioè Forza Italia”. Cicchitto registra però “qualche miglioramento: Ingroia non farà più danni alla giustizia italiana, li farà alla politica, cioè ai suoi amici di sinistra. Ma chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
Se l’attacco del Pdl è solo l’ultimo capitolo del lungo conflitto tra centrodestra e magistrati, di maggior peso è l’intervento del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, che già aveva espresso posizioni critiche verso i colleghi troppo esposti sul fronte politico-mediatico. Esiste un “rischio di sovrapposizione dell’immagine del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni e del magistrato impegnato in politica”, ha affermato Sabelli a margine di una riunione dell’Anm. “Bisogna trovare soluzioni che impediscano questa sovrapposizione, su ciò si gioca l’immagine di indipendenza e autonomia della giurisdizione”. Il compito di trovare una soluzione, ha precisato Sabelli, spetta “al legislatore”. Nessuno “mette in discussione il diritto all’elettorato passivo, riconosciuto dalla Costituzione. Si potrebbe pensare a delle limitazioni per chi rientra nei ranghi, come stabilire che vada in una sede diversa dal territorio in cui ha esercitato incarichi politici”. Il rischio “è che l’attività giurisdizionale venga percepita dall’opinione pubblica come un trampolino di lancio”.
A queste critiche risponde il diretto interessato: “Il magistrato è un cittadino che ha diritto di elettorato passivo come tutti gli altri. Quello che conta è che come magistrato abbia fatto bene il suo dovere e che sappia dare un contributo anche in politica”.