Mario Monti è in campo. A modo suo. Con l’idea non solo di dare un’agenda politica credibile al Paese, ma anche di rivoluzionare il modo con cui si è fatto politica negli ultimi vent’anni. Non più un leader che impone la propria politica al Paese, ma le priorità del Paese che disegnano e incoronano il leader che può centrare gli obiettivi. Uomini al servizio della comunità, dunque, non più i cittadini che “servono” le istanze dei partiti assecondandone, con il voto, gli appetiti. Si potrebbe parlare di vera rivoluzione se non fosse che la parola appare stonata visto che il protagonista è un conservatore, ma di certo quello che cercherà di imporre Monti è un netto cambio di registro; non più una convergenza su un nome e su una leadership, ma l’idea – forte – di scompaginare il sistema partendo dai programmi. “Questa è la mia agenda – ha detto Monti – mi piacerebbe che ci fosse un’ampia convergenza dei partiti su queste idee”.
Non andrà al Quirinale, Monti. Lo ritiene “altamente improbabile”. A palazzo Chigi, invece, tornerebbe eccome, casomai sospinto dall’onda di rinnovamento da lui stesso creata o, più verosimilmente, dall’assoluta ingovernabilità del sistema che anche questa sua singolare “salita in campo” contribuisce a rendere più che probabile. Soprattutto al Senato.
Monti dopo Monti. Il quadro comincia a chiarirsi. Come si fa luce sul disegno “etico” del Professore legato alla politica. Che deve tornare ad essere di servizio al cittadino e non motivo di potere per accrescere il proprio patrimonio e i propri affari: l’opposto esatto del berlusconismo. Mario Monti, insomma, vuole ridiscutere le regole del gioco. E lo vuole fare in un momento come questo in cui la sua immagine è ancora forte; tra qualche tempo potrebbe non essere più possibile, i sondaggi persistono nel non concedergli numeri lusinghieri. Tant’è che se quella futura compagine politica che potrebbe aggregarsi intorno al suo programma non dovesse avere un riscontro netto dalle urne (si sta parlando, comunque, di un massimo del 15% difficile da raggiungere), per Monti sarà senz’altro una sconfitta.
Ma al di là del risultato elettorale, di sicuro questo suo aver lanciato un sasso nello stagno rischia di creare un vortice tale da rendere impossibile, poi, un ritorno all’antico. Che per noi è, comunque, ancora il presente. Il “seme” di Monti costringerà tutti a trovare un nuovo modo di intendere, leggere e declinare la politica. Non tutti sono disposti a farlo, pochi vogliono rimettersi in discussione.
Non è un caso, infatti, se i segretari politici hanno accolto comunque con freddezza le parole di Monti. Certo, il pensiero è all’immediato e a una campagna elettorale che, da oggi, non si potrà più intendere come qualcuno s’immaginava impunemente di poter continuare a fare da indiscusso padrone delle ferriere. La reazione scomposta di Berlusconi, ospite da Giletti, davanti ad un incalzare di domande alle quali non è certo abituato, hanno reso palpabile che il sistema sta uscendo dalle dinamiche e dal torpore del ventennio a colori. Se nel segno di Monti lo si vedrà presto.
Di fatto, però, la prossima campagna elettorale avrà nel Professore un protagonista in più. E’ “salito” in politica e lo ha fatto con una schiettezza senza precedenti: archiviato quasi con ferocia il suo predecessore Berlusconi – al quale ha riservato una lunga serie di durissimi attacchi – Monti ha anche lanciato la sfida a Pierluigi Bersani, incuneandosi nell’alleanza tra Pd e Sel e avvertendo il segretario democratico che confermare l’accordo a sinistra e il legame con la Cgil comporterà il prezzo di perdite nell’ala montiana del partito. Scompaginare l’alleanza a sinistra per far perdere voti al Pd e “rubare” l’ala montiana al partito è un vecchio pallino centrista che ora, dopo questa uscita allo scoperto, diventa un obiettivo possibile.
Essere “guida” come vuole fare Monti, significa anche questo, agire come front-runner per palazzo Chigi preparando il terreno per l’alleanza più giusta che lo dovrà sostenere: “Se una o più forze politiche con una credibile adesione a questa agenda, o ad una migliore, ma che anche io trovi convincente – ha detto infatti Monti – manifestassero il proposito di candidarmi a presidente del Consiglio, valuterei la cosa”. E’ evidente, da queste parole, che il Professore vuole essere lui a dare le carte, così come sembra chiaro il perimetro di chi può pensare di aderire alla sua iniziativa. Sicuramente non Berlusconi, ‘seppellito’ anche con sarcasmo feroce sulle “oscillazioni” e la “linearità di pensiero”.
Non ne ha perdonata una, Monti, a Berlusconi: dall’accusa di vantare ascendenze inventate sui leader europei durante i Consigli Ue (“Chi vi partecipa sa che non è vero”) con tanto di ricordo delle “pacche sulle spalle cui seguivano i risolini” di Merkel e Sarkozy, alla demolizione delle argomentazioni usate in queste settimane dal Cavaliere per attaccare l’operato del suo governo, fino a quel riferimento a “festini imbarazzanti” che allontanano i cittadini dalla politica. Lo ha persino preso in giro sulle “lusinghe” ricevute riguardo l’invito a guidare lui i moderati e al quale ha risposto proponendo un’agenda politica assolutamente inaccettabile per Berlusconi: Imu (“bello toglierla, l’anno dopo dovremmo raddoppiarla”), ripristino del falso in bilancio, interventi sulla prescrizione, “robusta” legge sul conflitto di interessi. Insomma, “leggi ad nationem e non ad personam“.
Ma se questo è il confine a destra, a sinistra la situazione è molto più complicata. Le critiche alla Cgil per posizioni che “oggi rischiano di danneggiare i lavoratori” hanno segnato lo spartiacque, mettendo in discussione l’alleanza Pd-Sel. Se Bersani vuole continuare un dialogo anche dopo le elezioni, per un’alleanza di governo, deve far fuori l’ala più radicale e “sinistra del suo partito”. Altrimenti perderà l’ala “montiana” del medesimo, già pronta a correre con il Professore a partire da Pietro Ichino. Il valzer della campagna elettorale, in fondo, è appena iniziato.