“Scioperi? Io sinceramente non ne ricordo”. Verrebbe quasi da non crederci di questi tempi, tanto più se a parlare è un funzionario della Fiom bolognese. Eppure è così, Eugenio Martelli si occupa di Lamborghini dal 2009, e a ricordare una protesta contro l’azienda non ce la fa proprio. “Certo, gli scioperi nazionali li facciamo, ci mancherebbe – spiega il sindacalista – ma in fabbrica va tutto bene, dialoghiamo con i dirigenti e firmiamo accordi. Da questo punto di vista la Lamborghini è un esempio per tutti”.
Eppure alla guida dell’azienda di Sant’Agata Bolognese non c’è né un benefattore dei lavoratori né un sindacalista. Lamborghini, com’è ovvio, è una società per azioni, dal 1988 nelle mani dei tedeschi di Audi (gruppo Volkswagen). Il 2011 è finito con una crescita delle vendite a due cifre: più 23% rispetto all’anno precedente e un fatturato di 322 milioni di euro. In Lamborghini gli iscritti Fiom sono maggioranza tra gli operai sindacalizzati, 400 su un totale di un migliaio dipendenti. Agli altri sindacati solo le briciole. Insomma: il fortino emiliano delle tute blu della Fiom, un’azienda dove i contratti e gli accordi di secondo livello vengono approvati con maggioranze bulgare dal sindacato di Landini.
Un’armonia sindacale che fa ancora più impressione considerando quello che succede a poche decine di km di distanza, a Maranello, dove la Ferrari sta applicando la dottrina Marchionne alla lettera, e i metalmeccanici della Cgil da mesi non hanno più rappresentanza. Sempre di motor valley si tratta, quell’Emilia dei motori che tanto ha dato agli appassionati dei bolidi e delle auto da corsa. Meno di quaranta chilometri di distanza tra Maranello a Sant’Agata Bolognese, ottimi risultati industriali per entrambe le aziende, modalità di relazionarsi con i sindacati lontane anni luce l’una dall’altra.
Gli stipendi degli operai in Lamborghini? Attorno ai 1500 euro netti al mesi, non male anche per una regione ricca come l’Emilia-Romagna. Infine ci sono gli accordi aziendali, che hanno messo un tetto del 10% ai contratti a tempo determinato e che in futura saranno validati attraverso un doppio referendum tra i lavoratori: prima di essere presentati all’azienda per la trattativa e, quando ormai la trattativa è conclusa, per la ratifica finale. Senza l’approvazione della maggioranza dei votanti il contratto non entra in vigore, e su questo è stata l’azienda stessa a siglare un’intesa con la Fiom. “Cerchiamo rapporto costruttivi – ha spiegato tempo fa il numero uno della Lamborghini, Stephan Winkelmann – Da noi è la Fiom a rappresentare la maggioranza della forza lavoro, è dunque è logico considerarli i principali interlocutori”.
Ben diversa invece la situazione in Ferrari, dove il contratto dei metalmeccanici è stato messo in soffitta con l’inizio del 2012. Chi non ha firmato il nuovo accordo aziendale ha perso ogni diritto di rappresentanza: in sostanza la fino ad allora maggioritaria Fiom. Eppure se si guardano i numeri anche dalle parti delle “rosse” di Maranello le cose non vanno così male. Il 2011 ha visto l’utile superare i 310 milioni di euro, e le vetture vendute in tutto il mondo sono state 7195 (+9,5% rispetto all’anno precedente, 500 consegne solo in Cina, ormai il secondo mercato). Quattro volte il volume di vendita della rivale Lamborghini. Tutto bene dunque? Non con le tute blu che ogni giorno lavorano negli stabilimenti del Cavallino. La Fiom, non più riconosciuta dal gruppo Fiat, continua a proclamare scioperi e a criticare la gestione del management.
Perché politiche sindacali così diverse? “Ce lo chiediamo anche noi”, racconta una ex rsu Fiom che lavora da più di 10 anni negli stabilimenti di Maranello. Una domanda che non è retorica, visto che i metalmeccanici Cgil guardano con invidia ad ogni accordo siglato in Lamborghini. “Purtroppo la Ferrari risente del pessimo clima che si è creato in tutto il gruppo Fiat – spiega Bruno Papignani, segretario regionale delle tute blu emiliano romagnole – L’autoritarismo, la mancata disponibilità al confronto e il pugno di ferro in azienda sono tutte cose che in Lamborghini non ci sono”. Alla base delle scelte del gruppo di Torino una complessa fusione con Chrysler, lo spostamento del baricentro aziendale a Detroit e l’obbligo di fare i conti con un mercato europeo quasi al collasso. Ma a Maranello, dove si costruiscono superauto di lusso, la crisi non è mai arrivata.
“Se le cose in Lamborghini vanno diversamente è per la mentalità del management”, prova ad argomentare Papignani, che si spinge oltre e arriva a ipotizzare l’esistenza di una vera e propria “scuola tedesca delle relazioni sindacali” alternativa al modello Marchionne. “Per questo ci siamo subito detti soddisfatti quando Ducati è stata comprata da Audi. Avevamo già visto la mentalità tedesca all’opera in Lamborghini. Oltre agli investimenti e alla volontà di preservare i livelli occupazionali anche in caso di crisi, come nel 2009 – spiega Papignani – la dirigenza ha sempre mostrato interesse nel cercare soluzioni condivise. Si è capito che condividere obiettivi e programmi funziona meglio che imporsi e cercare lo scontro”.
Una pratica che arriva direttamente da Wolfsburg, cittadina bavarese dove ha sede Volkswagen, colosso mondiale da 500mila dipendenti il cui consiglio di sorveglianza, l’organo che controlla la gestione di tutti gli stabilimenti in Germania, è composto per metà da sindacalisti dell’IG Metall. Si chiama “cogestione” e per ora gli ottimi risultati del gruppo stanno premiando la scelta dei tedeschi.