L’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni ha varato ieri le nuove regole sulla par condicio che si applicheranno alla campagna elettorale appena cominciata. La delibera firmata dal Presidente dell’Autorità, Marcello Cardani si applicherà esclusivamente “nei confronti delle emittenti che esercitano l’attività di radiodiffusione televisiva e sonora privata e della stampa quotidiana e periodica”.
Nessun riferimento all’informazione ed alla propaganda politica online.
La colpa – o, magari il merito in relazione al punto di vista di ciascuno – non è dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni della disciplina vigente e di un Parlamento rimasto inerte alle numerose segnalazioni pervenute – tra l’altro proprio dal precedente presidente dell’Authority Corrado Calabrò – circa l’esigenza di adeguare la normativa all’esplosione del fenomeno Internet. “La normativa di legge va adesso aggiornata per tener conto delle mutazioni subite dalla comunicazione televisiva (specie con l’inserimento dei politici nei programmi informativi) ed è da riconsiderare in relazione all’incalzante realtà di internet.”, aveva detto Calabrò, nella propria relazione di fine mandato, lo scorso 2 maggio.
Forse, in effetti, il nuovo testo unico sui vecchi servizi radiotelevisivi ora ribattezzati “servizi media audiovisivi” a seguito delle importanti modifiche apportate alla vecchia disciplina attraverso il cd. Decreto Romani, avrebbe consentito all’Autorità Garante per le Comunicazioni un maggior sforzo di adeguamento interpretativo della disciplina sulla par condicio alla rivoluzione frattanto consumatasi nel sistema informativo ma è andata così e, forse, è un bene.
E’ infatti, difficile prevedere quali sarebbero state le conseguenze se un’Authority – che nella propria delibera continua a richiedere che la trasmissione di una serie di comunicazioni avvenga “anche per telefax” ma mai per posta elettronica, al limite, certificata – avesse ritenuto di estendere, in tutto o in parte, l’efficacia delle regole della par condicio anche al web.
E’ a questo punto evidente però che la prossima campagna elettorale si giocherà in buona parte proprio online.
Con oltre 22 milioni di italiani oggi connessi quasi quotidianamente a Facebook contro i poco più di 600 mila in occasione delle ultime elezioni amministrative del 2008 e la comunicazione politica in tv e nei giornali resa complicata dalle nuove regole sulla par condicio, è facile prevedere che sarà il web il vero palcoscenico elettorale nel quale i candidati dovranno confrontarsi e sfidarsi.
Il web, però, a differenza della TV consente ed anzi impone forme di interazione con i cittadini costanti, trasparenti e partecipative con la conseguenza che i candidati online dovranno vedersela anziché con conduttori televisivi talvolta compiacenti e talvolta ingessati dalla paura di violare le regole della par condicio, con milioni di utenti che misureranno le parole e le promesse di ciascuno e le contesteranno, criticheranno o, magari, approveranno.
I politici italiani saranno all’altezza di questo straordinario ed inedito confronto?
Partiti e movimenti politici vecchi e nuovi, saranno in grado di mettere online – in live streaming – tutte le proprie riunioni pre-elettorali, di confrontarsi con gli elettori attraverso canali aperti e partecipativi, di dare massima trasparenza a tutte le informazioni sui candidati selezionati e di lasciar decidere ai propri elettori i contenuti dei programmi elettorali?
E i cittadini? Saranno capaci di uscire dal ruolo passivo di ‘telesudditi’ nel quale, per decenni, la televisione li ha relegati ed influenzare in modo determinante il risultato – quale che sarà – delle prossime elezioni, sfilandolo a chi, sin qui, lo ha scritto anche – se non esclusivamente – attraverso il controllo diretto o indiretta dei grandi mezzi di informazione?
Il ruolo che la Rete – attraverso i mille strumenti di trasparenza, partecipazione e democrazia elettronica oggi disponibili – svolgerà nelle ormai imminenti consultazioni elettorali, ne rappresenta, probabilmente, una delle principali novità e potrebbe essere, come già accaduto in occasione dei referendum sui beni comuni, il fattore X, quello imponderato ed in una certa misura imponderabile che, alla fine, incoronerà vincitori insospettabili e segnerà la sconfitta per quanti erano dati per favoriti.