Oltre un miliardo di euro. E’ il totale dei risparmi degli italiani andati in fumo soltanto nei primi sei mesi del 2012. E non per tasse, rincari o riduzione della busta paga causa cassa integrazione, ma per la malafinanza. Del resto la cosiddetta socializzazione delle perdite, contraltare della privatizzazione degli utili ora di gran moda nell’Europa della crisi che taglia il welfare a piene mani per tappare i buchi, è sempre stata di casa dove scorrono i soldi dei risparmiatori. Per dare un’idea delle cifre in gioco, secondo le stime dell’Adusbef i crac finanziari dal 2001 ai giorni nostri sono costati complessivamente 52 miliardi di euro che sono stati scuciti dalle tasche di 1,121 milioni di comuni cittadini, per una spesa media unitaria di 46.387 euro. E il calcolo è parziale, perché tiene conto solo dei casi finiti in Tribunale, ma infinite sono le vie, anche quelle legali, per privatizzare gli utili e socializzare le perdite. Tanto più in Borsa, dove i risparmiatori meno avvezzi ai giochi di prestigio sono soprannominati il parco buoi, ma dove chi decide di giocare si assume il rischio d’impresa. Senza contare i costi dell’intervento pubblico, delle perdite di posti di lavoro e delle conseguenza per il territorio. Anche per l’anno che ci buttiamo alle spalle, quindi, ce n’è per tutti i generi e tipi.
I GRANDI CLASSICI DEL CRAC. Con un costo stimato, sempre dall’Adusbef, in 860 milioni di euro il primo e 160 milioni il secondo, sono stati i casi Deiulemar e Banca Network a fare la parte del leone nella prima metà dell’anno coinvolgendo oltre 42mila risparmiatori. Per il crac della compagnia di navigazione di Torre del Greco delle famiglie Della Gatta, Iuliano e Lembo è stato disposto il giudizio immediato con la prima udienza in calendario per il prossimo 11 marzo. Ma sarà lunga sdipanare la matassa di una vicenda che ha dell’incredibile, dove i milioni raccolti presso i risparmiatori, ma anche vip locali e capiclan, non venivano messi a bilancio e depositati direttamente sui conti correnti personali del capostipite degli armatori, senza alcun controllo alla faccia delle normative sull’antiriciclaggio.
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, ha commentato qualcuno. Che dire invece della vicenda di Banca Network Investimenti, Bni, il cui slogan era “Una banca efficiente. Sempre al tuo fianco”, salvo poi lasciare a piedi 69 dipendenti e 28mila correntisti che quest’estate si sono visti congelare i conti da un giorno con l’altro in attesa dell’intervento del Fondo di tutela dei depositi? Per non parlare della sorte degli obbligazionisti che avevano finanziato con oltre 32 milioni di euro la Sopaf dei fratelli Magnoni che aveva in mano la maggioranza della banca e che a sua volta è crollata in autunno sotto il peso di oltre 100 milioni di debiti. Ma che grazie alla riforma del diritto fallimentare in tema di concordati preventivi introdotta dal governo Monti con il decreto Sviluppo, viaggia ancora tra le tutele del concordato e il fallimento.
A secco, quindi, creditori e, ancor di più, i piccoli azionisti che soltanto nell’ultimo anno di scambi, in Borsa hanno assistito al tracollo del titolo che ha bruciato l’84% del suo valore. Proprio mentre il socio di maggioranza, Giorgio Magnoni fratello del più noto Ruggero, ex presidente di Lehman Brothers per l’Italia, “faceva affari d’oro nell’immobiliare sull’asse tra il Lussemburgo e la Germania”, come riportato dal quotidiano Mf lo scorso 12 dicembre. Immancabili, quindi, gli accertamenti in corso da parte della magistratura sulla vicenda Sopaf, come su quella di Banca Network che include gli investimenti in titoli rischiosi da parte dell’istituto A partire da quelli targati Lehman Brothers.
PRODOTTI BANCARI FINITI IN CLASS ACTION. Ma i soldi dei risparmiatori non finiscono solo nelle azioni delle società quotate in Borsa. Ci sono sia i prodotti finanziari più o meno strutturati, sia i banali conti correnti. Un’area piuttosto vasta e delicata, quindi, che quest’anno ha registrato il via della prima class action nei confronti di un gruppo bancario, Intesa SanPaolo. Oggetto del contendere, che potrebbe riguardare fino a 400mila clienti dell’istituto, alcune spese di conto che sono state introdotte dalla banca in sostituzione delle commissioni di massimo scoperto abolite per legge nel 2009 e giudicate illegittime da Altroconsumo, che ha promosso l’azione collettiva partita a settembre. Il termine per l’adesione è il prossimo 21 gennaio, mentre l’appuntamento in Tribunale a Torino per il conteggio finale delle adesioni è fissato per marzo.
In attesa degli esiti della più ampia inchiesta della magistratura sulla gestione della Banca Popolare di Milano di Massimo Ponzellini, si sta invece chiudendo con una conciliazione da almeno 40 milioni di euro la triste vicenda del convertendo allegro della Bpm, il bond ad alto rischio da 170 milioni di euro che era stato venduto nel 2009 senza la necessaria informazione a 15mila clienti della banca milanese oggi nelle mani di Andrea Bonomi. L’intesa, però, non porterà a grandi risultati per i consumatori secondo l’Aduc, unica associazione che non l’ha firmata commentando che “questi tavoli di conciliazione si risolvono in una buffonata a danno dei risparmiatori ed a vantaggio in primo luogo della Banca (che paga una piccola frazione di quello che dovrebbe sborsare), secondariamente delle associazioni che vi partecipano”.
MANCATI INCASSI. Notevole, poi, la lista delle fregature assolutamente legali. Come le uscite dal listino a prezzi convenientissimi per l’azionista di maggioranza, ma piuttosto deludenti per il piccolo investitore costretto giocoforza ad aderire alle Offerte pubbliche di acquisto (Opa) perché in minoranza. E’ il caso, per esempio, di Benetton, con la famiglia di Ponzano Veneto che a febbraio ha approfittato dei prezzi da saldo per ritirare dal mercato la società dei maglioncini a un controvalore di circa 270 milioni di euro pari a 4,6 euro per azione. Somma che secondo il Sole 24 Ore equivale pro quota a meno del solo valore degli immobili della società.
“Sempre meglio che niente”, commenta chi invece è rimasto a bocca asciutta. In caso di cambio di controllo di una società quotata, per offrire a tutti i soggetti coinvolti la stessa possibilità di guadagno, la normativa prevede infatti l’obbligo del lancio di un’Opa allo stesso prezzo per tutti gli azionisti. Legge che però si può aggirare. In prima istanza fermandosi alla soglia 29,99% del capitale, basta che non ci sia un accordo segreto con altri azionisti per avere comunque la maggioranza nelle assemblee dove si prendono le decisioni importanti senza pagare il dazio ai soci di minoranza. E’ proprio su questa ipotesi che sta indagando la Procura di Milano a proposito della vittoria del gruppo Salini sul rivale Gavio all’assemblea di Impregilo dello scorso luglio, che peraltro è stata dichiarata regolare dal Tribunale, anche se sulla sentenza pende un ricorso in appello. La questione non è da poco, anche perché tra la ragnatela di interessi che gravitano intorno alla società di costruzioni c’è l’appalto per il Ponte sullo Stretto di Messina con annesse penali da mezzo miliardo a carico dello Stato.
Ancor più delicato, coi tempi che corrono, il tema delle esenzioni dall’Opa nei casi accertati di salvataggio delle società in crisi. Come quello del gruppo Premafin-Fondiaria Sai che fu dei Ligresti che ha tenuto banco per tutto l’anno. E anche qui la Procura indaga, tra il resto, sull’ipotesi dell’esistenza di accordi irregolari nell’ambito dell’esenzione dal lancio dell’Opa concessa dalla Consob a Unipol, a patto che dal piano orchestrato da Mediobanca venissero cancellati i vantaggi previsti per la famiglia Ligresti, dato che avrebbero premiato l’azionista uscente e per di più responsabile del dissesto, lasciando a bocca asciutta gli altri investitori. Le clausole sono state cancellate, ma a fine luglio gli stessi Ligresti hanno fatto saltar fuori un ipotetico accordo segreto da 45 milioni con l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, che nella faccenda, in quanto creditore miliardario sia verso i Ligresti che verso Unipol, aveva tutti gli interessi a che l’operazione andasse a buon fine.
GRUPPI E CREDITI DA SALVARE. Ma quella del papello Nagel-Ligresti è sola una delle tappe della vicenda Ligresti al vaglio degli inquirenti tra Milano e Torino. Come è ancora tutta da giocare la partita entrata nel vivo nel 2012 sul salvataggio dei grandi gruppi quotati con una buona dose di debiti che non fanno dormire sonni tranquilli né ai banchieri, né ai grandi azionisti. E talvolta neppure allo Stato. Si va dall’immane debito dell’editrice del Corriere della Sera, Rcs, che coinvolge tutto quel che resta del gotha della finanza italiana che sul tema continua a prendere tempo, al buco del Monte dei Paschi di Siena, passando per Parmalat e Telecom Italia, a proposito della quale perfino un manager pubblico come Franco Bassanini si è appena unito al coro della richiesta di un incentivo statale, per aiutare la società soffocata da 30 miliardi di debiti frutto di una privatizzazione “sbagliata” ad aprire la rete agli altri operatori.
Quel che è certo, intanto, è che nel caso Unipol-FonSai i risparmiatori, inclusi quelli che avevano investito sulla compagnia delle Coop, oltre che con l’Opa mancata possono già fare i conti con l’evaporazione di investimenti per una somma complessiva compresa tra 300 e 400 milioni di euro. In quello del Monte dei Paschi, i soldi, 3,9 miliardi più altri 550 milioni potenziali per gli interessi, arrivano direttamente dal contribuente via ministero del Tesoro. Mentre su Parmalat pagano innanzitutto i dipendenti, che con la prevista chiusura di tre stabilimenti rischiano il posto di lavoro. Intanto l’azionista francese Lactalis si è premurato di vendere a Collecchio una sua società americana, portandosi a casa metà del tesoretto da 1,5 miliardi raccolto da Enrico Bondi con le azioni legali contro le banche per il crac di Calisto Tanzi, che era custodito nelle casse del gruppo. E che così ha finito col servire anche ad alleggerire i debiti dei francesi verso Mediobanca, che a Lactalis nel 2011 aveva prestato 410 milioni proprio per l’acquisto di Parmalat. Anche qui la magistrature è al lavoro, l’ipotesi a carico dei vertici della società è di appropriazione indebita. Ma è difficile che si arrivi a un punto prima di una decisione definitiva sulle sorti del centinaio di dipendenti italiani a rischio.
Economia & Lobby
Un miliardo in fumo in sei mesi. Ecco la socializzazione delle perdite finanziarie
Secondo le stime dell'Adusbef, negli ultimi dieci anni i risparmiatori hanno lasciato per strada qualcosa come 52 miliardi di euro di perdite, più di 46mila euro a testa per più di un milione di persone, un miliardo solo nei primi sei mesi del 2012. Ma il conto è al ribasso, perché tiene in considerazione solo i crac finiti in un'aula di un tribunale. Senza contare, quindi, le fregature del tutto legali
Oltre un miliardo di euro. E’ il totale dei risparmi degli italiani andati in fumo soltanto nei primi sei mesi del 2012. E non per tasse, rincari o riduzione della busta paga causa cassa integrazione, ma per la malafinanza. Del resto la cosiddetta socializzazione delle perdite, contraltare della privatizzazione degli utili ora di gran moda nell’Europa della crisi che taglia il welfare a piene mani per tappare i buchi, è sempre stata di casa dove scorrono i soldi dei risparmiatori. Per dare un’idea delle cifre in gioco, secondo le stime dell’Adusbef i crac finanziari dal 2001 ai giorni nostri sono costati complessivamente 52 miliardi di euro che sono stati scuciti dalle tasche di 1,121 milioni di comuni cittadini, per una spesa media unitaria di 46.387 euro. E il calcolo è parziale, perché tiene conto solo dei casi finiti in Tribunale, ma infinite sono le vie, anche quelle legali, per privatizzare gli utili e socializzare le perdite. Tanto più in Borsa, dove i risparmiatori meno avvezzi ai giochi di prestigio sono soprannominati il parco buoi, ma dove chi decide di giocare si assume il rischio d’impresa. Senza contare i costi dell’intervento pubblico, delle perdite di posti di lavoro e delle conseguenza per il territorio. Anche per l’anno che ci buttiamo alle spalle, quindi, ce n’è per tutti i generi e tipi.
I GRANDI CLASSICI DEL CRAC. Con un costo stimato, sempre dall’Adusbef, in 860 milioni di euro il primo e 160 milioni il secondo, sono stati i casi Deiulemar e Banca Network a fare la parte del leone nella prima metà dell’anno coinvolgendo oltre 42mila risparmiatori. Per il crac della compagnia di navigazione di Torre del Greco delle famiglie Della Gatta, Iuliano e Lembo è stato disposto il giudizio immediato con la prima udienza in calendario per il prossimo 11 marzo. Ma sarà lunga sdipanare la matassa di una vicenda che ha dell’incredibile, dove i milioni raccolti presso i risparmiatori, ma anche vip locali e capiclan, non venivano messi a bilancio e depositati direttamente sui conti correnti personali del capostipite degli armatori, senza alcun controllo alla faccia delle normative sull’antiriciclaggio.
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, ha commentato qualcuno. Che dire invece della vicenda di Banca Network Investimenti, Bni, il cui slogan era “Una banca efficiente. Sempre al tuo fianco”, salvo poi lasciare a piedi 69 dipendenti e 28mila correntisti che quest’estate si sono visti congelare i conti da un giorno con l’altro in attesa dell’intervento del Fondo di tutela dei depositi? Per non parlare della sorte degli obbligazionisti che avevano finanziato con oltre 32 milioni di euro la Sopaf dei fratelli Magnoni che aveva in mano la maggioranza della banca e che a sua volta è crollata in autunno sotto il peso di oltre 100 milioni di debiti. Ma che grazie alla riforma del diritto fallimentare in tema di concordati preventivi introdotta dal governo Monti con il decreto Sviluppo, viaggia ancora tra le tutele del concordato e il fallimento.
A secco, quindi, creditori e, ancor di più, i piccoli azionisti che soltanto nell’ultimo anno di scambi, in Borsa hanno assistito al tracollo del titolo che ha bruciato l’84% del suo valore. Proprio mentre il socio di maggioranza, Giorgio Magnoni fratello del più noto Ruggero, ex presidente di Lehman Brothers per l’Italia, “faceva affari d’oro nell’immobiliare sull’asse tra il Lussemburgo e la Germania”, come riportato dal quotidiano Mf lo scorso 12 dicembre. Immancabili, quindi, gli accertamenti in corso da parte della magistratura sulla vicenda Sopaf, come su quella di Banca Network che include gli investimenti in titoli rischiosi da parte dell’istituto A partire da quelli targati Lehman Brothers.
PRODOTTI BANCARI FINITI IN CLASS ACTION. Ma i soldi dei risparmiatori non finiscono solo nelle azioni delle società quotate in Borsa. Ci sono sia i prodotti finanziari più o meno strutturati, sia i banali conti correnti. Un’area piuttosto vasta e delicata, quindi, che quest’anno ha registrato il via della prima class action nei confronti di un gruppo bancario, Intesa SanPaolo. Oggetto del contendere, che potrebbe riguardare fino a 400mila clienti dell’istituto, alcune spese di conto che sono state introdotte dalla banca in sostituzione delle commissioni di massimo scoperto abolite per legge nel 2009 e giudicate illegittime da Altroconsumo, che ha promosso l’azione collettiva partita a settembre. Il termine per l’adesione è il prossimo 21 gennaio, mentre l’appuntamento in Tribunale a Torino per il conteggio finale delle adesioni è fissato per marzo.
In attesa degli esiti della più ampia inchiesta della magistratura sulla gestione della Banca Popolare di Milano di Massimo Ponzellini, si sta invece chiudendo con una conciliazione da almeno 40 milioni di euro la triste vicenda del convertendo allegro della Bpm, il bond ad alto rischio da 170 milioni di euro che era stato venduto nel 2009 senza la necessaria informazione a 15mila clienti della banca milanese oggi nelle mani di Andrea Bonomi. L’intesa, però, non porterà a grandi risultati per i consumatori secondo l’Aduc, unica associazione che non l’ha firmata commentando che “questi tavoli di conciliazione si risolvono in una buffonata a danno dei risparmiatori ed a vantaggio in primo luogo della Banca (che paga una piccola frazione di quello che dovrebbe sborsare), secondariamente delle associazioni che vi partecipano”.
MANCATI INCASSI. Notevole, poi, la lista delle fregature assolutamente legali. Come le uscite dal listino a prezzi convenientissimi per l’azionista di maggioranza, ma piuttosto deludenti per il piccolo investitore costretto giocoforza ad aderire alle Offerte pubbliche di acquisto (Opa) perché in minoranza. E’ il caso, per esempio, di Benetton, con la famiglia di Ponzano Veneto che a febbraio ha approfittato dei prezzi da saldo per ritirare dal mercato la società dei maglioncini a un controvalore di circa 270 milioni di euro pari a 4,6 euro per azione. Somma che secondo il Sole 24 Ore equivale pro quota a meno del solo valore degli immobili della società.
“Sempre meglio che niente”, commenta chi invece è rimasto a bocca asciutta. In caso di cambio di controllo di una società quotata, per offrire a tutti i soggetti coinvolti la stessa possibilità di guadagno, la normativa prevede infatti l’obbligo del lancio di un’Opa allo stesso prezzo per tutti gli azionisti. Legge che però si può aggirare. In prima istanza fermandosi alla soglia 29,99% del capitale, basta che non ci sia un accordo segreto con altri azionisti per avere comunque la maggioranza nelle assemblee dove si prendono le decisioni importanti senza pagare il dazio ai soci di minoranza. E’ proprio su questa ipotesi che sta indagando la Procura di Milano a proposito della vittoria del gruppo Salini sul rivale Gavio all’assemblea di Impregilo dello scorso luglio, che peraltro è stata dichiarata regolare dal Tribunale, anche se sulla sentenza pende un ricorso in appello. La questione non è da poco, anche perché tra la ragnatela di interessi che gravitano intorno alla società di costruzioni c’è l’appalto per il Ponte sullo Stretto di Messina con annesse penali da mezzo miliardo a carico dello Stato.
Ancor più delicato, coi tempi che corrono, il tema delle esenzioni dall’Opa nei casi accertati di salvataggio delle società in crisi. Come quello del gruppo Premafin-Fondiaria Sai che fu dei Ligresti che ha tenuto banco per tutto l’anno. E anche qui la Procura indaga, tra il resto, sull’ipotesi dell’esistenza di accordi irregolari nell’ambito dell’esenzione dal lancio dell’Opa concessa dalla Consob a Unipol, a patto che dal piano orchestrato da Mediobanca venissero cancellati i vantaggi previsti per la famiglia Ligresti, dato che avrebbero premiato l’azionista uscente e per di più responsabile del dissesto, lasciando a bocca asciutta gli altri investitori. Le clausole sono state cancellate, ma a fine luglio gli stessi Ligresti hanno fatto saltar fuori un ipotetico accordo segreto da 45 milioni con l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, che nella faccenda, in quanto creditore miliardario sia verso i Ligresti che verso Unipol, aveva tutti gli interessi a che l’operazione andasse a buon fine.
GRUPPI E CREDITI DA SALVARE. Ma quella del papello Nagel-Ligresti è sola una delle tappe della vicenda Ligresti al vaglio degli inquirenti tra Milano e Torino. Come è ancora tutta da giocare la partita entrata nel vivo nel 2012 sul salvataggio dei grandi gruppi quotati con una buona dose di debiti che non fanno dormire sonni tranquilli né ai banchieri, né ai grandi azionisti. E talvolta neppure allo Stato. Si va dall’immane debito dell’editrice del Corriere della Sera, Rcs, che coinvolge tutto quel che resta del gotha della finanza italiana che sul tema continua a prendere tempo, al buco del Monte dei Paschi di Siena, passando per Parmalat e Telecom Italia, a proposito della quale perfino un manager pubblico come Franco Bassanini si è appena unito al coro della richiesta di un incentivo statale, per aiutare la società soffocata da 30 miliardi di debiti frutto di una privatizzazione “sbagliata” ad aprire la rete agli altri operatori.
Quel che è certo, intanto, è che nel caso Unipol-FonSai i risparmiatori, inclusi quelli che avevano investito sulla compagnia delle Coop, oltre che con l’Opa mancata possono già fare i conti con l’evaporazione di investimenti per una somma complessiva compresa tra 300 e 400 milioni di euro. In quello del Monte dei Paschi, i soldi, 3,9 miliardi più altri 550 milioni potenziali per gli interessi, arrivano direttamente dal contribuente via ministero del Tesoro. Mentre su Parmalat pagano innanzitutto i dipendenti, che con la prevista chiusura di tre stabilimenti rischiano il posto di lavoro. Intanto l’azionista francese Lactalis si è premurato di vendere a Collecchio una sua società americana, portandosi a casa metà del tesoretto da 1,5 miliardi raccolto da Enrico Bondi con le azioni legali contro le banche per il crac di Calisto Tanzi, che era custodito nelle casse del gruppo. E che così ha finito col servire anche ad alleggerire i debiti dei francesi verso Mediobanca, che a Lactalis nel 2011 aveva prestato 410 milioni proprio per l’acquisto di Parmalat. Anche qui la magistrature è al lavoro, l’ipotesi a carico dei vertici della società è di appropriazione indebita. Ma è difficile che si arrivi a un punto prima di una decisione definitiva sulle sorti del centinaio di dipendenti italiani a rischio.
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(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.