Chi porta i turisti berlinesi a Roma? Alitalia? Errore. Klm o Air France che sulla tratta Roma-Berlino operano per conto della “compagnia di bandiera“. E i russi? Il 50% circa dei voli tra Mosca e Roma venduti dalla società di Roberto Colaninno e soci li fa Aeroflot. Va ancora peggio se si va più a est, con la tratta Pechino-Roma che Alitalia ha affidato ai partner francesi e olandesi. E il film è lo stesso se si guarda all’India, ma anche a sud, dove per andare da Abu Dhabi a Roma si può comprare il biglietto da Alitalia, ma si deve viaggiare con il partner Etihad o, peggio ancora, con Klm via Amsterdam. Non va meglio all’interno dei confini nazionali, dove da una parte sono appena stati ridotti (“temporaneamente”) i collegamenti con Bari e Brindisi, dall’altra Pisa e Ancona stanno facendo da apripista per il subappalto ai rumeni di Carpatair, che puntano a gestire il 10% della flotta della “compagnia di bandiera”.
Eppure secondo Silvio Berlusconi, il turismo italiano è appeso proprio all’italianità dell’Alitalia in queste settimana alla resa dei conti con oltre 600mila euro di perdite quotidiane, debiti che hanno superato quota 700 milioni e una cassa ridotta a 300 milioni, che rendono sempre più concreta la necessità di una ricapitalizzazione proprio alla vigilia della scadenza, per i soci entrati nel 2008, del divieto di vendere le loro azioni che fino ad oggi aveva bloccato Air France al 25% del capitale della compagnia. Difficile, del resto, rinunciare, al fortunato slogan elettorale che nel 2008 aveva contribuito a riportare il leader del Pdl a Palazzo Chigi dopo la caduta di Romano Prodi. Già, perché quella di Air France che ci vuole portare via Alitalia per deviare sui castelli della Loira le orde di cinesi, russi e indiani diretti a Roma non è un’uscita nuova per Berlusconi. ”E’ una follia rinunciare alla compagnia di bandiera. Si tratta di un disastro, ad esempio, nel settore del turismo che si dice crescerà del 50% rispetto ad ora, grazie anche ai nuovi ricchi di Paesi come Cina, India e Russia che desiderano visitare l’ Europa. E se si affidano ad Air France per un viaggio di 7 giorni pensate che ce li scarichino qui nelle nostre città dell’arte o li portino ai castelli della Loira?”, aveva per esempio dichiarato il 31 marzo 2008. Mancavano 12 giorni alle elezioni e il salvataggio della compagnia di bandiera era di stringente attualità, per il contribuente, per 18mila dipendenti del gruppo, per i creditori, ma anche per l’elettorato leghista molto sensibile alle sorti dello scalo lombardo di Malpensa.
Nel tira e molla elettorale e sindacale, il risultato era stato la fuga di Air France con la sua offerta di acquisto da 1,7 miliardi di euro che includeva l’accollo per i francesi dei debiti della compagnia, ma anche circa 1.600 esuberi. E, a seguire, l’operazione dei capitani coraggiosi del “sistema”guidati da Roberto Colaninno e finanziati dalla Banca Intesa di Corrado Passera che per rilevare il succo rimasto della compagnia ormai fallita, avevano messo sul piatto circa 600 milioni in meno dei francesi, senza farsi carico dei debiti della compagnia di bandiera e senza passare per una gara pubblica. A cascata, quindi, ai contribuenti è toccato pagare un conto complessivo stimato in una somma compresa tra 3 e 4 miliardi di euro, a 7mila dipendenti è toccata la cassa integrazione e i consumatori hanno dovuto fare i conti con gli effetti sulla concorrenza dell’inserimento nell’operazione Fenice della Air One di Carlo Toto. Quanto al flop turistico, oltre all’analisi delle tratte di Alitalia, c’è da ricordare che fino all’affermarsi dell’Alta Velocità buona parte del fatturato la compagnia lo faceva piuttosto portando i turisti da Milano a Roma e ritorno, senza contare il peso sui margini internazionali del segmento business.
“Invece di argomentare sulla eventuale acquisizione da parte di Air France potrebbe fare un atto concreto ed imprenditoriale: dichiari di voler partecipare egli stesso alla ricapitalizzazione di Alitalia”, ha replicato a Berlusconi il presidente dell’Avia (Assistenti di volo associati) Antonio Divietri. “Se Berlusconi acquisisse una rilevante quota di Alitalia dimostrerebbe di credere e dare seguito a quello che dice, rispetto alla necessità di avere un trasporto aereo italiano per aiutare il rilancio del nostro Paese”, ha aggiunto ricordando che “l’inadeguatezza del progetto capitani coraggiosi era evidente sin da principio ed i fatti lo hanno in breve dimostrato. Politiche commerciali erratiche ed erronee hanno generato conti in profondo rosso già in periodi ante crisi ed oggi i nodi vengono al pettine: in assenza di immediata ricapitalizzazione Alitalia fallisce. Gioverebbe una inchiesta che portasse alla luce quegli enti o persone fisiche che hanno tratto vantaggio in questa vicenda, noi conosciamo chi ha perso: cittadini e lavoratori”.
In effetti già cinque anni fa Berlusconi, che con la cavalcata della bandiera del turismo italiano da salvare si era guadagnato un nuovo posto al sole a Palazzo Chigi, come imprenditore, si era ben guardato dal partecipare all’affare, nonostante il 21 marzo del 2008 avesse ventilato ai microfoni di Sky Tg24la possibilità di un ingresso dei suoi figli nella partita (”ne ho parlato solo fuggevolmente con i miei figli, ma li conosco e so che sono fatti in una certa maniera e non si tirerebbero indietro se qualcuno chiedesse loro di unirsi ad un esercito di imprenditori anche perché non ci sarebbe nessun conflitto di interessi perché sarebbe solo un intervento ad adiuvandum”). Quanto ai 21 “patrioti” del 2008, tramontata (o mai nata) come sembra l’ipotesi di un nuovo salvataggio di Stato targato Ferrovie dello Stato, starebbero studiano l’aggregazione delle loro quote azionarie per rafforzare il fronte italiano.
Un’operazione che potrebbe essere gestita o da un fondo azionario o da un’azionista italiano del settore dei trasporti come il gruppo Benetton, già socio di Alitalia che per di più ha appena incassato il contratto di programma per Aeroporti di Roma con il relativo aumento delle tariffe. Non si può escludere a priori neanche un ruolo futuro per il fondo F2i di Vito Gamberale tanto attivo sul settore e legato a doppio filo sia con lo Stato via Cassa Depositi e Prestiti, sia con Intesa, che oltre ad essere azionista e creditore di Alitalia è anche tra gli sponsor del fondo dell’ex amministratore delegato di Autostrade. Sull’affare Alitalia, in ogni caso, l’ultima parola spetterà al futuro primo ministro. Sulla base del decreto legge 21 del 15 marzo 2012 (convertito in legge l’11 maggio 2012) il governo di Mario Monti ha infatti attribuito “al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di individuare le reti e gli impianti, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per il settore dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni e un potere di veto avverso qualsiasi delibera, atto o operazione, adottata a una società che detiene uno o più degli attivi individuati”.