Lombardia, Campania e Sicilia. E’ qui che si gioca la partita a Palazzo Madama alle prossime elezioni politiche, insieme alla governabilità del Paese. Perché, pur vincendo a Montecitorio, o il Pd prevale in Lombardia e Veneto, altra regione chiave dove storicamente non ha mai sfondato, altrimenti addio maggioranza al Senato. Insomma, nonostante gli oltre 10 punti di distacco tra centrodestra e centrosinistra, l’esito non è scontato. A spiegarlo è Roberto D’Alimonte che sul Sole24Ore analizza cinque sondaggi regionali, che includono anche Lazio e Piemonte, eseguiti da Ipsos per la testata. E visto il ruolo determinante del terzo polo di Monti, Bersani arruola Renzi per conquistare voti al centro.
Se Montecitorio andrà sicuramente al centrosinistra, è all’orizzonte una situazione ingovernabile dovuta ai premi di maggioranza del Porcellum, assegnati su base nazionale alla Camera a regionale al Senato. Cosa significa? Che “in Lombardia, Campania e Sicilia l’esito è del tutto incerto – spiega D’Alimonte – con una sostanziale parità tra la coalizione Pd-Sel e quella guidata da Berlusconi“. E anche il Veneto, “visto il risultato della Lombardia e l’accordo Pdl-Lega, può essere aggiunta alla categoria delle regioni contendibili”. Tra gli scenari possibili, “basterebbe la perdita del premio in Lombardia e in Veneto” per mancare l’obiettivo della maggioranza assoluta dei seggi al Senato “anche vincendo in tutte le altre regioni”. Sconfitta certa per il Pd anche nel caso di vittoria dello schieramento di centrodestra in Lombardia e Campania e Lombardia e Sicilia. E ancor peggio se alle accoppiate si aggiunge il Veneto. A complicare la situazione per Bersani si aggiunge il movimento Rivoluzione Civile di Ingroia che, con l’11,2% delle preferenze, riuscirebbe a entrare anche al Senato (per cui la soglia di sbarramento è fissata all’8%) e a rosicchiare seggi al Pd.
In sostanza, si legge sul Sole, dopo la Lombardia è “la Campania la regione che pesa di più con 29 seggi totali, di cui 16 vanno al vincente e 13 ai perdenti che qui saranno relativamente tanti visto il numero di liste in grado di superare la soglia di sbarramento”. A giocare un ruolo determinante sarà il centro di Mario Monti che, senza alcuna possibilità di “vincere alla Camera o in una regione al Senato” ma comunque oltre l’8% dei voti, nel caso di vittoria del centrodestra in alcune delle regioni in bilico, “diventa decisivo al Senato per fare il governo sulla base di un’alleanza col centrosinistra”. Il Cavaliere, al contrario, diventerebbe determinante solo se “la coalizione-lista del premier scendesse ovunque al Senato sotto l’8%. In sostanza, per rivestire un ruolo di prim’ordine, Monti deve “tifare” per Berlusconi. E anche se non diventerà un secondo polo, in qualità di terzo attore è già molto rilevante.
Prioritario dunque per il Pd spostare la lotta al centro, ragion per cui Bersani ha arruolato Matteo Renzi per la campagna elettorale. Il sindaco di Firenze già oggi su Repubblica attacca il Professore e dice: “Pensare di innovare la politica con Casini e Fini è come circumnavigare Capo Horn con il pedalò”. Insomma, “fantascienza”. E spara a zero pure su Monti “demagogo” che prima aumenta le tasse, poi “promette di ridurle per affrontare la campagna elettorale”. Spiega che il Pd gli è riconoscente, anche se “la credibilità è il valore più importante di un politico”. Intende dire che il Professore l’ha persa? “Spero di no – prosegue – però non avrei mai detto ‘non mi candido’ se pensavo di candidarmi”. E dopo la stoccata al presidente uscente avverte: “Sono impegnato perché il mio partito vinca e convinca”, ma “la sfida è dura”. Perché non si gioca solo col Presidente del Consiglio: “Guai a sottovalutare Berlusconi che è uno straordinario combattente”.