“Ho risposto, in nome della Francia, alla richiesta d’aiuto del presidente del Mali. Le forze armate francesi sono intervenute oggi pomeriggio per sostenere le unità maliane nella lotta contro i terroristi“. Dura meno di due minuti la dichiarazione televisiva di François Hollande che, nella serata di venerdì 11 gennaio, annuncia l’appoggio dell’Eliseo alla difesa dell’integrità nazionale dell’ex colonia, da aprile 2012 sotto il ricatto dei miliziani salafiti che hanno occupato le tre regioni del Nord. In mattinata, il presidente francese aveva dichiarato che era in gioco l’esistenza stessa del Mali (oltre a quella di 6 mila cittadini francesi residenti nel paese saheliano).
Neanche due anni dopo l’attacco alle postazioni militari di Gheddafi – 19 marzo 2011- la Francia è di nuovo in azione sul continente africano. Con meno clamore e dispiego di mezzi per il momento, ma con la determinazione che è finora mancata, invece, al governo maliano dopo il golpe del 22 marzo scorso che ha portato alla caduta dell’ex capo di stato Amadou Toumani Touré.
I gruppi islamisti Aqmi, Mujao, Ansar Dine (che controllano rispettivamente le tre regioni di Timbuctu, Gao e Kidal) hanno voluto giocare d’anticipo prevenendo il dispiego delle forze internazionali autorizzato dalla risoluzione 2085 (20 dicembre 2012) del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Nella notte fra mercoledì e giovedì oltre un centinaio di pick-up con 1200 uomini armati entrano nella cittadina di Konna, 40 mila abitanti, superando l’immaginaria linea di confine fra nord e sud del paese. Obiettivo: raggiungere Mopti, importante capitale regionale nel cuore del Mali a 600 chilometri da Bamako, e il vicino centro di Sevaré, dove c’è l’aeroporto e il quartiere generale dello scalcinato esercito maliano. Con un’azione rapida e coordinata i miliziani mettono in fuga le truppe governative che ripiegano su Sevaré. Al grido di Allah Akbar, nel pomeriggio di giovedì 10 gennaio, Konna, 60 chilometri da Mopti, è in mano ai guerriglieri salafiti: la porta d’ingresso verso la conquista del sud è a portata di mano. Al precipitare della situazione, il presidente maliano Dioncounda Traoré chiama al soccorso François Hollande e sollecita il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon.
La Francia non si fa trovare impreparata. Può contare sulle sue basi in Senegal, Gabon, Ciad, da cui far partire i Mirages 2000D e F1CR. Mentre dal Burkina Faso, riferisce Radio France International, sono pronti ad alzarsi in volo gli elicotteri Cougar e Caracal; dal Niger i droni Harfang. Il pronto intervento dell’aviazione francese permette la riconquista, la sera di venerdì 11, dell’abitato di Konna. Il presidente della Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale), l’ivoriano Alassane Ouattara, autorizza l’invio immediato di truppe in Mali, il contingente di 3.300 uomini di cui si parla da mesi e che ha ottenuto il via libera dall’Onu. Fra i primi a rispondere all’appello, la Nigeria, il Burkina e il Niger hanno annunciato che invieranno 500 militari ciascuno. Thomas Boni Yayi, presidente dell’Unione africana e del Benin, plaude l’intervento francese. Che piace al ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, l’omologo britannico William Hague esprime il suo gradimento con un tweet. Mentre la Casa Bianca s’impegna a fornire droni di avvistamento e supporto logistico.
Ma l’operazione francese è tutt’altro che risolutiva: l’azione delle armi non deve far cessare le iniziative di dialogo. Purtroppo la mediazione di Blaise Campaoré, presidente del Burkina, e i colloqui fra rappresentanti del governo di Bamako e l’Mnla (i tuareg indipendentisti poi soppiantati da Aqmi e soci) si sono rivelate inconcludenti. Iyad Ag Ghaly, leader di Ansar Dine, tuareg convertitosi all’integralismo salafita, ha lasciato il 4 gennaio il tavolo dei negoziati di Ouagadougou per attaccare pochi giorni dopo Konna. Il rischio di creare nel nord del Mali un “Sahelistan” non è così remoto. Intanto in Francia le misure anti terrorismo del piano “Vigipirate” sono state rafforzate.
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