“Una lotta implacabile contro i gruppi terroristici. Che continuerà fino a quando non avremo raggiunto i nostri obiettivi di fermare l’offensiva jihadista e di garantire l’integrità del paese”. È quanto Jean-Yves Le Drian, ministro francese della Difesa, ha promesso illustrando l’operazione Serval (Gattopardo della savana) che da venerdì 11 gennaio vede la Francia di nuovo impegnata sul territorio africano per impedire che i miliziani di Aqmi, Mujao e Ansar Dine (da aprile 2012 hanno occupato il nord del Mali instaurando la sharia) sfondino verso sud arrivando alla capitale Bamako.
Una guerra in cui la Francia non è sola. Gli Stati Uniti forniscono“un supporto tecnico limitato” alle forze francesi fornendo sostegno logistico, rifornimenti agli aerei e soprattutto informazioni rilevate dai velivoli da ricognizione. David Cameron ha assicurato l’appoggio britannico inviando due grandi cargo C-17 per trasportare materiale da Parigi al fronte sahariano. Serviranno anche a trasferire a Sevaré, base dell’esercito maliano, i contingenti messi a disposizione dai paesi della Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale). Niger, Burkina Faso, Togo e Senegal hanno annunciato l’invio di 500 militari ciascuno; il Benin ne invierà 300 e la Nigeria 600. In totale 2.000 uomini dei 3.300 messi a disposizione per l’operazione Misma (Missione internazionale di sostegno al Mali) autorizzata il 20 dicembre scorso dalla risoluzione Onu 2085. Al comando del contingente dei paesi africani ci saranno il nigeriano Shehu Abdulkadir e il nigerino Yayé Garba. L’Algeria infine ha consentito agli aerei da combattimento francesi di sorvolare il proprio territorio.
Quattro bombardieri Rafale, decollati dalla Francia, hanno colpito domenica 13 gennaio una decina di obiettivi sensibili nella zona di Gao: gli islamisti del Mujao – negli ultimi mesi non hanno risparmiato agli abitanti lapidazioni, amputazioni d’arti, fustigazioni in pubblico – hanno dovuto abbandonare l’aeroporto e i locali hanno assaltato il commissariato di polizia. Depositi d’armi, infrastrutture e campi di addestramento sono stati gli obiettivi dei Mirage francesi che hanno attaccato Léré, nella regione di Timbuctu, e Aghabo, 50 chilometri da Kidal, importante base dei guerriglieri di Ansar Dine che da mesi controllano la regione.
Lunedì 14 i bombardieri hanno attaccato la zona di Diabaly, nel centro del Mali a 400 chilometri dalla capitale. Il mattino dei combattenti di Aqmi hanno assalito la città, che è nella parte del paese controllata dalle autorità maliane. Sono arrivati dalla frontiera con la Mauritania – a dimostrazione di quanto sia radicata la presenza dei salafiti nella zona sub sahariana. A dirigerli è Abou Zeid, uno dei capi di Al Qaeda nel Maghreb islamico. Mentre i raid aerei proseguono, nella capitale Bamako – dove da venerdì sera il presidente Dioncounda Traoré ha dichiarato lo stato di emergenza – sono arrivati 400 militari francesi, una parte vi resterà per assicurare i 6 mila connazionali residenti nella ex colonia. Il Mujao, Movimento per l’unicità della jihad nell’Africa occidentale, ha minacciato di colpire al cuore la Francia “dappertutto: a Bamako, in Africa, in Francia” ha dichiarato all’agenzia Afp Abou Dardar, responsabile del movimento, che ha anche ricordato gli otto ostaggi francesi prigionieri dei terroristi islamici. Le prime giornate di combattimenti hanno fatto registrare oltre un centinaio di vittime, fra i primi a cadere il luogotenente Damien Boiteux, comandante di un elicottero Gazelle.
François Hollande può contare sul sostegno della maggioranza dei suoi concittadini, ma una voce critica si è alzata, quella dell’ex ministro della Difesa Dominique de Villepin (nel 2003 contrario alla guerra in Irak). In un editoriale sul Journal du Dimanche ha ricordando che solo un processo politico può portare la pace in Mali: “Queste guerre non hanno mai permesso di venire a capo delle infiltrazioni terroristiche. Al contrario, legittimano i movimenti più radicali”. Come è successo in Iraq, Afghanistan, Libia. A una soluzione politica sta lavorando Romano Prodi, inviato speciale nel Sahel delle Nazioni Unite.