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La morte di Gallinari e quel capitolo sulle Br che andava chiuso

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Può anche essere una storia quasi chiusa. Resterà nei cassetti come uno dei grandi misteri all’italiana anche il decennio delle Brigate Rosse. Francesco Cossiga è morto, l’ultimo dei nudi e puri, Prospero Gallinari, è morto a Reggio Emilia, lì, proprio dove la sua storia di terrorista era iniziata in quello che chiamavano appartamento. Stalinista con un culto del Che e di tutto quello che faceva guerriglia. Mai pentito, mai una parola con i giornalisti. Poche anche con i giudici. Con Gallinari, così,  se ne vanno molti interrogativi che neanche i giudici sono riusciti a risolvere.

Primo: il livello di interazione tra Brigate Rosse e servizi segreti, e non solo quelli italiani. Gallinari avrebbe potuto raccontare, perché a quelle riunioni partecipò, come la loro attenzione si spostò da Giulio Andreotti ad Aldo Moro al di là della compattezza della scorta: Alberto Franceschini ha raccontato che loro, quelli del nucleo storico, individuarono come obiettivo Andreotti. Era più difficoltoso: può essere. Ma sempre Franceschini, che di Gallinari fu fratello maggiore, disse di averlo pedinato per mesi e che arrivò persino a scontrarsi con lui incidentalmente.

Mai si è capito perché strategicamente Moro venne ucciso: faceva comodo liberarlo, come sostenne una minoranza della colonna romana. Anche la strage di via Fani è piena di campi non chiariti: vennero sparati cento proiettili (e recuperati solo 39 bossoli), freddati tutti gli uomini della scorta, Moro non riportò neppure un graffio. Possibile che spararono solo quelli come Gallinari che aveva imparato a usare le armi regalate da un vecchio partigiano? O c’era qualcuno in via Fani che mai venne identificato e che sapeva sparare molto meglio dei brigatisti?

Potremmo andare avanti. C’è un particolare che ancora non è chiaro: secondo Franceschini,  Mario Moretti agiva per conto dei servizi, lo ha detto tra le righe, talvolta, e in maniera più esplicita. E il riferimento era l’Hyperion di Parigi, la vera base strategica del secondo livello delle Brigate Rosse, sempre secondo Franceschini. Gallinari, che fu vicino anche a Moretti, questo segreto l’ha sempre tenuto ben custodito. Non solo: ha sempre detto che materialmente il grilletto per uccidere Moro lo premette lui, Moretti invece si è a sua volta autoaccusato dell’esecuzione materiale del delitto.

Tutti frammenti che messi insieme avrebbero potuto dare alcune spiegazioni.

Fuori c’è rimasto Moretti, ma non ha mai spiegato niente di tutto questo, non lo farà oggi. Curcio e Franceschini, che furono i fondatori delle Br, quando ci fu la svolta sanguinaria del terrorismo rosso, erano già in carcere. Vennero arrestati a Pinerolo, nel 1974. Tra loro si era infiltrato un certo frate Girotto, che quel giorno dovevano incontrare. Moretti doveva avvisare Curcio e Franceschini di non andare all’appuntamento, perché sarebbero caduti in un’imboscata. Si dimenticò, o non fece in tempo.

Giovanni Fasanella, cronista di Panorama e grande conoscitore della storia del terrorismo italiano, aggiunge altri due misteri al lungo elenco: la morte di Corrado Simioni, riferimento parigino e all’Hyperion. Non sono bastati decine di volumi, figuriamoci un blog di poche battute, e andare oltre all’elencare i coni d’ombra degli anni di piombo servirebbe a poco. Il capitolo delle Br non interessa più a quasi nessuno. Gli ex terroristi, quelli che potevano spiegare, sono tutti in libertà. E non hanno interesse di infilarsi in altri guai. Hanno raccontato quello che gli era più congeniale. Con la complicità di un livello dello Stato che aveva tutti gli interessi ad archiviare un pezzo di storia di questo Paese.

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