Il 12 febbraio sono a rischio 1.100 interventi tra parti cesarei programmati e induzione di parti programmati, che dovranno essere rinviati o anticipati: per quella data infatti hanno proclamato il primo sciopero nazionale delle sale parto le principali associazioni di categoria di ginecologi e ostetriche, cioé Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi), Società italiana di ginecologia (Sigo), Associazione ginecologi universitari (Agui), Federazione sindacale medici dirigenti (Fesmed), Associazione ginecologi territoriali (Agite), Società italiana di ecografia ostetrica e ginecologica e metodologie biofisiche (Sieog) e Associazione italiana di ostetricia (Aio). Ad astenersi dal lavoro saranno i circa 15mila operatori che lavorano nei reparti e servizi di ginecologia, che non eseguiranno parti programmati, fatte salve le emergenze, esami e visite, negli ospedali pubblici e privati, nei consultori familiari e negli ambulatori ostetrici extraospedalieri.
A scatenare la protesta sono i tagli alla sanità delle manovre degli ultimi anni e il contenzioso medico- legale giunto “ormai a livelli insostenibili”. Tre le richieste che avanzano alle forze politiche, come spiega Vito Trojano, presidente dell’Aogoi: “La certezza del finanziamento per la sanità; l’impegno ad applicare immediatamente la riforma dei punti nascita, approvata nel 2010; la garanzia di misure cogenti sulla responsabilità professionale in sanità”.
Da un lato infatti la riforma dei punti nascita, fatta dall’ex ministro della Salute, Ferruccio Fazio, che tra le altre cose prevede la chiusura delle strutture più piccole sotto i mille parti l’anno, perché poco sicuri, “é stata applicata solo in pochissimi casi – rileva Trojano –. Chiudere un punto nascita vuol dire inimicarsi una comunità locale e perdere dei voti e tra autonomia e clientele politiche, poche regioni l’hanno messa in pratica”.
L’altra questione é quella del contenzioso medico-legale, che vede un numero crescente di cause civili e penali contro i medici, i costi delle assicurazioni professionali sempre più alti, e un boom di esami inutili prescritti dai medici per tutelarsi contro eventuali contenziosi, che costano ai cittadini 12-14 miliardi di euro l’anno. “Sono ormai migliaia – continua Trojano – le denunce contro i ginecologi e gli altri operatori. Ma di fatto, nonostante il clamore mediatico, si concludono in un nulla di fatto. I dati ci dicono che il 98,8 per cento dei procedimenti presso 90 procure italiane a carico di sanitari (di cui circa il 10 per cento ginecologi) é archiviato senza alcuna condanna per gli operatori. La cosiddetta malasanità é quindi spesso un bluff”.
A questo bisogna aggiungere che anche con un’assoluzione in sede penale, molti professionisti sono costretti a pagare risarcimenti elevati in sede civile. Secondo i medici andrebbero cambiate le norme, anche perché, “il decreto Balduzzi, pur contenendo alcune norme sulla responsabilità professionale – aggiunge il presidente della Federazione sindacale medici dirigenti (Fesmed) Carmine Gigli – non ha offerto soluzioni. Così come non é stato risolto il problema dei costi proibitivi delle polizze assicurative, visto che nel decreto manca l’obbligo delle Asl ad assicurarsi e a mettere in sicurezza i punti nascita, lasciando il medico e gli altri professionisti sanitari da soli a contrastare spese legali ed eventuali risarcimenti milionari in sede civile”. Attualmente, secondo i dati comunicati dalle associazioni, un ginecologo di prima nomina paga un premio assicurativo di 5mila euro l’anno, mentre un direttore di struttura complessa può arrivare anche a 15mila euro.
“Le norme del decreto Balduzzi – conclude Trojano – sono sostanzialmente inutili, perché non innovano l’attuale legislazione. Andrebbero posti dei paletti massimi alle richieste di risarcimento e distinguere la colpa grave medica, a livello penale, dagli altri tipi di colpa grave”.
Ginecologi e ostetriche minacciano anche lo ‘sciopero elettorale’, con la riconsegna dei certificati elettorali ai Comuni in occasione del voto, qualora le forze politiche, affermano, non rispondessero alle loro proposte, che devono entrare a far parte dei programmi elettorali e non si impegnassero a renderle concrete nella prossima legislatura. Nel frattempo, le donne che devono partorire il 12 febbraio sono avvertite.