Nel nostro Paese continua inesorabile il calo dei consumi energetici. Rispetto a quattro anni fa spicca il balzo della quota rinnovabile dal 7,4 al 13,3%, il calo del petrolio dal 42,6 al 37,5% e quello più contenuto del gas (dal 35,9 al 34,6%). Nel mese di novembre appena terminato il mercato elettrico ha registrato la flessione più consistente da tre anni ad oggi con le vendite delle centrali termoelettriche calate del 22,8% rispetto a novembre 2011, a fronte di un aumento del 33% delle rinnovabili.

Qualcosa di epocale sta avvenendo e sembrerebbe un buon punto di partenza per riflettere sulle scelte energetiche in campagna elettorale e lanciare con coraggio anche in Italia un cambio di marcia a sostegno delle azioni per il clima e la salute. Lo ha fatto Obama nel suo discorso inaugurale da Presidente al secondo mandato, prendendo in seria considerazione i dati a consuntivo per l’anno sui cambiamenti climatici, che a livello globale registrano un’anomalia media di +0,26°C (ovvero di 0,07°C superiore a quella del 2011) con un 2012 più caldo anche della media del trentennio più recente.

Mentre l’allarme per il restringimento della calotta Polare Artica, che occupa ormai appena 3,41 milioni di chilometri quadrati (neanche la metà del valore medio dell’ultimo ventennio del XX secolo), non sfiora le stanze di Palazzo Chigi, dovrebbero preoccupare le notizie che riguardano l’Europa, con il Regno Unito che nel suo complesso ha vissuto la sua estate più umida, le regioni a medio-alte latitudini che hanno subito un aumento delle precipitazioni accompagnate da un clima sempre più caldo con intense tempeste di sabbia e la zona Mediterranea che si appresta a diventare irreversibilmente più asciutta. L’Italia è all’incrocio di questi cambiamenti ed è per questo che soffre di violenti fenomeni, che andrebbero prevenuti e considerati come un oggetto prioritario di un’urgente azione politica.

La campagna elettorale appena incominciata invece si concentra sulle poltrone, sulle alleanze e gli schieramenti. Vanno in cavalleria le proposte su agricoltura, urbanistica, filiere a chilometro zero, protezione del territorio, trasporti, riduzione delle emissioni e sostegno alle fonti rinnovabili, che pure interessano le discussioni della gente comune, ma non rimbalzano mai dai tweet dei capolista, ossessivamente occupati dalla geometria delle future coalizioni. Ci hanno provato i movimenti, che hanno cercato un contatto con la politica, ma con scarso successo. Hanno proposto un grande progetto di riconversione ecologica dell’economia per garantire la sicurezza dei cittadini, la riduzione del consumo di suolo agricolo, il controllo climatico. Hanno reso concrete e credibili soluzioni tutte in controtendenza con il ritorno ai fossili della Strategia Energetica Nazionale (SEN), riprodotta dall’agenda Monti, che per gran parte dei media rappresenta l’ortodossia indiscutibile.

Se però si passano in rassegna i programmi dei contendenti alle elezioni di febbraio, ci si accorge che la parola “clima” non compare mai. L’elenco redatto da Monti è lungo 24 pagine: mezza pagina si occupa della riduzione del prezzo dell’energia attraverso il rilancio del gas e del petrolio! Il programma di Berlusconi è un funambolico gioco di specchi in cui l’ambiente è totalmente opacizzato. Bersani elenca 10 idee per cambiare e, tra queste, una vaga affermazione sull’energia come bene che va tutelato e sottoposto al controllo dell’ennesima authority. Fortunatamente, più attenti appaiono Vendola, che esprime proposte articolate su rinnovabili e risparmio, mobilità e smart cities e Grillo, che si impegna in una disanima per 7 punti sul ricorso ad un’energia pulita e risulta efficace anche se disorganico. Ingroia se la cava auspicando uno sviluppo economico compatibile con ambiente, vita e salute.

Nel complesso, però, manca passione e visione, travolti come siamo da calcoli e proiezioni di seggi, anziché da un’idea di discontinuità fondata su azioni e ragioni concrete, indirizzate a un orizzonte di sviluppo e sostenibilità ambientale  che faccia da premessa al lavoro buono e alla giustizia sociale.

A meno che il discorso di Obama risvegli i nostri dal provincialismo che si è impadronito di loro.

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