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Il razzismo di Putin, i diritti civili di Obama

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Vladimir Putin, personaggio sul  quale sarebbe inutile spendere qualsiasi parola se non fosse – ahimè’ – a capo di un Paese che ha il suo peso nei fatti del Mondo, ha esplicitamente dichiarato guerra ai gay. Con piglio e modi da nazista, fascista e razzista. E nell’indifferenza di una terra tramortita e annientata da anni di cattivo governo e di soprusi civili.

Immagino cosa debba significare oggi per “un mio fratello o sorella gay”, svegliarsi in Russia. Immagino anche cosa significhi per un mio fratello e sorella gay svegliarsi oggi, ovunque, e leggere di un altro atto disumano agito nei loro confronti, un atto senza il minimo rispetto, non per la tolleranza, perché i gay non vanno tollerati, non essendo diversi, ma per il principio dell’eguaglianza degli esseri umani. Perché, quello stesso disagio, dolore, disgusto e disprezzo (verso Putin) lo provo anche io, come essere umano che crede nell’assoluta, incontestabile, inattaccabile e intoccabile eguaglianza degli esseri viventi. Per me attaccare, ancora, volgarmente, i diritti di uomini e donne, etichettati per una loro particolarità, che sia il gusto sessuale, o il colore della pelle, o la razza o la religione o quant’altro, è disumano e va condannato senza esitazione. Senza distinguo e senza incertezze.

Barack Obama, lo scorso lunedì, prestando giuramento come presidente degli Stati Uniti, ha detto, senza giri di parole, che il percorso di un popolo non è completo finché anche un solo fratello o sorella gay non potranno vedere i loro diritti rispettati come quelli di tutti gli altri. E così per i neri, per le donne, per gli ebrei, i musulmani, gli asiatici o gli ispanici. E per gli immigrati. Come donna, immigrata, appartenente alla fascia dei meno abbienti, gli sono stata grata. Profondamente.

E ci sono quelli, ovviamente, che sono pronti a ricordare che Guantanamo è ancora aperta. Quelli che c’è sempre “ben altro”. Come se il diritto di milioni di gay, di donne, di immigrati e di appartenenti alle minoranze etniche fosse sempre un valore secondario. Meno importante. Come se cominciare da quelli non preparasse, davvero, il cammino verso un futuro migliore.

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