Come abbiamo affermato nel post precedente, l’energia non è un tema di questa campagna elettorale. Sarebbe comunque utile discuterne, poiché è a partire da una piattaforma energetica che un Paese costruisce la propria economia e l’Italia ha una bilancia dei pagamenti fortemente appesantita dalla bolletta energetica. Inoltre, da quanto e da cosa brucia un Paese dipende la qualità dell’aria che respirano i suoi abitanti.
Il governo uscente, purtroppo, ha lasciato i suoi segni sulle energie rinnovabili ma nessuno apre un dibattito su un bilancio negativo che andrebbe urgentemente corretto. In questi giorni l’Enea ha fornito dati molto accurati che dimostrano che dal 1990 il livello di efficienza energetica in Italia è diminuito in tutti i settori. Intanto i prospetti del Gse dicono che nel 2012 la quantità di pannelli installati è crollata rispetto al 2011 (si stimano 4 GW rispetto ai 9 allacciati alla rete nel 2011).
Il decreto del 6 luglio 2012 che incentiva eolico, idroelettrico, geotermoelettrico e biomasse ha introdotto limiti alla capacità installata e una pesante burocratizzazione per il sistema delle richieste. Le domande sono state così scarse da essere tutte accettate. Per quanto riguarda l’eolico sono stati ammessi 442 MW, (la quantità disponibile era di 500 MW), per quello sul mare è giunta una sola richiesta per un impianto di 30 MW a Taranto, a fronte di un contingente di 650 MW! Per la fonte eolica si è così passati da una media di installazioni da 1.000 a 250 MW annui.
L’occupazione in tutti questi settori appare seriamente minacciata. D’altra parte il governo dei tecnici ha trattato le rinnovabili considerandole solo una spesa e come tale l’ha tagliata. Nel caso delle rinnovabili, averle considerate solo un costo ha significato ignorare il numero di imprese e posti di lavoro creati, la quantità di energia prodotta, il corrispondente calo dell’import di gas, la riduzione delle emissioni e il calo del prezzo all’ingrosso della corrente. Questo significa aver prodotto un effetto recessivo sull’economia già in drammatico rallentamento. Nel 2011, il solo fotovoltaico aveva generato, a fronte di 4 miliardi di incentivi, 39 miliardi di euro di prodotto interno lordo e 40 miliardi di investimenti. Al contrario degli investimenti tossici delle banche, questi investimenti hanno prodotto energia, lavoro e migliorato l’ambiente.
La situazione è resa ancor più critica dal cappio al collo messo ai Comuni con il patto di stabilità. Nei Comuni non si fa più niente se non riscuotere tasse da inviare a Roma. Dopo l’Imu arriva la Tares, dove lo Stato impone ai Comuni di conteggiare oltre alle spese per l’igiene ambientale anche quelle per l’illuminazione pubblica e la manutenzione delle strade. Inoltre lo Stato preleverà dai Comuni 38 centesimi per ogni mq di superficie tassabile ai fini della tassa rifiuti.
Cambia così la natura dei Comuni che da erogatori di servizi pubblici diventano gabellieri tout court visto che col patto di stabilità si tagliano i servizi. Questa situazione potrebbe stimolare i Comuni a ricercare nuove risposte per ridurre i costi di gestione dei servizi a rete (elettricità e calore in particolare) ma come si fa a modificare le tecnologie oggi utilizzate ad esempio nell’illuminazione pubblica o nel solare se non si possono fare investimenti? Allora non sarebbe male discutere di come incentivare un’economia verde. Anche con l’introduzione di una “fiscalità taglia-emissioni” che regoli, per esempio, l’Imu sulla base della classe energetica della casa, il bollo dell’auto sulle emissioni inquinanti anziché sui KW del veicolo, e che sostituisca, come propone intelligentemente il Wwf, l’Iva sui prodotti con l’Imposta di Carbonio Emesso (ICE), in altre parole la tassa sulla loro produzione di CO2 nelle varie fasi di lavorazione.