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Caso Mps, Antonio ‘Superbonus’ Rizzo: “Così ho denunciato i manager infedeli”

L'ex funzionario della banca d'affari tedesca Dresdner rivela i retroscena delle sue accuse alla 'banda del 5%': "Il responsabile dei prodotti finanziari del mio ex gruppo mi raccontò delle stecche dei senesi come se fosse qualcosa di normale e risaputo a Londra"
Caso Mps, Antonio ‘Superbonus’ Rizzo: “Così ho denunciato i manager infedeli”
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Una sera a cena ti dicono: “Quelli di Mps sono conosciuti a Londra, lo sanno anche i muri che sono la banda del cinque per cento”, era una sera del 2007. La conversazione è registrata, la conoscono i magistrati di Milano e anche i colleghi di Siena perché l’indagine è stata trasferita. Chi l’ha ascoltata in presa diretta – e ne ha fatto memoria oltre una denuncia interna – si chiama Antonio Rizzo, in arte Superbonus per i lettori del Fatto, ex funzionario di Dresdner, una banca d’affari tedesca. Quelli di Mps si traducono in Gianluca Baldassarri, ex capo per la finanza del Monte dei Paschi e Matteo Pontone, ex responsabile per le filiali londinesi.

Rizzo, perché “la banda del cinque per cento”?
La definizione non è mia, anzi, per me fu una rivelazione di Michele Cortese, che vendeva i prodotti finanziari di Dresdner e voleva placare i miei sospetti.

Cosa aveva notato?
Qualcosa che davvero non si poteva non notare. Il Monte dei Paschi aveva acquistato da Dresdner un derivato da 120 milioni di euro che ci tornava indietro per la solita ristrutturazione perché questi titoli inficiavano lo stato patrimoniale di Rocca Salimbeni. A un certo punto, venni a sapere che avremmo pagato un’intermediazione a Lutifin, una società svizzera con sede a Lugano: 600mila euro, e non ce n’era bisogno perché quel titolo non aveva strade alternative a Dresdner. Questo mi fa nascere un dubbio enorme.

Che qualcuno in Dresdner voleva steccarsi quei 600mila euro?
Esatto. Però mi dicevano di stare zitto, buono e tranquillo, ma non volevo far parte di questo giro. Il mio superiore Lorenzo Cutolo, persona perbene, spingeva per il riacquisto di questi titoli ristrutturati da Mps Londra e in quell’occasione mi dissero di Lutifin. Anche Cutolo credeva che fosse assurdo pagare un broker per un affare già in tasca e non certo procacciato da terzi: aveva protestato, aggiunse, rischiando anche il licenziamento. Ma l’ordine era uno: tacere.

Non si arrese, e incontrò Cortese.
Io temevo un maneggio interno e invece lui, come se il particolare e il metodo fossero di pubblico dominio, mi disse che Baldassarri e Pontone avevano ricevuto un’indebita commissione attraverso Lutifin. Riporto le parole testuali: “Non ti preoccupare, la cresta non la facciamo noi. Lo sanno tutti che quelli di Mps sono la banda del cinque per cento”.

La voce di Cortese rimase impressa sul nastro e poi finì ai magistrati di Milano. Come?
La Procura indagava su Lutifin, su uno strano giro di denaro, e mi convocarono per chiedermi se sapevo di Lutifin: beh, più che conoscere questa società svizzera, avevo raccolto molto di più. Mi ascoltarono il 13 ottobre del 2008. Resa la mia testimonianza, la Procura chiese gli atti a Dresner e fece una perquisizione nella sede di Milano.

Cosa c’entrano i derivati con le creste?
Non mi sembra impossibile steccarsi i soldi con i broker, alcuni ti procurano affari, alcuni – come nel caso di Lutifin con Mps – non servivano a nulla se non a fare un profitto. Nelle transazioni sono stati utilizzati anche broker coreani che c’entrano poco con la finanza europea. Su Bankitalia è Superbonus che parla: trovo difficile credere che la Procura di Milano non abbia trasmesso gli atti a Bankitalia dopo la perquisizione alla sede milanese di Dresdner.

di Carlo Tecce

da Il Fatto Quotidiano del 30 gennaio 2013

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