“Investite in una grande banca per far crescere un grande Paese”, avvertiva lo spot patriottico lanciato da Unicredit un anno fa per pubblicizzare l’aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro. Di italiano, però, c’è sempre meno nella banca guidata da Federico Ghizzoni. L’ultima società estera a investire nell’istituto di credito italiano, che è anche il primo azionista di Mediobanca, è il fondo d’investimento americano BlackRock, che detiene ora il 5,036% del capitale della banca ed è diventato così il secondo azionista della banca, dietro al fondo arabo Aabar che ha una partecipazione del 6,5% e davanti ai russi di Pamplona (5,011%).
La quota di capitale di Unicredit in mano a grandi soci esteri, secondo quanto emerge dalle comunicazioni della Consob sulle partecipazioni rilevanti, sale quindi al 25% circa del capitale, considerando anche le partecipazioni della Banca centrale libica (4,61%), di Capital research and management (2,73%) e di Allianz (2,016%). Resta quindi soltanto il 9% di Unicredit nelle mani dalle ultime tre grandi fondazioni azioniste (Cariverona, Crt e Carimonte), puntellato dal 2% del patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio oltre che dalle famiglie Caltagirone, Maramotti, Della Valle e Pesenti, nonché dalle piccole quote detenute da alcune fondazioni minori. Alla fine del 2012, poi, era circolata l’ipotesi di un matrimonio tra Intesa Sanpaolo e Unicredit proprio per proteggere l’italianità di Piazza Cordusio, ma l’ipotesi è tramontata sotto le smentite di tutti i possibili artefici del progetto.
L’avanzamento in Italia di Blackrock, la più grande società d’investimento nel mondo e tra i protagonisti della finanza più influenti a Wall Street e Washington, non si limita a Unicredit. Il fondo ha infatti rivelato lunedì scorso un aumento di partecipazione significativo, dallo 0,07% all’1,91%, in Saipem, società petrolifera del gruppo Eni finita negli ultimi giorni sotto i riflettori della Consob per un crollo improvviso a Piazza Affari che puzza di insider trading. Un interesse in linea con l’aumento delle partecipazioni del colosso americano in società quotate a Piazza Affari registrato in seguito alla fusione conclusa nel 2009 con Barclays Global Investors, quando la fetta di “italianità” in mano al fondo valeva oltre 8,9 miliardi di euro e includeva il 3,01% in Enel, il 2,72% in Eni, il 5,87% in Mediaset. E ancora il 2,74% in Fiat e il 2,24% in Finmeccanica. Ma gli occhi di BlackRock sono da sempre puntati soprattutto al settore bancario italiano, dove il fondo americano ha avuto in mano il 3,25% della Banca Popolare di Milano, il 3,08% di Intesa Sanpaolo, il 3,01% in Mediobanca e il 3,09% in Ubi Banca.
Tornando a oggi, la presenza in Unicredit di Blackrock, che gestisce un patrimonio totale di 3.670 miliardi di dollari, non è nuova: un anno fa, dopo la chiusura dell’aumento di capitale della banca, risultava attestata al 3,106% del capitale. A novembre aveva poi chiesto, usufruendo di un’esenzione prevista dalla Consob, che le partecipazioni comprese tra il 2% e il 5% e detenute nell’ambito dell’attività di gestione del risparmio, tra cui anche quella in Unicredit, non fossero più considerate rilevanti. Ed era così sparito dall’elenco dei soci. Per poi ricomparire ora, con il superamento della soglia del 5%, a rendere sempre più internazionale la proprietà dell’istituto guidato da Ghizzoni.