La storia ha del paradossale e sembra uscita dalla penna di un grande romanziere mentre è tutto vero, anzi, tutto drammaticamente falso.
Il 22 gennaio scorso il Consiglio dei ministri annuncia, con un roboante comunicato stampa, di aver approvato il testo di un provvedimento con il quale sarebbe stato sancito il principio della trasparenza assoluta di tutti gli atti ed i documenti della pubblica amministrazione “sul modello di quanto previsto negli Stati Uniti con il Freedom of information act” [n.d.r. FOIA].
La legge americana, lo si ricorda nello stesso comunicato stampa di Palazzo Chigi “garantisce l’accessibilità di chiunque lo richieda a qualsiasi documento o dato in possesso delle Pa, salvo i casi in cui la legge lo esclude espressamente (es. per motivi di sicurezza)” senza alcun obbligo di motivazione delle ragioni che giustificano l’istanza di accesso.
Nei giorni immediatamente successivi, tuttavia, alcune indiscrezioni iniziano a far sospettare che il comunicato stampa di Palazzo Chigi non rifletta il contenuto del provvedimento approvato dai ministri.
Il dubbio più grosso riguarda il fatto che il governo non ha mai ricevuto dal Parlamento una delega idonea a consentirgli di attuare una simile rivoluzione epocale che segnerebbe un cambio di paradigma nella relazione tra pubblico e segreto nell’amministrazione italiana.
Il 24 gennaio, scrivo personalmente alla segreteria generale della Presidenza del Consiglio dei ministri all’indirizzo reso disponibile online [n.d.r. uscm@palazzochigi.it] per chiedere chiarimenti ed altrettanto faccio attraverso l’account twitter dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi, pubblicizzato sulla home page del sito del governo.
E’ una richiesta di accesso al testo di una legge sulla trasparenza.
Niente da fare. Nessuno risponde, neppure con un risponditore automatico che informi che la risposta arriverà.
Nelle ore successive, la società civile si mobilita in Rete e via Twitter chiedendo, al governo trasparenza, almeno, sulle nuove regole in materia di trasparenza.
La richiesta è semplice e perentoria: Palazzo Chigi pubblichi lo schema del provvedimento approvato, confermi la correttezza del comunicato stampa o, invece, rettifichi la notizia, chiedendo scusa ed assumendosi le proprie responsabilità.
Segue, per giorni, un rumoroso silenzio.
Sembra un paradosso: il testo di un decreto che stabilirebbe il principio della trasparenza assoluta dell’amministrazione è secretato e le mura di gomma di Palazzo Chigi – prima amministrazione dello Stato – rimbalzano ogni richiesta di accesso.
Ieri, finalmente, il silenzio si rompe.
Ma non è il governo dei professori a parlare.
Il muro di ipocrisia istituzionale è squarciato da alcune indiscrezioni.
Trapelano due schemi diversi del fantomatico decreto sulla trasparenza [n.d.r. prima quello entrato a Palazzo Chigi e, quindi, quello che sarebbe stata addirittura approvato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri].
Sono le organizzazioni della società civile a pubblicarle mentre il governo continua a tacere.
Il testo degli schemi di decreto conferma i peggiori sospetti.
Nel decreto non c’è traccia dei democratici principi alla base del freedom of information act di matrice statunitense e non c’è nulla che lasci pensare che l’amministrazione abbia davvero scelto di rendere di vetro le proprie mura anche in Italia.
Una sola norma tra le decine di disposizioni che compongono lo zibaldone uscito da Palazzo Chigi è sufficiente a raccontare il vero contenuto del decreto: “Tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli”.
Come dire che il governo avrebbe deciso di rendere pubblico ciò che già, altre norme vigenti, stabiliscono essere pubblico.
La conferma arriva da una delle ultime disposizioni contenute nello schema del provvedimento attraverso la quale si dispone l’abrogazione di decine di previsioni di legge già presenti nel nostro ordinamento: abrogate per essere riproposte in salsa diversa nel nuovo provvedimento sulla trasparenza.
Ma non basta perché si abrogano disposizioni che già obbligano l’amministrazione ad essere almeno un po’ trasparente per sostituirle con previsioni che diverranno efficaci chissà quando e, comunque, non prima che siano trascorsi almeno sei mesi dall’entrata in vigore del decreto.
Altro che principio della trasparenza assoluta e freedom of information act.
Siamo di fronte ad una gravissima “bufala istituzionale”, probabilmente dettata da inaccettabili finalità propagandistiche legate alla campagna elettorale in corso nella quale il Premier uscente è uno dei canditati leader.
Verrebbe voglia di chiedere le dimissioni dell’intero governo dei Professori ma non si può perché è già dimissionario e, quindi, non si possono che pretendere, almeno, le sue scuse, formali, a reti unificate, a tutti i cittadini italiani per averli presi in giro, promettendo trasparenza assoluta e dando loro, invece, solo parole vuote, scritte da azzeccagarbugli istituzionali.
Un ennesimo imperdonabile atto di ipocrisia istituzionale, un ennesimo attentato ai principi della nostra costituzione che non tollerano che i rappresentanti prendano in giro i rappresentati.