Se quella di mercoledì era la classifica (parziale) della vergogna, quella definitiva che ha visto vincere Mengoni è la classifica del rimpianto. Elio e le Storie Tese secondi, i terzi non li nomino nemmeno perché c’è un limite a tutto. C’era poi la giuria di qualità, cioè quel nugolo di personcine capitanate da Nicola Piovani che hanno spostato gli equilibri della gara. La qualifica per la quale potevano fregiarsi del concetto di qualità? L’essere famosi.
Ora, da subito non ho riposto un solo centesimo su che credibilità possa avere una giuria composta da persone meno qualificate a giudicare dei pezzi. Attenzione, non parlo di chi da casa ha legittimamente televotato. Parlo di persone messe lì apposta per esprimere un giudizio di qualità. Su che base? Boh, lo sanno solamente gli autori. Nella giuria di qualità, tra i tanti, Coccoluto avrebbe dovuto incarnare l’animo giovanile, però di cassa in 4/4 nemmeno l’ombra. L’étoile italiana a Parigi poi? No comment, avvisatela che Verdi e Wagner, diretti in quella serata dal maestro Daniel Harding, non erano in gara. E poi c’era pure Beppe Fiorello, trascinato per la giacchetta per la promozione della mini-serie prossimamente in onda su RaiUno su Modugno, anche lui fuori gara. Marchettone? Non pensate male eh.
Insomma pare che ai fini della classifica finale, sia stato proprio questo giudizio “di qualità” a far pendere la bilancia dalla parte di Mengoni. Ed è stato un peccato in primis proprio per Elio & Company, unici del podio a potersi fregiare del titolo di canzone un po’ fuori dagli schemi, su quel palco. Se Mengoni riesco anche a tollerarlo, perché la voce ce l’ha, ma sono i pezzi che proprio latitano, ecco che dei terzi classificati non ne comprendo proprio la ragione ontologica. Si fanno capitanare da un quarantenne che si fa chiamare Kekko, sìsì, con le k, avete letto bene. Ora io dico, e ti presenti pure a Sanremo? Sì, si presenta, e ci mancava poco che non vincesse, affossato senza pietà dalla critica (deo gratias). E con un pezzo di una nullità che sconcerta.
Il problema dell’Italia è letteralmente culturale, a livello di musica. E’ assurdo e inutile fare paragoni con l’Inghilterra, la Francia, l’America (e anche la Germania). E’ che siamo fatti così, abbiamo una storia che parla per noi. I nostri gusti e la musica che ascoltiamo sono il riflesso del nostro modo d’essere. Poco inclini allo sperimentare, all’azzardo, alla diversità. In tutti i campi. Ecco che io mi incavolo pure per questa cosa, poi però ci rifletto e penso che non può che essere così. E che le cose non cambieranno. L’altra sera Bisio, nella seconda parte del suo monologo senza verve, ha fatto passare un concetto giustissimo. Il problema siamo noi che deleghiamo, che la responsabilità è sempre degli altri. Il problema dell’Italia sono gli italiani. Ma a noi piace così, a noi va bene così. E allora i Modà, ecco li ho pure nominati, terzi. Che forse è pure peggio.