E’ il partito che non c’è. Ma è quello che conta più simpatizzanti di ogni altro e che decreterà gli equilibri che usciranno dalle urne lunedì prossimo. E’ il partito dell’astensione. A cui si sommeranno, probabilmente, un numero imprecisato ma cospicuo, di quelli che oggi si dichiarano “indecisi” e che, alla fine, getteranno la spugna. Per la prima volta nella storia di questo Paese, che è sempre stato più in alto degli altri paesi europei come percentuale di votanti, arriverà a raggiungere un livello di astensione pari quasi al 30%. I sondaggisti, in questi giorni di silenzio forzato, alzano però il fronte dell’allarme: da disaffezione e disistima nei confronti delle forze politica, ma anche come segnale di indignazione morale nei confronti di un ceto politico che resiste ad ogni necessità di rinnovamento e di cambio della guardia. Insomma, pur di non votare “le stesse facce” e dare il proprio consenso ad un’offerta politica che appare inadeguata ai tempi e alle necessità di crescita e di rinnovamento oggettivo del Paese, si preferisce disertare le urne.
Eppure non è sempre stato così. Gli italiani, si diceva, sono sempre andati alle urne più massicciamente della media europea. Fino al 1976 (l’anno del temuto sorpasso del Pci sulla Dc) il partito del non voto rappresentava il 6,6% dell’elettorato, ma negli ultimi trent’anni la situazione è andata gradualmente modificandosi. Nel 2001 l’affluenza era scesa all’81,4% (schede non valide 6%) e nelle elezioni politiche del 2008, dopo l’arresto apparente del fenomeno nel 2006, l’incidenza di non votanti ha raggiunto quota 19,5%. Alle ultime politiche ha votato, dunque, l’80,5% . Ma è una quota che oggi appare difficile da raggiungere. Probabile, dunque, che da lunedì prossimo si comincerà ad analizzare anche in Italia il fenomeno della diserzione dal voto. E i suoi mille perché. Generalmente la decisione di non votare può rappresentare una forma di protesta, di insoddisfazione verso le proposte formulate dai partiti e quindi coinvolgere cittadini politicamente consapevoli, integrati e collocati al centro della società. Ora, dunque, cosa ha condotto gli italiani verso questa profonda disaffezione, a questo palese distacco nei confronti dei partiti e i loro leader? E per quale motivo andare a votare, stavolta, è così imbarazzante per molti?
Elena G. Polidori, scrittrice e giornalista politica del Quotidiano Nazionale, ha dato voce a Teresa, una funzionaria di alto grado della macchina elettorale del Viminale, una donna cittadina attiva nella politica e nel mondo delle istituzioni, per cercare di trovare una risposta a queste domande. Lo ha fatto in un libro, La folla sceglie sempre Barabba – La tormentata vigilia di un elettore, edito da Aliberti, nel quale racconta il vero e proprio dramma umano e professionale di chi, come Teresa, ha sempre visto nelle elezioni il significato più vero e più forte dell’azione democratica. E, in più, sono il suo lavoro.
Oggi, però, Teresa si rende conto, drammaticamente, di aver sbagliato tutto. O meglio: che non tutto è come lei ha sempre pensato, immaginato e costruito. La delusione è tale che Teresa, al culmine del suo dramma personale e riflettendo sul senso della politica e sulla sua partecipazione al voto, urla a se stessa il suo rifiuto per l’urna: “No, questa volta non lo faccio, non nel mio nome…”. Teresa è una donna assolutamente reale, che all’autrice è sembrata “il prototipo della persona per bene che crede nello Stato e nella democrazia” e il cui sfogo è stato sapientemente sfruttato per fare un’analisi severa di quanto accaduto nell’ultimo anno nel Paese, ma anche per raccontare quello che è il dramma di ognuno di noi davanti a queste nuove elezioni che di nuovo non hanno davvero nulla. A parte Grillo, ma poi è nuovo davvero?
“Queste elezioni – sostiene Elena G. Polidori – non sono come quelle del 2006 o del 2008, perché negli ultimi mesi del quarto governo Berlusconi l’Italia si è ritrovata in un territorio occupato dai mercati e da saccheggiare per disintegrare quel poco che restava del suo sistema produttivo. Le leggi sul lavoro e sullo sviluppo sembrano state scritte per rendere la popolazione sempre più una massa di mano d’opera a basso costo, alla mercé delle élite finanziari internazionali e dei suoi burattinai mascherati a uomini delle istituzioni. Il programma presentato da Monti è parso subito scritto da organismi sovranazionali e la realtà, poco più tardi, ha suffragato pienamente questa sensazione, con la trasformazione di Monti in candidato premier dei poteri finanziari internazionali”.
“La politica – prosegue Polidori – non è più come diceva Pietro Calamandrei, “la forma più alta di servizio al popolo”, è diventata il modo con cui circa un migliaio di persone, i parlamentari della Repubblica, vivono in modo quasi parassitario sulle spalle dei cittadini italiani. Che non sanno come imporre un cambiamento se non attraverso il segnale di una dolorosa astensione dal voto”. Tutelati da una legge elettorale come il Porcellum che alimenta la prosecuzione di questa classe politica che non accetta ricambio e toglie la scelta democratica diretta ai cittadini, e da un sistema di finanziamento pubblico che dispensa a piene mani denaro pubblico nei forzieri delle segreterie politiche, la casta dei politici si appresta ancora una volta a ritrovarsi nei corridoi dei palazzi istituzionali dove si rivedranno comparire quasi le stesse facce di sempre, qualcuno addirittura con vent’anni di legislature sulle spalle, con una “novità” rappresentata solo da Grillo, dunque quale novità reale?
Dice la protagonista di questo libro al culmine del suo strazio: “Andremo a votare con il Porcellum, senza poter scegliere i candidati. Eleggeremo un migliaio di parlamentari, come sempre. La sinistra ripropone il governo dell’Unione, già miseramente fallito con Prodi nel 2006-2008. La destra manda in campo ancora Berlusconi, il demagogo che ha occupato la scena degli ultimi vent’anni. Il centro presenta una rivisitazione di quello che è stato il prodotto migliore che ha saputo estrarre dalla storia: una piccola Dc, nobilitata e abbellita dal marchio Monti. E alla Camera, chi sceglierà Monti dovrà tenersi Casini e Fini, con tutto il seguito di vecchie glorie della seconda Repubblica. Glorie». La folla sceglie sempre Barabba è un libro amaro ma lucido, con il quale l’autrice ha voluto regalare ai lettori uno strumento di riflessione su cosa rappresenta davvero, in questo momento, l’esercizio del voto “perché ciascuno possa trovare in se stesso – conclude Polidori – una ragione vera per esprimere il proprio consenso senza pensare, con quell’atto, di alimentare la macchina infernale della casta dalla quale non riusciamo a liberarci. A meno di non mandare un segnale preciso alla politica che la misura è colma. Togliergli il voto è uno dei modi possibili, di sicuro il più democratico”.