Sembra proprio che alcune istituzioni nostrane siano destinate a non cambiare mai.
La Società Italiana degli Autori ed Editori (Siae), ovvero l’ente pubblico economico a base associativa preposto alla protezione e all’esercizio dell’intermediazione dei diritti d’autore, presieduta dall’ultranovantenne Gian Luigi Rondi, è sicuramente tra queste.
L’Ente, oggetto da diversi mesi di critiche anche aspre, che hanno investito pressoché tutti gli ambiti di competenza dell’istituzione, ha riportato di fronte al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, una significativa (quanto insperata) vittoria.
Il Tar ha infatti respinto il 21 febbraio in sede cautelare, la richiesta di annullamento dello Statuto della Siae presentata ad inizio gennaio dalle Associzioni Acep, Arci e Audiocoop, che avevano promosso il ricorso e raggruppato musicisti indipendenti e case discografiche di piccole e medie dimensioni.
Alla base dell’impugnazione, secondo quanto riportato dalle stesse associazioni vi sarebbe la circostanza che il nuovo Statuto attribuirebbe, in maniera pressoché esclusiva, la governance della società agli associati più ricchi ovvero a quelli che beneficiano delle somme maggiori in sede di riparto dei diritti d’autore incassati dalla Siae.
E’ la legittimazione del cd voto pesante. In questo modo le delibere assembleari relative, essenzialmente, alla nomina del Consiglio di Sorveglianza al quale lo Statuto affida, sostanzialmente, la totalità delle scelte relative alla vita dell’Ente, dipendono esclusivamente dagli associati più ricchi ovvero i grandi editori musicali facenti capo e i grandi cantautori della musica leggera italiana..
Un disparità che sembrerebbe, a prima vista, evidente. Talmente evidente da spingere le associazioni ad agire sperando di poter ripetere quanto già accaduto nel 2002 (con diversi ricorrenti peraltro ), quando, con due sentenze, pubblicate rispettivamente il 10 e il 20 maggio 2002, il Collegio giudicante della Terza sezione ter. del Tar Lazio aveva annullato parte dello Statuto Siae, componendo così contraddizioni intrinseche al medesimo ed abolendo alcuni privilegi a favore di certe categorie.
In particolare, con la stessa sentenza e la successiva del 20 maggio, il Tar aveva dichiarato illegittima la suddivisione in categorie (associati ordinari e straordinari) nella misura in cui questa consentiva l’accesso al diritto di voto in assemblea ai soli associati ordinari e, parallelamente, disponeva solo per essi la ripartizione dei compensi in base al “criterio reddituale”, escludendo parimenti la categoria dei titolari dei cosiddetti “diritti connessi” dalla percezione dei relativi diritti.
Ma il Tar questa volta, impermeabile alle istanze che sembravano provenire anche dalla società civile per una modifica in senso “democratico” della Siae, ha invece ritenuto legittima la ripartizione del diritto di voto, in quanto espressione dell’ esercizio di discrezionalità amministrativa.
Il richiamo alla discrezionalità amministrativa ed i cenni alla legittimità del cd voto pesante, anche in sede comunitaria, seppur in sede cautelare, lasciano ben poco spazio alla fantasia e poche speranze in un successivo ribaltamento della pronuncia dello stesso Tar, nonostante l’ottimismo, ed il senso di responsabilità nell’accettare le pronunzie dei giudici dimostrato dalle stesse associazioni, nelle ore successive alla diffusione della notizia.
A questo punto sarebbe necessario un intervento normativo che definisse il ruolo e le funzioni della Siae, evitando lunghe ed estenuanti battaglie legali, istituendo anche meccanismi di scelta democratici e più in linea con il mutato scenario tecnologico.