Antonio Ingroia ha “vilipeso la Corte Costituzionale”. Con questa accusa il procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani, ha aperto un fascicolo disciplinare a carico dell’ex pm di Palermo.
Ingroia aveva commentato in più occasioni infatti la decisione della Corte che ha dato ragione al Quirinale, stabilendo l’immediata distruzione delle intercettazioni delle telefonate tra Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia (coordinata dallo stesso Ingroia). Il magistrato, in varie interviste, aveva definito la sentenza, oltre che politica, “bizzarra”, aveva parlato di una decisione “impropria” e aveva osservato: “Le ragioni della politica hanno prevalso su quelle del diritto”. Per questo ora Ciani, titolare insieme al ministro della Giustizia dell’azione disciplinare, lo accusa di avere emesso una sentenza politica e di non aver rispettato i suoi doveri di correttezza ed equilibrio.
Il lavoro svolto finora dalla Procura generale della Cassazione, comunque, è soltanto un lavoro di pre-istruttoria in cui verranno raccolti tutti gli atti e fissate eventuali audizioni. Solo dopo Ciani deciderà se formulare una richiesta di archiviazione oppure di processo disciplinare su cui si pronuncerà il Consiglio superiore della magistratura.
L’ex candidato premier si è detto, però, sereno. “Ho appreso solo dai giornali di questa presunta iniziativa – ha dichiarato – Sono tranquillo perché so di non aver commesso alcun illecito, ma di avere espresso solo un’opinione. Mi auguro che il diritto di critica in Italia sia ancora consentito, anche ai magistrati”. Ingroia, al momento della sentenza dei giudici costituzionali, non svolgeva più le funzioni di procuratore aggiunto a Palermo, ma era un magistrato fuori ruolo, in Guatemala per ricoprire un incarico dell’Onu contro il narcotraffico.
L’ex procuratore aggiunto di Palermo aveva avuto dal Csm un’aspettativa elettorale per partecipare alle elezioni come candidato premier di Rivoluzione civile, ma visto che con la sua lista non è riuscito a raggiungere la soglia per entrare in Parlamento, ora dovrà decidere se continuare il suo impegno politico, e quindi lasciare la magistratura, oppure proseguire la sua carriera giudiziaria. Con la proclamazione degli eletti al Parlamento infatti scadrà l’aspettativa e, salvo sue decisioni diverse, dovrà tornare in Guatemala o in alternativa rimettere indosso la toga, non da pm perché la legge glielo impedisce, ma da giudice e in luoghi diversi da quelli in cui si è candidato. In entrambi i casi comunque non potrà contemporaneamente fare politica.