Cultura

The voice, Carrà ritorna in Rai: “Bisogna avere il coraggio di essere se stessi”

Sarà tra i giudici nel talent show 'The Voice'. "Io non canto e non ballo, per questo ho accettato". Su Beppe Grillo: "Credo nella sua rivoluzione e spero che la porti avanti" e ricorda: "Berlusconi per avermi a Canale 5 mi regalò un gioiello, ma gli dissi di no"

di Malcom Pagani

Con la sigaretta nella destra: “Non fumo marijuana, non bevo alcolici, ma due tiri me li concedo sperando di sfangarla” e i decenni nel pugno: “Ho sempre amato la creatività, ma siccome non mi stava mai a sentire nessuno, ho dovuto fare l’autrice di me stessa”. Raffaella Maria Roberta Pelloni torna a travestirsi da Carrà. Un talent su RaiDue da giovedì in prima serata. Un titolo, The voice, che evoca il Sinatra invaghito di Raffaella e prodigo di regali eccessivi su un antico set ampezzano dei ’60. Un format di successo europeo condotto dall’attore Fabio Troiano in cui quattro giudici girati di spalle (con lei Pelù, Cocciante e Noemi) valuteranno con il solo orecchio toni e timbri delle esibizioni di 4 squadre da 16 ragazzi destinati alla sorte dei piccoli indiani di Christie. 

Ne rimarrà in piedi uno solo, inciderà con la Universal e Raffaella, che eretta sta da sempre, è contenta: “Anche se non sono la protagonista assoluta o forse proprio per questo”. Parla di tv “modernissima”. Di “curiosità” che la fa “vibrare” e conserva il lusso del dubbio: “L’idea di fare l’allenatrice mi esalta e in The voice credo. Magari sbaglio. RaiDue non vive la sua stagione più florida, ma intanto scommette su una diretta. Non bisogna aspettarsi milioni di spettatori, ma si crea un rapporto con il pubblico e si accende qualcosa, siamo pronti”. Fermava i turisti con Morandi, “La fiola della Iris”. Lui a cantare tra i viali di Bellaria, lei a chiedere “perché lo fai?” e sua nonna: “talent scout nata” a indicare il futuro dal bancone di un bar: “Te vedrai ‘sto ragazzo come diventa grande”. Tra danze, cinema, prosa e tv ce l’ha fatta anche la bionda di Bologna, nata nello stesso anno di Dalla. Anche se ora non ha fretta: “Ho paura che la gente mi dica ‘ancora lei!’ più che qualcuno domandi ‘che fine ha fatto?’” e la contabilità non la affascina: “Bisogna avere coraggio nella vita. Io l’ho nell’essere me stessa. Sarà così fino alla fine”.

Lei è scaramantica?
Molto peggio di Michele.

Michele chi?
Santoro. Qualche inquietudine la covo. In The Voice non canto e non ballo. Il timore è che il pubblico disabituato a una veste diversa non si riconosca.

Lei non può tremare. È in tv dal ’70.
“Io, Agata e tu”. Nino Ferrer e l’altro Nino, Taranto. Mi lanciai: “Vorrei 3 minuti solo per me. Perché padre Rotondi ha 3 minuti e io no?”.

Le fecero la misericordia.
Debutto in pigiama cantando “Oh che bel castello”. Venivo da cinema, teatro e prosa in tv. Sorpresi. Mamma mi telefonò: “Ma eri tu che ballavi ieri sera? Eri scatenata. Non ti conoscevo così”. E io, rapida: “Sono cresciuta”.

Da Hollywood intanto, dopo i film con Vancini e Monicelli, era fuggita.
Avevo 19 anni, l’Emilia in testa e quel mondo fatto di parties (qui Raffaella allunga platealmente le vocali, ndr) e convenevoli mi era estraneo. Gente che non avevi mai visto: “Darling, darling”. Vitelloni all’assalto: “I love you, I love you”. Ma I love a chi? Ma chi ti conosce?

Lei era bella. Secondo Little Tony e con rispetto parlando: “’bbona, ‘bbona”. Rimarcò, anche: “Se proprio me lo volete fà dì, una bonazza”.
Bellissima non so. Avevo un fisico prepotente su una faccia da bambina. Ora che ho le rughe sono più contenta.

Ettore Bernabei aveva ragione: “Lei è come la Ferrari, la esporremo ovunque”.
Avevo fatto un bellissimo programma e volevo conoscere il misterioso direttore generale. Distrattamente, senza malizia, entrai nel suo ufficio in short.

Apriti cielo.
Passai da un buco nella rete, ma mettersi top e minigonna era l’assoluta normalità. In occasione dei suoi 70 anni, ero in disparte . A un tratto prende la parola: “Voglio ringraziare quella ragazza che un giorno vidi nel mio ufficio”. Parlava di me. Mi prese un colpo.

La Rai dei ’70.
A Leone, con Japino, ho proposto un progetto per una scuola televisiva che costruisca le Carrà di domani. Gente che sappia ballare e cantare. Le garanzie poi non te le dà nessuno e conta anche la fortuna.

Lei è stata fortunata?
Molto. Avrei volto dipingermi un passato da piccola fiammiferaia, ma non era vero. Ero benestante, mia madre e mia nonna mi lasciavano libera di seguire l’istinto che mi ha fatto restare attaccata alla precarietà di questo mondo.

Scuola di danza a 3 anni.
E a 8 di corsa a Roma, per frequentare l’Accademia di danza. Fatica bestiale. Sempre sulle punte. Quando Jia Ruskaia mi catechizza: “Se ti impegni potresti diventare coreografa a 28 anni” mi dico “manco morta” e mi do alla macchia in un amen.

Idiosincrasie?
Anche se oramai ci ho fatto il callo, odio lo snobismo di certi giornalisti, soprattutto ma non solo di sinistra, che faticano a concederti qualcosa. L’altro giorno la Venegoni de La Stampa ha detto in tv che sono molto umana. Forse voleva farmi un complimento, ma andare in scena presuppone una magia.

Roberto D’Agostino disse che era stata dichiarata sito archeologico.
Ho vissuto con Boncompagni 11 anni. Vuole che non abbia imparato l’arte dell’autoironia?

Più paura di The Voice o di Beppe Grillo?
Un giorno mi chiama in Rai. Mi sposto in un ufficio, circondata da martelli: “Farò qualche battuta su tua madre, ti spiace?”. In quei giorni rischiava di morire. Gli dissi: “Abbattimi, ma lasciala stare”. Lui cestinò il monologo. Questo è Beppe Grillo. Credo nella sua rivoluzione e spero che la porti avanti. Il Paese soffre e non lo merita.

La voleva anche Berlusconi. Per portarla a Mediaset le regalò un gioiello.
Gliel’avrei voluto restituire, ma gli dispiaceva. L’ho tenuto. Invece a Mediaset andai molto più tardi, dopo che Craxi, gelandomi, aveva definito in tv il mio contratto “una vergogna nazionale” e quando mi illusi di poter fare grande tv europea. La prima volta rifiutai. Volevo la diretta. Le cose finte non le ho fatte e non le farò mai. Sono nata libera e anarchica. E faccio quello che mi pare.

da Il Fatto Quotidiano del 6 marzo 2013

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