Il tribunale di Milano ha condannato Silvio e Paolo Berlusconi nel processo per la vicenda della pubblicazione sulle pagine del Giornale della conversazione tra Piero Fassino, allora segretario Ds, e Giovanni Consorte, numero uno di Unipol: “Allora abbiamo una banca?”. La conversazione non poteva essere pubblicata perché all’epoca era ancora coperta da segreto istruttorio. Il riferimento era alla scalata del colosso assicurativo a Bnl nel 2005 (sulla quale si sono aperti poi un’inchiesta e il relativo processo). Il fratello di Berlusconi, Paolo, è stato condannato a 2 anni e 3 mesi. Silvio Berlusconi era imputato in concorso in rivelazione di segreto d’ufficio insieme al fratello Paolo, che era accusato anche di ricettazione e millantato credito (ipotesi di reato dalle quali è stato assolto). Il tribunale non ha disposto alcuna misura interdittiva nei confronti dell’ex presidente del Consiglio. “Siamo molto sorpresi” ha commentato l’avvocato Piero Longo, uno dei difensori di Berlusconi.  “Credo che sia la prima volta – aggiunge – che si condanna per la violazione del segreto istruttorio”.

In realtà l’episodio contestato al Cavaliere non aveva caratteristiche “comuni”: in questo caso l’intercettazione non era in possesso del pm né era stata trascritta. Al contrario era nella disponibilità solo della società che metteva a disposizione gli apparecchi per registrare. E a chi chiede se sia una “sentenza politica” Longo risponde: “Con il massimo rispetto per i giudici, io dico che non credo che i magistrati non abbiano un sentimento o un sentire”.

Per Longo non c’erano elementi o prove per condannare il Cavaliere, ricordando anche che pende ancora in Cassazione l’istanza di ricusazione di uno dei giudici del collegio (Maria Teresa Guadagnino, giudice anche nel processo Mediaset) che oggi ha condannato il leader del Pdl. “Se venisse accolta – ha spiegato – questa sentenza sarebbe annullata”. L’istanza di ricusazione era già stata ‘bocciatà dalla Corte d’Appello di Milano. “Sono dispiaciuto e costernato – ha spiegato l’avvocato – perché sono convinto che gli elementi a carico erano insufficienti o contraddittori o addirittura mancanti, come aveva dimostrato la prima richiesta di archiviazione formulata dalla procura per Berlusconi”.Sotto il profilo della logica, dunque, ha aggiunto il legale, “non mi aspettavo una sentenza di condanna”.

Secondo l’accusa, il 24 dicembre 2005 l’allora capo del governo avrebbe ascoltato la registrazione di quella telefonata, ancora coperta da segreto istruttorio e contenuta in una pen drive, in un incontro ad Arcore alla presenza del fratello e degli imprenditori Fabrizio Favata e Roberto Raffaelli. Era stato quest’ultimo, che lavorava per la Research Control System (società che forniva le apparecchiature per le intercettazioni alla Procura), a trafugare, secondo le indagini, il “nastro” e, assieme a Favata e al fratello Paolo, ad offrirlo, secondo l’accusa, come ‘regalò a Berlusconi in vista delle elezioni politiche del 2006. Pochi giorni dopo, il contenuto di quella telefonata era stato pubblicato e si era scatenata una “bufera” di reazioni politiche.

I giudici della quarta sezione penale del tribunale di Milano hanno disposto un risarcimento a carico dei fratelli Berlusconi di 80mila euro a favore di Fassino, parte civile nel processo. Il risarcimento è stato disposto a titolo di provvisionale. “Una sentenza che ristabilisce verità e giustizia e conferma come intorno a una espressione ironica sia stata costruita consapevolmente, per anni, una campagna di denigrazione e delegittimazione politica” dice il sindaco di Torino.

Il procuratore aggiunto di Milano, Maurizio Romanelli, aveva chiesto per Silvio Berlusconi un anno di carcere, mentre per il fratello Paolo tre anni e tre mesi di reclusione dovendo lui rispondere non solo di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio ma anche di ricettazione. La sentenza sarebbe dovuta arrivare a gennaio ma il processo ha subito una pausa elettorale in quanto la difesa del leader del Pdl aveva chiesto e ottenuto una sospensione a dopo il voto. Sospensione che è stata concessa proprio il giorno in cui i giudici avrebbero dovuto entrare in camera di consiglio. 

Secondo il calendario dei processi, per il 18 marzo è attesa la sentenza sul caso Ruby che vede imputato l’ex premier per concussione e prostituzione minorile (venerdì prossimo il procuratore aggiunto Ilda Boccassini formulerà la richiesta di condanna). Il processo d’appello sul caso Mediaset, invece, dovrebbe concludersi il 23 marzo: la Procura generale di Milano ha chiesto per l’ex presidente del Consiglio la conferma della condanna a 4 anni, con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

Il Pdl fa quadrato intorno al leader, mentre prepara la manifestazione contro le “intimidazioni giudiziarie”. “Oggi difendere Silvio Berlusconi significa difendere la democrazia – commenta il portavoce Daniele Capezzone – Difendere il diritto degli italiani a scegliere i propri rappresentanti, difendere il diritto di un Paese a non vedere rovesciato per via giudiziaria l’esito democraticamente deciso dagli elettori nelle urne”. Capezzone sottolinea che “quello che sta accadendo è sotto gli occhi di tutti”. “Dopo un risultato elettorale straordinario, il protagonista di quel risultato, Silvio Berlusconi, è oggetto – rileva ancora – di un fuoco giudiziario, mediatico e politico durissimo e concentrico”. Luca D’Alessandro rilancia: “Questa è la magistratura in Italia: Silvio Berlusconi, l’uomo più illegalmente intercettato nel Paese viene condannato a un anno con l’accusa di aver diffuso un’intercettazione”. Secondo Simona Vicari “è evidente che è in atto una strategia volta ad eliminare dalla scena politica il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, confermato tale dal voto di oltre 9 milioni di elettori”. Al coro si aggiunge Enrico Costa: “Anni di fughe di notizie dalle procure, intercettazioni di conversazioni private sui giornali, addirittura file audio diffusi su internet e l’unico ad essere perseguito e’ colui che per anni ha combattuto questo malcostume. Il trionfo della giustizia ipocrita”. Per Micaela Biancofiore la sentenza “è un vero assalto alla democrazia e un caso di ingiustizia ad personam”. Alessandra Mussolini chiama “iniziative clamorose contro il vulnus alla democrazia che è in atto”. Maurizio Sacconi definisce la condanna “la più palese dimostrazione dell’anomalia giudiziaria italiana”.

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