Il primo gesuita ad essere papa, il primo a prendere il nome di Francesco. Il primo papa latinoamericano. E’ un progressista Jorge Mario Bergoglio? Forse può essere considerato tale a Roma, perché la sua è una candidatura esterna alla Curia (il candidato curiale argentino era Leonardo Sandri) e perché viene da un luogo geografico lontano dal potere romano. In Argentina però ha sempre rappresentato l’ala conservatrice della Chiesa. Non è mai stato amico della teologia della liberazione. Ha sempre mantenuto posizioni di destra nella gestione del potere a Buenos Aires.
Di certo è il più temibile avversario di Cristina Kirchner, la presidente argentina. Che difficilmente stasera festeggerà di cuore la sua elezione. Questo non ne fa automaticamente un esponente della destra argentina, ma sì il simbolo dell’opposizione conservatrice (e sempre detestato dall’opposizione di sinistra al governo) alla presidenta Kirchner. “Tanto aperta è stata la battaglia politica di Bergoglio contro il governo dei Kirchner, prima di Nestor, poi di sua moglie Cristina, che la presidente ha deciso da tempo di non festeggiare più il 25 de julio, principale festa patriottica in Argentina, nella cattedrale di Buenos Aires”, ricorda alla notizia dell’elezione un funzionario dell’ambasciata argentina a Roma.
Ombre su Bergoglio riguardano il periodo della dittatura militare (1976-83). Tutta la gerarchia ecclesiastica argentina non fece una gran figura in quel periodo. I dubbi su di lui li ha sollevati il giornalista argentino Horacio Verbitsky, l’autore del celebre libro “Il volo” in cui per la prima volta si svela l’esistenza del piano sistematico di soppressione degli oppositori al regime attarverso i voli della morte (30mila vittime secondo le Madri di plaza de Mayo, ottomila secondo altre fonti).
Verbitsky ha ricostruito le responsabilità e le omertà della chiesa in Argentina durante la dittatura. Da quell’inchiesta Bergoglio non ne esce benissimo. Non ci sono testimonianze che lo inchiodano, come ci sono invece per monsignor Pio Laghi, che amava passare i pomeriggi a giocare a tennis con i capi della dittatura. Ma non risulta nemmeno essere stato un eroe nella difesa dai perseguitati del regime.
Non ci sono prove né indizi pesanti sulle sue responsabilità. C’è però una storia molto chiara raccontata da Verbitsky nel suo libro. Subito dopo il golpe del 24 marzo 1976 Bergoglio era Superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina. Da gesuita aveva un potere enorme sulle comunità ecclesiastiche di base, che lavoravano molto nelle baraccopoli di Buenos Aires.
Nel febbraio del ’76, un mese prima del colpo di stato, Bergoglio avrebbe chiesto a due sacerdoti, Orlando Yorio e Francisco Jalics, che lavoravano nelle comunità di base, di lasciar perdere, di andarsene, di abbandonare quel lavoro. Loro si rifiutarono. Verbitsky racconta che Bergoglio, dopo averli cacciati dalla Compagnia di Gesù senza averli informati della decisione, fece pressione sull’allora arcivescovo di Buenos Aires perché impedisse loro di dir messa.
Non è una accusa da poco. In quei tempi a Buenos Aires bastava essere lontanamente riconducibili a un’area progressista, risultare impegnati in un lavoro considerato “di sinistra” nelle baraccopoli, per essere additati come potenziali sovversivi. Togliere ai due sacerdoti protezione e ancora più punirli come disobbedienti – è il ragionamento di Verbitsky – equivaleva a far correre loro il serio rischio di finire nelle liste nere dei militari. Così fu.
Pochi giorni dopo il golpe i due sacerdoti furono rapiti. Erano i giorni in cui sparirono anche decine di sindacalisti, i primi ad essere segnalati come potenziali sovversivi poiché, appunto, considerati inclini alla disobbedienza. Dopo sei mesi di prigionia nei solai della Escuela mecanica del armada (Esma), il centro clandestino da cui partirono poi i voli della morte, i due religiosi furono rilasciati. Pare che furono pressioni esercitate dalla Chiesa da Roma a salvar loro la vita.