Diventato famoso con i suoi melodrammi degli anni ‘90 viene ricordato più che altro per le commedie anni ‘80 e da anni sembra rimpiangere quel periodo. Pedro Almodóvar si presenta a Roma per il suo nuovo film, “Gli Amanti Passeggeri”, con le medesime frasi che ripete da diversi anni: “Sono tornato alla commedia perché ne avevo voglia”, “Tutte le persone che incontro per le strade di Madrid mi chiedono quando faccio un’altra commedia” e via dicendo. Così dopo “Volver” e l’intermezzo drammatico di “La Pelle che Abito” e “Gli Abbracci Spezzati”, ecco la nuova opera questa volta priva di toni languidi e nostalgici e anzi molto poco consueta per il regista.
Il racconto del film non si svolge nelle città, per le strade o nelle campagne spagnole ma quasi tutto su un aereo, che dovrebbe essere diretto in Messico ma, si scopre quasi subito, è in realtà fermo sopra Toledo, gira in tondo in attesa di sapere se c’è un aeroporto in cui effettuare un atterraggio d’emergenza perché uno dei carrelli, si sono accorti, non funziona. Intanto a bordo, nella classe business, assistenti di volo e passeggeri affrontano la tensione e le parti irrisolte della loro vita. “Mi piaceva l’idea di mettere diverse persone a contatto le une con le altre in una situazione di tensione e a stretto contatto senza che possano scappare” è la sinossi, nelle parole del regista, ma non sfugge a nessuno come, nonostante il tema, il film faccia espliciti riferimenti all’attualità spagnola (e per estensione europea).
“La situazione spagnola attuale credo sia la peggiore dall’inizio della democrazia. Non sono un tipo nostalgico ma ricordo l’esplosione di libertà degli anni ’80 e mi manca molto”. Almodòvar è regista molto politico ma non di quelli che inseriscono la politica come argomento nei film, è più un artista di quelli che fanno film per dimostrare un assunto politico. Per questo stupisce molto in “Gli Amanti Passeggeri” l’inserimento di diversi riferimenti diretti alla classe politica, alla crisi economica e a quel che pare non andare nella Spagna del regista. “Sì, il film è una metafora molto chiara della situazione del mio paese e lo è oggi molto più di quando non lo abbiamo girato: è un viaggio senza destinazione, fatto girando in un’ellisse, con un atterraggio forzato e pericoloso. Certo è una commedia, ma nella realtà non sappiamo su quale pista atterreremo, chi dirigerà l’aereo e se ci salveremo”.
Curiosamente nel film si fanno accenni a prostituzione e politica spagnola, temi non troppo lontani da quelli dei nostri giornali, e per quanto gli è possibile il regista è anche abbastanza edotto della situazione italiana (“Da quel che ho capito dalla stampa spagnola c’è una parola che ricorre più di tutte: ingovernabilità. E non è una bella cosa”). Un impasse che non gli sembra troppo distante: “Temo che se si svolgessero ora le elezioni in Spagna il risultato non sarebbe diverso: una frammentazione del voto e la scomparsa del bipartitismo. Ma sono solo ipotesi, in Spagna non abbiamo una figura equiparabile a Beppe Grillo”.
Qualcuno poi in una domanda ipotizza una versione almodóvariana della realtà in cui la crisi si può risolvere con il sesso e il regista sembra pensarci su: “Non sarebbe male. Si potrebbe ipotizzare un film sulla materia, in cui il governo e i governanti sono innamorati del proprio popolo, politici che aspirano a scoparsi quanti più elettori possibili, in una forma di ninfomania verso la popolazione”.
A cura di Gabriele Niola