Si torna a parlare di reddito minimo, dopo l’infelice esperienza del reddito di inserimento e quella discutibile della social card. Ma quanto può costare? E come evitare la “trappola della povertà”? Come impedire gli abusi e l’accesso ai soliti furbi? L’esperienza promossa dalla provincia autonoma di Trento.
di Gianfranco Cerea, lavoce.info, 15 Marzo 2013
L’esperienza del Trentino
Le politiche di reddito minimo tornano (finalmente) a comparire nel dibattito politico. Dopo l’infelice esperienza del reddito di inserimento e quella discutibile della social card è confortante sapere che qualche cosa si potrebbe fare rispetto a una importante forma universale di tutela, che ancora manca nel nostro ordinamento. Come sempre accade quando ci si confronta con misure di carattere innovativo i dubbi e le incertezze possono però esercitare una azione paralizzante. Quanto può costare? Come evitare la “trappola della povertà”, ovvero la tendenza a permanere nella condizione di eleggibilità? Come impedire gli abusi e l’accesso ai soliti furbi? Può perciò essere interessante guardare all’esperienza promossa dalla provincia autonoma di Trento.
Nel corso del 2009 la provincia autonoma di Trento ha rivisto le proprie politiche assistenziali, introducendo, a partire dall’ottobre dello stesso anno, il “reddito di garanzia”. L’intervento prevede l’erogazione di un beneficio monetario il cui importo è pari alla differenza tra l’effettiva condizione economica del nucleo e la soglia di povertà relativa, definita in base alle caratteristiche del nucleo stesso. Ad esempio, una famiglia di tre componenti, con un reddito di 700 euro mensili ha diritto a una integrazione di circa 400 euro. La somma spettante è poi eventualmente integrata di un importo per il sostegno del canone d’affitto. L’intervento è per quattro mesi, rinnovabili dopo verifica e per non più di tre volte in due anni. L’erogazione (mensile) della spettanza è garantita entro la fine del mese entro cui è stata effettuata la procedura amministrativa, contestuale alla domanda per gli anziani e tutti coloro che lavorano o hanno perso da poco l’occupazione. Per gli altri soggetti l’erogazione è invece subordinata a una valutazione puntuale da parte dei servizi sociali.
La condizione economica dei richiedenti è valutata in base a reddito (al netto delle imposte, delle spese mediche e dell’affitto/rata del mutuo, ma comprensivo di sussidi e di ogni altra voce d’entrata del nucleo) e patrimonio (con la sostanziale sterilizzazione della prima casa), affiancati da indicatori di consumo (auto, ampiezza dell’abitazione, affitto), in base ai quali circa il 17 per cento delle situazioni è stato dichiarato incongruo.
I beneficiari
Da quando la misura è stata introdotta nel 2009 e sino a dicembre 2012, i nuclei beneficiari sono stati complessivamente circa 10 mila, con una media di “ingressi” mensile pari a 251 unità. La misura ha mediamente interessato il 3,9 per cento della popolazione. Rispetto agli stranieri, ha riguardato il 17 per cento dei soggetti, contro il 2 per cento della restante popolazione. Oltre il 60 per cento dei nuclei interessati è rappresentato da famiglie con minori, mentre quelle di soli ultra 65enni sono il 12 per cento. I casi interessati dai servizi sociali sono l’8 per cento. A dicembre 2012 risultavano assistiti 3.448 nuclei familiari, per un complesso di 10.591 persone.
Il 25 per cento dei nuclei beneficia della misura una sola volta per quattro mesi. Per due volte è il 20 per cento e per tre il 12 per cento. Ciò significa che, nonostante la crisi economica, la misura tende ad avere un carattere provvisorio, ovvero risulta coerente rispetto all’idea di realizzare un ammortizzatore, rispetto alle condizioni di bisogno, che comunque promuova la responsabilizzazione dei soggetti interessati. Al riguardo occorre osservare che la normativa del reddito di garanzia prevede la sottoscrizione di un impegno alla ricerca attiva di un lavoro e la dichiarazione di disponibilità immediata all’accettazione di un impiego per tutti i componenti del nucleo che non lavorano, pur essendo in grado di farlo.
Per quanto concerne l’efficacia del reddito di garanzia, le analisi mostrano che le famiglie beneficiarie appartengono effettivamente alla fascia di popolazione più deprivata e che il ricorso alla misura avviene non solo per superare episodi transitori di difficoltà economica, ma anche per far fronte a condizioni di povertà strutturale. (1) Inoltre, i risultati preliminari dello studio di valutazione controfattuale basato sulla tecnica del difference in differences hanno messo in luce come il reddito di garanzia abbia:
- indotto cambiamenti nei comportamenti di consumo di alcune categorie specifiche di beni, come quelli durevoli;
- causato lievi aumenti della spesa destinata a beni primari come i generi alimentari;
- lasciato pressoché inalterata la partecipazione al mercato del lavoro.
Sul piano più generale, da quando è stato introdotto il reddito di garanzia la quota di soggetti poveri rilevata dall’Istat si è sostanzialmente dimezzata, qualificando il Trentino come l’area con la minor incidenza della povertà in Italia.
L’entità degli interventi e i costi del reddito di garanzia
Assumendo a riferimento l’anno 2012, l’integrazione media erogata per nucleo familiare risulta di poco inferiore ai 2mila euro, corrispondenti a circa 631 euro a componente. A livello complessivo, l’onere è stato di 21,4 milioni di euro, dei quali 16,3 a favore delle famiglie con minori. I richiedenti di cittadinanza non italiana hanno assorbito quasi i due terzi delle somme erogate.
L’onere per abitante è stato di circa 40,3 euro. Per avere un termine di paragone, le pensioni assistenziali, erogate in Trentino dall’Inps a cittadini con oltre 65 anni, senza reddito o con reddito inferiore ai limiti di legge, ammontano a circa 15 milioni di euro, associati peraltro a una erogazione media che colloca i beneficiari sotto la soglia di povertà (l’importo base mensile della pensione è pari a 336,79, quello dell’assegno a 408,66 euro).
Una previsione a livello nazionale
Quanto è esportabile l’esperienza di Trento? Con quali costi?
Secondo l’indagine dell’Istat, nel Centro-Nord l’incidenza della povertà è pari al 5,3 per cento della popolazione. Un dato abbastanza prossimo a quello del Trentino, se ai locali poveri censiti dall’Istat si aggiungono i beneficiari del reddito di garanzia. Al Sud e nelle Isole la quota quasi quadruplica, portandosi al 21,5 per cento.
La tabella riporta la stima del costo del reddito di garanzia “modello Trento”, ottenuta moltiplicando la spesa per abitante del Trentino per la popolazione delle singole Regioni, corretta in base alla diversa incidenza relativa della povertà – rispetto a quanto osservato a Trento.
L’onere complessivo, che emerge da questa simulazione, è pari a 5,3 miliardi di euro così ripartiti: 1 miliardo al Nord, 0,6 miliardi al Centro e 3,7 miliardi nel Mezzogiorno. La Regione con la spesa maggiore sembrerebbe la Sicilia, con un costo stimato che supera 1 miliardo di euro, ovvero tanto quanto sarebbe richiesto per finanziare la spesa di tutto il Nord Italia.
Se si volesse contenere la spesa l’entità degli interventi potrebbe essere adattata ai differenti contesti territoriali, prevedendo soglie di “garanzia” che tengano conto del diverso costo della vita almeno a livello di grandi circoscrizioni. Ulteriori economie si potrebbero poi ottenere restringendo l’intervento ai soli nuclei con figli minori.
Alla luce degli assetti costituzionali, il “reddito di garanzia” dovrebbe rientrare fra le competenze regionali dell’assistenza e, come tale, gravare sul bilancio di questi enti. Le Regioni a statuto speciale dovrebbero provvedere con risorse proprie, senza cioè richieste di finanziamenti ulteriori allo Stato.
Adottando alcuni accorgimenti e attivando la misura con una certa “prudenza” i costi potrebbero effettivamente risultare contenuti e del tutto paragonabili a quanto lo Stato già sopporta per il sostegno agli anziani attraverso la pensione sociale.
(1) http://irvapp.fbk.eu/sites/irvapp.fbk.eu/files/IRVAPP_PR_2011-05_0.pdf.
Lavoce.info
Watchdog della politica economica italiana
Economia & Lobby - 18 Marzo 2013
Il reddito minimo? Si può fare
Si torna a parlare di reddito minimo, dopo l’infelice esperienza del reddito di inserimento e quella discutibile della social card. Ma quanto può costare? E come evitare la “trappola della povertà”? Come impedire gli abusi e l’accesso ai soliti furbi? L’esperienza promossa dalla provincia autonoma di Trento.
di Gianfranco Cerea, lavoce.info, 15 Marzo 2013
L’esperienza del Trentino
Le politiche di reddito minimo tornano (finalmente) a comparire nel dibattito politico. Dopo l’infelice esperienza del reddito di inserimento e quella discutibile della social card è confortante sapere che qualche cosa si potrebbe fare rispetto a una importante forma universale di tutela, che ancora manca nel nostro ordinamento. Come sempre accade quando ci si confronta con misure di carattere innovativo i dubbi e le incertezze possono però esercitare una azione paralizzante. Quanto può costare? Come evitare la “trappola della povertà”, ovvero la tendenza a permanere nella condizione di eleggibilità? Come impedire gli abusi e l’accesso ai soliti furbi? Può perciò essere interessante guardare all’esperienza promossa dalla provincia autonoma di Trento.
Nel corso del 2009 la provincia autonoma di Trento ha rivisto le proprie politiche assistenziali, introducendo, a partire dall’ottobre dello stesso anno, il “reddito di garanzia”. L’intervento prevede l’erogazione di un beneficio monetario il cui importo è pari alla differenza tra l’effettiva condizione economica del nucleo e la soglia di povertà relativa, definita in base alle caratteristiche del nucleo stesso. Ad esempio, una famiglia di tre componenti, con un reddito di 700 euro mensili ha diritto a una integrazione di circa 400 euro. La somma spettante è poi eventualmente integrata di un importo per il sostegno del canone d’affitto. L’intervento è per quattro mesi, rinnovabili dopo verifica e per non più di tre volte in due anni. L’erogazione (mensile) della spettanza è garantita entro la fine del mese entro cui è stata effettuata la procedura amministrativa, contestuale alla domanda per gli anziani e tutti coloro che lavorano o hanno perso da poco l’occupazione. Per gli altri soggetti l’erogazione è invece subordinata a una valutazione puntuale da parte dei servizi sociali.
La condizione economica dei richiedenti è valutata in base a reddito (al netto delle imposte, delle spese mediche e dell’affitto/rata del mutuo, ma comprensivo di sussidi e di ogni altra voce d’entrata del nucleo) e patrimonio (con la sostanziale sterilizzazione della prima casa), affiancati da indicatori di consumo (auto, ampiezza dell’abitazione, affitto), in base ai quali circa il 17 per cento delle situazioni è stato dichiarato incongruo.
I beneficiari
Da quando la misura è stata introdotta nel 2009 e sino a dicembre 2012, i nuclei beneficiari sono stati complessivamente circa 10 mila, con una media di “ingressi” mensile pari a 251 unità. La misura ha mediamente interessato il 3,9 per cento della popolazione. Rispetto agli stranieri, ha riguardato il 17 per cento dei soggetti, contro il 2 per cento della restante popolazione. Oltre il 60 per cento dei nuclei interessati è rappresentato da famiglie con minori, mentre quelle di soli ultra 65enni sono il 12 per cento. I casi interessati dai servizi sociali sono l’8 per cento. A dicembre 2012 risultavano assistiti 3.448 nuclei familiari, per un complesso di 10.591 persone.
Il 25 per cento dei nuclei beneficia della misura una sola volta per quattro mesi. Per due volte è il 20 per cento e per tre il 12 per cento. Ciò significa che, nonostante la crisi economica, la misura tende ad avere un carattere provvisorio, ovvero risulta coerente rispetto all’idea di realizzare un ammortizzatore, rispetto alle condizioni di bisogno, che comunque promuova la responsabilizzazione dei soggetti interessati. Al riguardo occorre osservare che la normativa del reddito di garanzia prevede la sottoscrizione di un impegno alla ricerca attiva di un lavoro e la dichiarazione di disponibilità immediata all’accettazione di un impiego per tutti i componenti del nucleo che non lavorano, pur essendo in grado di farlo.
Per quanto concerne l’efficacia del reddito di garanzia, le analisi mostrano che le famiglie beneficiarie appartengono effettivamente alla fascia di popolazione più deprivata e che il ricorso alla misura avviene non solo per superare episodi transitori di difficoltà economica, ma anche per far fronte a condizioni di povertà strutturale. (1) Inoltre, i risultati preliminari dello studio di valutazione controfattuale basato sulla tecnica del difference in differences hanno messo in luce come il reddito di garanzia abbia:
Sul piano più generale, da quando è stato introdotto il reddito di garanzia la quota di soggetti poveri rilevata dall’Istat si è sostanzialmente dimezzata, qualificando il Trentino come l’area con la minor incidenza della povertà in Italia.
L’entità degli interventi e i costi del reddito di garanzia
Assumendo a riferimento l’anno 2012, l’integrazione media erogata per nucleo familiare risulta di poco inferiore ai 2mila euro, corrispondenti a circa 631 euro a componente. A livello complessivo, l’onere è stato di 21,4 milioni di euro, dei quali 16,3 a favore delle famiglie con minori. I richiedenti di cittadinanza non italiana hanno assorbito quasi i due terzi delle somme erogate.
L’onere per abitante è stato di circa 40,3 euro. Per avere un termine di paragone, le pensioni assistenziali, erogate in Trentino dall’Inps a cittadini con oltre 65 anni, senza reddito o con reddito inferiore ai limiti di legge, ammontano a circa 15 milioni di euro, associati peraltro a una erogazione media che colloca i beneficiari sotto la soglia di povertà (l’importo base mensile della pensione è pari a 336,79, quello dell’assegno a 408,66 euro).
Una previsione a livello nazionale
Quanto è esportabile l’esperienza di Trento? Con quali costi?
Secondo l’indagine dell’Istat, nel Centro-Nord l’incidenza della povertà è pari al 5,3 per cento della popolazione. Un dato abbastanza prossimo a quello del Trentino, se ai locali poveri censiti dall’Istat si aggiungono i beneficiari del reddito di garanzia. Al Sud e nelle Isole la quota quasi quadruplica, portandosi al 21,5 per cento.
La tabella riporta la stima del costo del reddito di garanzia “modello Trento”, ottenuta moltiplicando la spesa per abitante del Trentino per la popolazione delle singole Regioni, corretta in base alla diversa incidenza relativa della povertà – rispetto a quanto osservato a Trento.
L’onere complessivo, che emerge da questa simulazione, è pari a 5,3 miliardi di euro così ripartiti: 1 miliardo al Nord, 0,6 miliardi al Centro e 3,7 miliardi nel Mezzogiorno. La Regione con la spesa maggiore sembrerebbe la Sicilia, con un costo stimato che supera 1 miliardo di euro, ovvero tanto quanto sarebbe richiesto per finanziare la spesa di tutto il Nord Italia.
Se si volesse contenere la spesa l’entità degli interventi potrebbe essere adattata ai differenti contesti territoriali, prevedendo soglie di “garanzia” che tengano conto del diverso costo della vita almeno a livello di grandi circoscrizioni. Ulteriori economie si potrebbero poi ottenere restringendo l’intervento ai soli nuclei con figli minori.
Alla luce degli assetti costituzionali, il “reddito di garanzia” dovrebbe rientrare fra le competenze regionali dell’assistenza e, come tale, gravare sul bilancio di questi enti. Le Regioni a statuto speciale dovrebbero provvedere con risorse proprie, senza cioè richieste di finanziamenti ulteriori allo Stato.
Adottando alcuni accorgimenti e attivando la misura con una certa “prudenza” i costi potrebbero effettivamente risultare contenuti e del tutto paragonabili a quanto lo Stato già sopporta per il sostegno agli anziani attraverso la pensione sociale.
(1) http://irvapp.fbk.eu/sites/irvapp.fbk.eu/files/IRVAPP_PR_2011-05_0.pdf.
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Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Desidero esprimere la mia totale solidarietà al Presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, professionista di comprovata competenza e integrità, recentemente bersaglio di un attacco inaccettabile da parte del Senatore Zaffini. Non dovrebbe essere necessario ricordare che la Fondazione GIMBE svolge un ruolo essenziale nel garantire analisi indipendenti e basate su evidenze scientifiche nel settore della sanità pubblica. Analisi che non solo aiutano l’opinione pubblica a comprendere la realtà dei fatti, ma forniscono strumenti indispensabili proprio a noi parlamentari per svolgere il nostro lavoro con cognizione di causa". Lo scrive in una nota la senatrice del Pd Susanna Camusso.
Ma ormai chiunque osi dissentire con l’operato del Governo Meloni – scienziati, magistrati, professori, giornalisti – viene puntualmente delegittimato. Peccato che sia lo stesso Presidente Zaffini ad ammettere che su sei decreti attuativi promessi per smaltire le liste d’attesa, sia stato approvato solo quello sul funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio. La colpa? Dipende dal giorno: molto spesso è dei governi precedenti – nonostante la destra governi da tre anni – altre volte, come in questo caso, delle Regioni - nonostante la stessa destra stia spingendo per l’Autonomia. Mentre milioni di italiani non possono curarsi e il SSN è al collasso, il governo continua a giocare a scaricabarile, additando nemici immaginari e scaricando le colpe su chiunque tranne che su sé stesso”.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Dopo il record di 150.000 iscritti, Forza Italia rafforza il suo radicamento sul territorio con l’avvio della stagione dei Congressi Comunali e Circoscrizionali. Si parte da 9 regioni per eleggere i nuovi segretari comunali e circoscrizionali, in un percorso di partecipazione e crescita che coinvolgerà tutta Italia". Lo scrive Forza Italia sui suoi profili social.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Rispondo a chi ogni tanto ci accusa di non avere una visione. Certo che ce l'abbiamo, anche bella forte. Magari a qualcuno non piace, non sarà quello che si aspettavano dal Pd di prima, ma oggi il Pd è autodeterminato in questa direzione". In mezzo al dibattito su 'meglio presentarsi uniti o divisi per colpire uniti', innescato dalla proposta di Dario Franceschini, Elly Schlein continua a insistere sui temi piuttosto che sui tatticismi. E rilancia la visione del 'suo' Pd a fronte di perplessità, più o meno esplicite, avanzate nei suoi confronti nell'ultimo periodo.
"La giustizia sociale, la giustizia climatica, il lavoro dignitoso, l'innovazione, i diritti delle persone", elenca la segretaria dal palco della prima iniziativa col Terzo Settore (previste altre 4 a febbraio) a Monterotondo. Come aveva fatto la settimana scorsa davanti all'ospedale di Vicenza per parlare di sanità o con gli operai a Marghera o quelli della crisi Beko su lavoro e politiche industriali.
Alla questione aperta da Franceschini, Schlein ha però dato una risposta l'altra sera a Piazza Pulita dopo giorni di silenzi, conditi da freddezza dell'inner circle della segretaria. Andare divisi per colpire uniti? "Io continuo a insistere, sono testardamente unitaria", la risposta di Schlein. Insomma, nonostante al momento non vi siano passi avanti nella costruzione dell'alleanza, lo schema della segretaria non cambia. Resta 'testardamente unitario'. "Ce lo chiede la gente", la tesi di Schlein. Il sondaggio mandato in onda durante la trasmissione pare darle ragione con quasi l'80% degli elettori di centrosinistra a invocare un accordo tra le opposizioni.
Un accordo che però non c'è e la proposta di Franceschini ha avuto anche l'effetto di evidenziare ulteriormente le resistenze rispetto a un'alleanza organica. Basta leggere l'elenco di quelli che hanno promosso o quanto meno si sono detti interessati alla possibilità di 'marciare divisi, per poi colpire uniti' dopo il voto: da Carlo Calenda a Giuseppe Conte. Chi invece non è sembra interessato, è Romano Prodi che in una lunga intervista avverte: "Senza un programma condiviso non è politica, ma solo cinismo. Si possono anche vincere le elezioni, ma si uccide il Paese”.
"Ma come si può fare questo discorso due anni e mezzo prima delle elezioni?", si chiede Prodi. "Potrebbe essere l'ultima spiaggia alla vigilia del voto. Ma se partiamo dall'idea che non ci si può mettere d'accordo su un programma, mi pare difficile vincere le elezioni". L'Ulivo non è più riproponibile, aggiunge, "quel che si può fare è cercare quattro grandi problemi sui quali trovare una visione comune: sanità, casa, scuola, lavoro".
Non basta solo criticare: "Politica è dire quel che serve all'Italia per la distribuzione del reddito, la sanità, la casa. Non dire solo che mancano le risorse, ma dire come vanno riformati gli ospedali, i medici di base, le case di comunità". Chi può riuscire a federare il campo delle opposizioni in ordine sparso? Per Prodi la risposta è aperta: "Il problema è vedere chi è in grado di federare. Quel ruolo si conquista, non è dato. La competizione è aperta per tutti, Schlein e altri".
Tel Aviv, 1 feb. (Adnkronos) - Il primo ministro Benjamin Netanyahu sta valutando la possibilità di nominare il ministro degli Affari strategici Ron Dermer a capo del team negoziale di Israele per i colloqui sugli ostaggi con Hamas, secondo le notizie di Channel 12. Subentrerebbe al ruolo del capo del Mossad David Barnea. Secondo quanto riferito, Barnea resterebbe nella squadra insieme al capo dello Shin Bet Ronen Bar e all'uomo chiave per la presa degli ostaggi delle Idf Nitzan Alon, con Dermer a supervisionare i colloqui.
I funzionari israeliani hanno dichiarato che Netanyahu riconosce che i negoziatori vogliono fare tutto il possibile per garantire che la seconda fase dell'accordo sulla restituzione degli ostaggi con Hamas abbia luogo, e il premier vuole mantenere aperte le sue opzioni. Secondo Channel 12, i funzionari del team di Netanyahu affermano che, poiché i colloqui principali si stanno svolgendo con l'amministrazione Trump, dovrebbero essere guidati da qualcuno con una formazione più diplomatica, che non nella sicurezza.
Sembra che l'inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, abbia detto a Netanyahu che preferirebbe lavorare con Dermer e che ha delle riserve sulla collaborazione con l'attuale team negoziale. Witkoff e Netanyahu hanno parlato oggi, ha riferito Channel 12, aggiungendo che il primo ministro israeliano terrà un incontro stasera per decidere se inviare una delegazione di medio livello in Qatar questa settimana. In risposta, l'ufficio di Netanyahu ha affermato che "i resoconti non sono veri" e che "le decisioni sui negoziati saranno prese solo dopo il ritorno del primo ministro dagli Stati Uniti".
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Ieri è stato l’ultimo giorno di lavoro di dipendenti e dirigenti Rai a viale Mazzini. Lo storico palazzo, simbolo del Servizio Pubblico, che dagli anni 60 rappresenta la Rai, chiuderà per essere interessato da importanti ed ampi lavori di ristrutturazione". Lo dichiarano i componenti di Fratelli d’Italia della Commissione Vigilanza Rai.
"Interventi che consentiranno alla Rai di usufruire di una sede moderna, digitale e all’avanguardia, capace così di confrontarsi con un mercato televisivo sempre più competitivo. È un merito di questa dirigenza che oltre a garantire un sempre più ampio pluralismo, così come si pretende dal Servizio pubblico, un’offerta e una qualità nella programmazione, adesso garantirà alla Rai anche strutture di prim’ordine. Infatti, la sede di viale Mazzini si affiancherà al nuovo centro di produzione a Milano che sarà uno dei più avanzati in Europa. Al contempo va rivolto un vivo ringraziamento ai dipendenti Rai, che stanno affrontando con grande impegno e dedizione questo significativo momento di passaggio, che servirà a costruire il Servizio pubblico del futuro”.
Ramallah, 1 feb. (Adnkronos) - Le forze israeliane hanno arrestato due giornalisti palestinesi e sequestrato la loro attrezzatura nella città di Beit Ummar, a nord di Hebron, in Cisgiordania. Lo riporta l'agenzia di stampa palestinese Wafa, citando il giornalista Ihab al-Alami, che ha riferito, dopo essere stato rilasciato, che "lui e il suo collega, Nidal al-Natsheh, sono stati arrestati dai soldati israeliani mentre documentavano i danni su terreni di proprietà palestinese vicino all'insediamento israeliano illegale di Karmei Tzur". I soldati hanno sequestrato tre telecamere prima di costringerli ad abbandonare la zona, ha aggiunto il reporter.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Roma si è svolta la Direzione Nazionale di Fratelli d'Italia, un momento di confronto interno al partito in vista del giro di boa della metà legislatura. Non si è trattato, evidentemente, di una seduta del Consiglio dei Ministri, un dettaglio che i deputati di Italia Viva, cui resta solo la polemica, potrebbero facilmente cogliere solo sfogliando un qualsiasi manuale di diritto costituzionale". Così Antonio Baldelli, deputato di Fratelli d'Italia, risponde alle polemiche sollevate da Italia Viva sull'assenza del Presidente del Consiglio all'assemblea di FdI e sulla presenza del capo della segreteria politica, Arianna Meloni.