Si stanno svolgendo in questi giorni in tutto il Kurdistan le celebrazioni del Newroz, il capodanno kurdo. Si tratta di una festività che ha radici antichissime, risalendo a una sollevazione popolare contro un tiranno avvenuta intorno al 1.ooo avanti Cristo. Si tratta quindi di una ricorrenza a forte caratterizzazione democratica. Anche a Roma il Newroz è stato festeggiato dalla comunità kurda e altri, l’altro ieri sera al centro culturale Ararat e ieri sera al Teatro Valle occupato.

Quest’anno il Newroz è stato anche l’occasione per un importante passaggio politico, una lettera inviata da Abdullah Ocalan, leader kurdo imprigionato oramai da oltre quattordici anni nell’isola di Imrali. La lettera è stata letta alla manifestazione organizzata a Dyarbakir (in kurdo Amet), la capitale del Kurdistan turco, alla quale hanno partecipato un milione e mezzo di Kurdi.

La lettera contiene una precisa presa di posizione contro i “confini artificiali” imposti dall’imperialismo occidentale ai popoli del Medio Oriente, che “ha l’obiettivo di lasciare che le popolazioni si uccidano l’un l’altra”. Quindi, lancia uno storico appello alla pace: “E’ tempo che le armi tacciano e che le idee parlino. Lo spargimento di sangue sta andando avanti, danneggiando tutte le popolazioni in questo territorio. La politica andrà oltre le armi in questo momento”.

La lettera contiene l’indicazione alle forze armate kurde di abbandonare la Turchia e un preciso invito a Turchi e Kurdi di lavorare insieme per un futuro condiviso e pacifico nel reciproco rispetto.

Si tratta di una presa di posizione la cui importanza va al di là del pure importantissimo conflitto fra Kurdi e Turchi. L’abbandono delle pretese settarie deve costituire la condizione per un nuovo inizio in tutto il Medio Oriente. Anziché fomentare le guerre in atto, come in Siria, l’Occidente, e in primo luogo l’Europa, dovrebbero operare per la pace, incentivando il dialogo e promuovendo un’effettiva democrazia. Non lo fanno,  perché, per imporre il loro predominio e lo sfruttamento delle risorse della zona, preferiscono favorire contrapposizioni sanguinose e guerre fratricide. Si tratta di una visione incredibilmente miope e di una responsabilità storica tremenda. L’invasione dell’Iraq di cui si ricorda in questi giorni il decimo anniversario, ha lasciato il Paese in condizioni pietose e devastato da una guerra civile di cui non si vede la fine. Un modello che le potenze dominanti vorrebbero imporre a tutto il Medio Oriente.

Contro questo modello di morte e distruzione occorre difendere e rilanciare quello propugnato dal popolo kurdo. Pronto al dialogo e alla convivenza pacifica in Turchia, e che, in Siria, difende la propria autonomia e neutralità rispetto al conflitto insensato che oppone il regime di Assad ai gruppi armati fondamentalisti. Conflitto che va superato mediante un cessate il fuoco immediato e la promozione di elezioni effettivamente democratiche per rinnovare la leadership. Processo di pace che l’Unione europea dovrebbe sostenere con determinazione anziché alimentare la guerra con il traffico d’armi e le prese di posizione politiche a senso unico.

Le prime reazioni dei mass-media turchi all’appello di Ocalan sembrano positive. Che sia giunto il momento di porre fine a un conflitto fratricida che ha causato in oltre trent’anni la morte di quarantacinquemila persone? Occorre sperare e mobilitarsi affinché ciò avvenga. La liberazione dello stesso Ocalan, chiesta da molte organizzazioni e personalità, è a sua volta necessaria per concretizzare questa svolta, verso una nuova Turchia e un nuovo Medio Oriente. Come ricorda il leader kurdo nella sua lettera “i Turchi e i Kurdi hanno inaugurato insieme il Parlamento nel 1920. Abbiamo costruito insieme il passato ed adesso abbiamo bisogno di mantenerlo insieme”.

Come da tempo vado sostenendo, i  Kurdi, presenti in tutti i Paesi dell’area (Iran, Iraq, Turchia, Siria) e che presentano un’ideologia essenzialmente laica e democratica,  possono costituire un elemento di stimolo verso un’unione regionale medio-orientale che veda la coesistenza di tutte le molteplici e variegate etnie e religioni esistenti. Per questo è preciso dovere dell’Unione europea e dei Paesi che la compongono sostenerli anziché continuare ad alimentare la guerra e il terrorismo nella zona.

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