In teoria nel mio blog dovrei occuparmi solo di Internet e nuove tecnologie. Oggi, però, è la giornata internazionale dell’acqua e spero che mi verrà perdonato l’off-topic. Come tutti i lettori del Fatto sanno benissimo, il 12 e 13 giugno 2011 ben 27 milioni di italiani hanno riempito le urne chiedendo che l’acqua tornasse a essere un bene comune, sottraendola al mercato. Cos’è successo dopo quel referendum? Niente. Deputati e Senatori hanno fatto spallucce di fronte a un referendum che partiti e forze politiche hanno semplicemente subito, evitando di portare la questione in Parlamento. La palla è stata lasciata al governo che, con Berlusconi prima e Monti poi, si è ben guardato dall’avviare un processo legislativo in merito, limitandosi a cercare di ostacolarne in tutti i modi l’applicazione. A 648 giorni dal referendum, gli elettori italiani sono ancora vittime di una truffa di dimensioni storiche.
Una truffa che si è consumata attraverso una serie di piccoli trucchi e una montagna di frottole. Il primo trucco è stato quello di considerare il referendum con il classico stile da azzeccagarbugli. Al posto di prendere atto della volontà dei cittadini di sottrarre ai mercati la gestione dell’acqua, si è pensato bene di rispettare in maniera formale li risultato dei due quesiti: l’abrogazione del famoso 7% di remunerazione del capitale e l’abrogazione dell’obbligo di privatizzare il servizio idrico. Una buffonata simile a quella che è stata fatta per il finanziamento pubblico ai partiti con l’introduzione dei rimborsi elettorali: la faccio uscire dalla porta e rientrare dalla finestra. Il 7% è stato fatto tornare in campo con l’idea che si debbano coprire gli interessi pagati per sostenere gli investimenti (pochi o nessuno) e la privatizzazione è stata comunque permessa sostenendo che “il referendum ha abrogato l’obbligo, ma rimane la libertà di privatizzare”.
Lavandosi le mani della questione, Parlamento e governo (il minuscolo è voluto) hanno trasformato la questione in un semplice problema locale, lasciandolo alle singole amministrazioni. La legge di stabilità e i tagli hanno fatto il resto, mettendo i sindaci nella condizione di aggirare per primi il referendum per non perdere gli introiti delle privatizzazioni. Il trucco ha funzionato alla perfezione e la vertenza sull’acqua è diventata una battaglia da combattere comune per comune, con i Comitati per l’acqua pubblica impegnati a convincere ogni singola amministrazione a rispettare il Referendum (il maiuscolo è voluto) del 12 e 13 giugno 2011.
Per completare l’opera, è stata spacciata ad arte la frottola (qualcuno la chiamerebbe “foglia di fico”) che l’acqua sia “pubblica” quando è gestita con una S.p.A. “a capitale pubblico”. Una balla siderale: basta leggere il codice civile per capire che l’affermazione è assurda per due motivi. In primo luogo perché una S.p.A., anche se a totale o parziale capitale pubblico, è costretta a fare profitti e, di conseguenza, si comporta esattamente come un qualsiasi privato. In secondo luogo perché questa formula non mette al riparo da future privatizzazioni: basta vendere una quota della società e la privatizzazione è servita. Quello che i cittadini hanno chiesto è invece che la gestione sia pubblica e quindi affidata ad Aziende Speciali, enti di diritto pubblico, che gestiscano il bene comune acqua nell’interesse dei cittadini e non delle borse o delle banche. La frottola, però, ha funzionato e su giornali e televisioni i sindaci hanno buon gioco a sostenere di aver mantenuto pubblica l’acqua anche quando si tratta della solita S.p.A.
È per questo che Grillo e Bersani, nei punti da affrontare in un ipotetico governo, dovrebbero inserire subito l’impegno per arrivare a una legge sull’acqua. Soprattutto perché in Parlamento c’è una proposta di legge bella e pronta che riposa in un cassetto dal 2009, anno in cui è stata depositata con 406.626 firme dagli stessi i Movimenti per l’acqua che hanno proposto e vinto il Referendum. Se questo Parlamento punta davvero al cambiamento, faccia subito ciò che è più importante: rispetti la volontà dei cittadini e inserisca tra i punti programmatici della legislatura l’approvazione di quella proposta di legge. Senza trucchi, frottole e furbizie varie.
Marco Schiaffino
Giornalista
Società - 22 Marzo 2013
Acqua pubblica, ora il Parlamento faccia una legge
In teoria nel mio blog dovrei occuparmi solo di Internet e nuove tecnologie. Oggi, però, è la giornata internazionale dell’acqua e spero che mi verrà perdonato l’off-topic. Come tutti i lettori del Fatto sanno benissimo, il 12 e 13 giugno 2011 ben 27 milioni di italiani hanno riempito le urne chiedendo che l’acqua tornasse a essere un bene comune, sottraendola al mercato. Cos’è successo dopo quel referendum? Niente. Deputati e Senatori hanno fatto spallucce di fronte a un referendum che partiti e forze politiche hanno semplicemente subito, evitando di portare la questione in Parlamento. La palla è stata lasciata al governo che, con Berlusconi prima e Monti poi, si è ben guardato dall’avviare un processo legislativo in merito, limitandosi a cercare di ostacolarne in tutti i modi l’applicazione. A 648 giorni dal referendum, gli elettori italiani sono ancora vittime di una truffa di dimensioni storiche.
Una truffa che si è consumata attraverso una serie di piccoli trucchi e una montagna di frottole. Il primo trucco è stato quello di considerare il referendum con il classico stile da azzeccagarbugli. Al posto di prendere atto della volontà dei cittadini di sottrarre ai mercati la gestione dell’acqua, si è pensato bene di rispettare in maniera formale li risultato dei due quesiti: l’abrogazione del famoso 7% di remunerazione del capitale e l’abrogazione dell’obbligo di privatizzare il servizio idrico. Una buffonata simile a quella che è stata fatta per il finanziamento pubblico ai partiti con l’introduzione dei rimborsi elettorali: la faccio uscire dalla porta e rientrare dalla finestra. Il 7% è stato fatto tornare in campo con l’idea che si debbano coprire gli interessi pagati per sostenere gli investimenti (pochi o nessuno) e la privatizzazione è stata comunque permessa sostenendo che “il referendum ha abrogato l’obbligo, ma rimane la libertà di privatizzare”.
Lavandosi le mani della questione, Parlamento e governo (il minuscolo è voluto) hanno trasformato la questione in un semplice problema locale, lasciandolo alle singole amministrazioni. La legge di stabilità e i tagli hanno fatto il resto, mettendo i sindaci nella condizione di aggirare per primi il referendum per non perdere gli introiti delle privatizzazioni. Il trucco ha funzionato alla perfezione e la vertenza sull’acqua è diventata una battaglia da combattere comune per comune, con i Comitati per l’acqua pubblica impegnati a convincere ogni singola amministrazione a rispettare il Referendum (il maiuscolo è voluto) del 12 e 13 giugno 2011.
Per completare l’opera, è stata spacciata ad arte la frottola (qualcuno la chiamerebbe “foglia di fico”) che l’acqua sia “pubblica” quando è gestita con una S.p.A. “a capitale pubblico”. Una balla siderale: basta leggere il codice civile per capire che l’affermazione è assurda per due motivi. In primo luogo perché una S.p.A., anche se a totale o parziale capitale pubblico, è costretta a fare profitti e, di conseguenza, si comporta esattamente come un qualsiasi privato. In secondo luogo perché questa formula non mette al riparo da future privatizzazioni: basta vendere una quota della società e la privatizzazione è servita. Quello che i cittadini hanno chiesto è invece che la gestione sia pubblica e quindi affidata ad Aziende Speciali, enti di diritto pubblico, che gestiscano il bene comune acqua nell’interesse dei cittadini e non delle borse o delle banche. La frottola, però, ha funzionato e su giornali e televisioni i sindaci hanno buon gioco a sostenere di aver mantenuto pubblica l’acqua anche quando si tratta della solita S.p.A.
È per questo che Grillo e Bersani, nei punti da affrontare in un ipotetico governo, dovrebbero inserire subito l’impegno per arrivare a una legge sull’acqua. Soprattutto perché in Parlamento c’è una proposta di legge bella e pronta che riposa in un cassetto dal 2009, anno in cui è stata depositata con 406.626 firme dagli stessi i Movimenti per l’acqua che hanno proposto e vinto il Referendum. Se questo Parlamento punta davvero al cambiamento, faccia subito ciò che è più importante: rispetti la volontà dei cittadini e inserisca tra i punti programmatici della legislatura l’approvazione di quella proposta di legge. Senza trucchi, frottole e furbizie varie.
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Roma, 30 gen (Adnkronos) - "Stupiscono le critiche superficiali alle dichiarazioni dell’onorevole Giovanni Donzelli. Le polemiche che imperversano non aiutano la coalizione anche se capisco sono frutto della passione e la gratitudine verso il grande leader che è stato Berlusconi". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, coordinatore della Direzione nazionale di Fratelli d'Italia.
"Le dichiarazioni di Donzelli invece sono un'analisi elettorale, perché la figura di Berlusconi non è in discussione per nessuno di noi in Fdi; molti hanno militato nel Pdl e molti provengono da Forza Italia. Egli ha conquistato un posto nella storia, è stato il leader della coalizione e ognuno di noi è riconoscente alla sua opera e alla sua azione", ha continuato Cirielli.
"Donzelli ha fatto solo un esame quantitativo. Prima della discesa in campo di Berlusconi nelle comunali del 1993 di Napoli e Roma, il MSI aveva raccolto oltre il 30%; con la discesa in campo di Forza Italia nel 1994 - pochi mesi dopo - il Msi scese al 13.5% -precisa Cirielli-. Se questa è storia, è altrettanto un fatto storico che grazie a Berlusconi nacque la Destra di Governo. La coalizione che seppe mettere in campo e che solo lui poteva creare ancora oggi, con la guida di Giorgia Meloni, è protagonista. Di questo gli saremo grati per sempre".