L’edilizia è spesso vista come un settore che può dare un forte contributo alla crescita del paese. Ma oggi le stime dicono che ci sono circa 340mila nuove abitazioni invendute. Anche perché le banche hanno praticamente bloccato la concessione di mutui. Gli strumenti per cambiare la situazione.
di Raffaele Lungarella* e Francesco Vella** (lavoce.info)
Il mercato dell’invenduto
Da più parti si affida al settore dell’edilizia un ruolo primario per la crescita economica e dell’occupazione nel nostro paese. Il sostegno al mercato dell’edilizia abitativa può rivelarsi particolarmente efficace, considerando che vi sono impiegate principalmente risorse private e che quello della casa è il problema la cui soluzione è una priorità per le famiglie.
Gli investimenti in questo segmento fanno segnare un andamento negativo dal 2007. Quello che accadrà nel futuro prossimo è condizionato dall’eredità della situazione di mercato che si è determinata in questi anni di crisi e dalle iniziative che si riuscirà ad attivare per superarla.
Il mercato della casa è caratterizzato dall’esistenza di un ampio stock di alloggi invenduti: è da qui che può venire un contributo alla ripresa, in coerenza con l’obiettivo, ormai condiviso, di contenere la trasformazione di terreno agricolo in suoli edificabili.
Non esistono, o almeno non sono a nostra conoscenza, stime convergenti sulla dimensione di questo fenomeno. Per definirne l’ordine di grandezza possiamo prendere a riferimento la serie storica dei permessi di costruire, distribuiti per soggetti che li hanno richiesti, prodotta dall’Istat per gli anni dal 2003 al 2010. Il loro numero ha iniziato a ridursi dal 2006, con una forte accelerazione dal 2008.
Per la stima del numero di alloggi invenduti, la fine della serie al 2010 non ha rilevanza, considerato che i tempi medi di costruzione si aggirano sui ventiquattro mesi. Ai fini di una stima di massima del numero di nuovi alloggi invenduti abbiamo ipotizzato che: 1) siano destinati al mercato solo gli alloggi costruiti da imprese e cooperative; 2) il numero delle abitazioni costruite costituisca una percentuale di quelle per le quali si è ottenuta la concessione, oscillante tra il 100 per cento del 2003 e il 65 per cento del 2010, con un fattore di riduzione del 5 per cento all’anno; 3) gli alloggi vengano offerti in vendita a partire dal terzo anno successivo a quello della concessione; 4) per vendere l’intero stock di nuovi alloggi offerti ogni anno a partire dal 2006 occorrano otto anni, con una vendita annua pari a un ottavo.
Sotto queste ipotesi si può stimare un numero di abitazioni invendute intorno alle 340mila, di cui 310mila di imprese e 30mila di cooperative. Ovviamente, modificando le ipotesi di partenza, cambiano anche i risultati: facendo oscillare la percentuale del punto 2) tra 85 e 50 per cento, lo stock invenduto si riduce di 70 mila unità; invece, lo stock invenduto aumenterebbe allungando il periodo di vendita. L’entità resterebbe comunque rilevante, conseguenza della debolezza della domanda effettiva, riconducibile a un insieme di fattori, tra i quali è prioritario quello dell’accesso al credito, come attestano i dati sull’andamento negativo dei finanziamenti ipotecari.
In attesa dei bond casa
Gli istituti di credito hanno stretto i cordoni della borsa sia per le imprese di costruzione sia per i privati che vogliono acquistare le abitazioni. Nei confronti delle prime non vogliono aumentare la loro esposizione, ma manifestano anche una scarsa propensione a concedere mutui alle famiglie il cui reddito è sufficientemente elevato per poter far fronte senza problemi al servizio del debito. Una parte dei mutui per le famiglie si configura come l’accollo all’acquirente di una quota di un finanziamento già concesso all’impresa costruttrice. Anche in questi casi, che comportano un frazionamento del rischio, le banche sono restie a concedere i mutui.
Ai comportamenti degli istituti di credito può essere mosso più di un rilievo, ma riflettono, da un lato, una oggettiva difficoltà di provvista dei capitali di durata adeguata a quella dell’ammortamento dei mutui e, dall’altro, il timore di appesantire i bilanci di ulteriori crediti in sofferenza.
Ormai da alcuni mesi ministero del Sviluppo, Abi, Ance e Cassa depositi e prestiti hanno annunciato iniziative per favorire le famiglie nell’acquisto delle abitazioni, come la emissione di obbligazioni per raccogliere capitali da trasformare in mutui e la concessione, alle banche, di garanzie aggiuntive alle ipoteche iscritte sugli immobili.
I risultati di quel lavoro tardano e non si sa quando arriveranno. Nel frattempo una spinta al mercato potrebbe derivare dall’utilizzo di altri strumenti.
Quello che c’è
La Cassa depositi e prestiti, il ministero delle Infrastrutture, le fondazioni bancarie e altri soggetti hanno costituito il Fondo investimenti per l’abitare (Fia), con una dotazione superiore ai 2 miliardi di euro, per sostenere i programmi di edilizia residenziale sociale. Malgrado un’intensa attività promozionale, non sono molte le iniziative locali che hanno richiesto di utilizzare le risorse. La crisi ha inciso negativamente anche sull’edilizia residenziale sociale, le cui prospettive sono legate alla generale ripresa del settore dell’edilizia abitativa.
Il Fia ha ancora risorse “libere” per almeno 1,5 miliardi di euro, difficilmente impiegabili nel breve termine. Con questa cifra si potrebbe, ora, fare provvista per le banche vincolata alla concessione di mutui fondiari. I piani di ammortamento potrebbero essere formulati in modo tale da rendere il più celere possibile la restituzione del capitale.
Senza una garanzia accessoria all’ipoteca, la sola disponibilità della necessaria liquidità non è, però, sufficiente a convincere le banche a concedere i mutui alle famiglie. Per la copertura del rischio d’insolvenza degli acquirenti nel pagamento delle rate, si potrebbe ipotizzare un migliore impiego del fondo istituito (comma 3bis articolo 13 legge 133/2008) per favorire l’accesso al credito delle giovani coppie, attraverso il rilascio di garanzie fideiussorie. (1) Attualmente quel fondo ha una dotazione di 50 milioni di euro e opera con un moltiplicatore 10, cioè può garantire fino a 500 milioni di euro. A settembre dello scorso anno le domande ammesse erano centoundici per un importo complessivo di circa 10 milioni di euro, ma le operazioni garantite erano quarantacinque per 5 milioni di euro. La scarsa operatività di questo strumento è dovuta anche a errori di progettazione della policy che dovrebbe contribuire a realizzare e ai troppi vincoli operativi che rischiano di renderlo di fatto inutilizzabile.
Incrementare la dotazione del fondo di un centinaio di milioni (non certo un grande sforzo per le finanze pubbliche) consentendone l’accesso a tutti gli acquirenti e non solo alle giovani coppie, e chiedere alle banche un raddoppio del moltiplicatore potrebbe accrescere la produttività di risorse pubbliche per ora di fatto ibernate.
Le care, vecchie, cartolarizzazioni
Sono, queste, ipotesi non certo risolutive, ma con il merito di una fattibilità in tempi relativamente brevi e di un positivo effetto “segnaletico” in un settore cruciale per la nostra economia.
Occorre, però, anche guardare, con un po’ di coraggio, verso nuovi orizzonti nei quali il pubblico può giocare un ruolo determinante. Sfidando una ostilità, legata più alla evocazione narrativa che alla realtà dei fatti, Fannie Mae e Freddie Mac, le famose Government –sponsored entities (Gse) statunitensi, possono rappresentare un buon punto di riferimento. Le due agenzie governative, con il compito di acquistare mutui successivamente cartolarizzati, portano la croce addosso come uno dei maggiori responsabili della crisi dei subprime per aver favorito il credito facile e irresponsabile attraverso il noto meccanismo originate and distribute. Ma, come testimoniano recenti ricerche, da un lato quel meccanismo si è messo in moto quando le cartolarizzazioni si sono progressivamente spostate verso i private-label, e cioè i veicoli privati creati dalle banche di investimento, dall’altro la situazione è degenerata per successivi interventi regolamentari che hanno consentito alle Gse di derogare a una disciplina che consentiva l’acquisto dei mutui secondo rigorosi criteri di selezione. (2)Adesso, salvate dallo Stato, stanno restituendo i finanziamenti ricevuti con un anticipo sulla tabella prevista.
Seguendo il vecchio detto, non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca: la securitization non è la madre di tutte le disgrazie, ma uno strumento che, correttamente utilizzato, può rientrare a tutti gli effetti nella tastiera degli interventi pubblici per favorire l’accesso ai mutui. E visto che da noi il problema non è tanto quello di favorire, ma di riaprire un rubinetto ormai chiuso (v. C. Milani, Il mutuo, sempre più un miraggio, su www.lavoce.info) che potrebbe avere positivi effetti a catena sulla agognata crescita, le care vecchie cartolarizzazioni possono essere utili.
(1) Per un approfondimento vedi R. Lungarella, Le politiche statali e regionali per l’autonomia abitativa dei giovani, in G. Cordella , S.E. Masi., Condizioni giovanili e nuovi rischi. Quali politiche?, Carocci editore, Roma, 2012.
(2) A. Levitin, S.M. Wachter, Explaining the Housing Bubble, in The Georgetown Law Journal, 2012, p. 1183, disponibile anche su www.ssrn.com
*Raffaele Lungarella: Raffaele Lungarella, laureato in scienze statistiche ed economiche, è stato docente a contratto di economia applicata nell’università di Modena e Reggio Emilia, dove è stato anche cultore della materia di economia politica. Ha diretto il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici della regione Emilia-Romagna; dello stesso ente è stato responsabile dei servizi politiche abitative e lavori pubblici. È stato anche responsabile del servizio finanziamenti per l’innovazione tecnologica di una società finanziaria. Ora è in pensione.
**Francesco Vella: Francesco Vella è ordinario di Diritto Commerciale presso l’Università di Bologna. Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in diritto commerciale ha insegnato nella Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Modena dove è divenuto professore associato nel 1992 e straordinario nel 1998 . Nel 1998 diviene professore ordinario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, dove attualmente insegna nel corso di laurea in Scienze Giuridiche, nella Scuola di Specializzazione delle professioni forensi e nel Master per giuristi d’impresa.E’ membro della redazione delle riviste “Giurisprudenza Commerciale”, “Banca Borsa, Titoli di Credito”, “Banca, impresa e Società”, “Mercato Concorrenza e Regole” e della direzione della rivista “Analisi Giuridica dell’economia” alla cui fondazione ha contribuito . E’ tra i soci fondatori dell’Associazione Disiano Preite per lo studio del diritto d’impresa.Ha avuto esperienze di pratica professionale nel campo del diritto bancario e del diritto dei mercati finanziari ed è stato chiamato, in qualità di amministratore indipendente, a far parte del consiglio di amministrazione della Banca Bipop dal febbraio 2002 all’aprile 2002.
Lavoce.info
Watchdog della politica economica italiana
Economia & Lobby - 26 Marzo 2013
Casa, il mercato cerca credito
L’edilizia è spesso vista come un settore che può dare un forte contributo alla crescita del paese. Ma oggi le stime dicono che ci sono circa 340mila nuove abitazioni invendute. Anche perché le banche hanno praticamente bloccato la concessione di mutui. Gli strumenti per cambiare la situazione.
di Raffaele Lungarella* e Francesco Vella** (lavoce.info)
Il mercato dell’invenduto
Da più parti si affida al settore dell’edilizia un ruolo primario per la crescita economica e dell’occupazione nel nostro paese. Il sostegno al mercato dell’edilizia abitativa può rivelarsi particolarmente efficace, considerando che vi sono impiegate principalmente risorse private e che quello della casa è il problema la cui soluzione è una priorità per le famiglie.
Gli investimenti in questo segmento fanno segnare un andamento negativo dal 2007. Quello che accadrà nel futuro prossimo è condizionato dall’eredità della situazione di mercato che si è determinata in questi anni di crisi e dalle iniziative che si riuscirà ad attivare per superarla.
Il mercato della casa è caratterizzato dall’esistenza di un ampio stock di alloggi invenduti: è da qui che può venire un contributo alla ripresa, in coerenza con l’obiettivo, ormai condiviso, di contenere la trasformazione di terreno agricolo in suoli edificabili.
Non esistono, o almeno non sono a nostra conoscenza, stime convergenti sulla dimensione di questo fenomeno. Per definirne l’ordine di grandezza possiamo prendere a riferimento la serie storica dei permessi di costruire, distribuiti per soggetti che li hanno richiesti, prodotta dall’Istat per gli anni dal 2003 al 2010. Il loro numero ha iniziato a ridursi dal 2006, con una forte accelerazione dal 2008.
Per la stima del numero di alloggi invenduti, la fine della serie al 2010 non ha rilevanza, considerato che i tempi medi di costruzione si aggirano sui ventiquattro mesi. Ai fini di una stima di massima del numero di nuovi alloggi invenduti abbiamo ipotizzato che: 1) siano destinati al mercato solo gli alloggi costruiti da imprese e cooperative; 2) il numero delle abitazioni costruite costituisca una percentuale di quelle per le quali si è ottenuta la concessione, oscillante tra il 100 per cento del 2003 e il 65 per cento del 2010, con un fattore di riduzione del 5 per cento all’anno; 3) gli alloggi vengano offerti in vendita a partire dal terzo anno successivo a quello della concessione; 4) per vendere l’intero stock di nuovi alloggi offerti ogni anno a partire dal 2006 occorrano otto anni, con una vendita annua pari a un ottavo.
Sotto queste ipotesi si può stimare un numero di abitazioni invendute intorno alle 340mila, di cui 310mila di imprese e 30mila di cooperative. Ovviamente, modificando le ipotesi di partenza, cambiano anche i risultati: facendo oscillare la percentuale del punto 2) tra 85 e 50 per cento, lo stock invenduto si riduce di 70 mila unità; invece, lo stock invenduto aumenterebbe allungando il periodo di vendita. L’entità resterebbe comunque rilevante, conseguenza della debolezza della domanda effettiva, riconducibile a un insieme di fattori, tra i quali è prioritario quello dell’accesso al credito, come attestano i dati sull’andamento negativo dei finanziamenti ipotecari.
In attesa dei bond casa
Gli istituti di credito hanno stretto i cordoni della borsa sia per le imprese di costruzione sia per i privati che vogliono acquistare le abitazioni. Nei confronti delle prime non vogliono aumentare la loro esposizione, ma manifestano anche una scarsa propensione a concedere mutui alle famiglie il cui reddito è sufficientemente elevato per poter far fronte senza problemi al servizio del debito. Una parte dei mutui per le famiglie si configura come l’accollo all’acquirente di una quota di un finanziamento già concesso all’impresa costruttrice. Anche in questi casi, che comportano un frazionamento del rischio, le banche sono restie a concedere i mutui.
Ai comportamenti degli istituti di credito può essere mosso più di un rilievo, ma riflettono, da un lato, una oggettiva difficoltà di provvista dei capitali di durata adeguata a quella dell’ammortamento dei mutui e, dall’altro, il timore di appesantire i bilanci di ulteriori crediti in sofferenza.
Ormai da alcuni mesi ministero del Sviluppo, Abi, Ance e Cassa depositi e prestiti hanno annunciato iniziative per favorire le famiglie nell’acquisto delle abitazioni, come la emissione di obbligazioni per raccogliere capitali da trasformare in mutui e la concessione, alle banche, di garanzie aggiuntive alle ipoteche iscritte sugli immobili.
I risultati di quel lavoro tardano e non si sa quando arriveranno. Nel frattempo una spinta al mercato potrebbe derivare dall’utilizzo di altri strumenti.
Quello che c’è
La Cassa depositi e prestiti, il ministero delle Infrastrutture, le fondazioni bancarie e altri soggetti hanno costituito il Fondo investimenti per l’abitare (Fia), con una dotazione superiore ai 2 miliardi di euro, per sostenere i programmi di edilizia residenziale sociale. Malgrado un’intensa attività promozionale, non sono molte le iniziative locali che hanno richiesto di utilizzare le risorse. La crisi ha inciso negativamente anche sull’edilizia residenziale sociale, le cui prospettive sono legate alla generale ripresa del settore dell’edilizia abitativa.
Il Fia ha ancora risorse “libere” per almeno 1,5 miliardi di euro, difficilmente impiegabili nel breve termine. Con questa cifra si potrebbe, ora, fare provvista per le banche vincolata alla concessione di mutui fondiari. I piani di ammortamento potrebbero essere formulati in modo tale da rendere il più celere possibile la restituzione del capitale.
Senza una garanzia accessoria all’ipoteca, la sola disponibilità della necessaria liquidità non è, però, sufficiente a convincere le banche a concedere i mutui alle famiglie. Per la copertura del rischio d’insolvenza degli acquirenti nel pagamento delle rate, si potrebbe ipotizzare un migliore impiego del fondo istituito (comma 3bis articolo 13 legge 133/2008) per favorire l’accesso al credito delle giovani coppie, attraverso il rilascio di garanzie fideiussorie. (1) Attualmente quel fondo ha una dotazione di 50 milioni di euro e opera con un moltiplicatore 10, cioè può garantire fino a 500 milioni di euro. A settembre dello scorso anno le domande ammesse erano centoundici per un importo complessivo di circa 10 milioni di euro, ma le operazioni garantite erano quarantacinque per 5 milioni di euro. La scarsa operatività di questo strumento è dovuta anche a errori di progettazione della policy che dovrebbe contribuire a realizzare e ai troppi vincoli operativi che rischiano di renderlo di fatto inutilizzabile.
Incrementare la dotazione del fondo di un centinaio di milioni (non certo un grande sforzo per le finanze pubbliche) consentendone l’accesso a tutti gli acquirenti e non solo alle giovani coppie, e chiedere alle banche un raddoppio del moltiplicatore potrebbe accrescere la produttività di risorse pubbliche per ora di fatto ibernate.
Le care, vecchie, cartolarizzazioni
Sono, queste, ipotesi non certo risolutive, ma con il merito di una fattibilità in tempi relativamente brevi e di un positivo effetto “segnaletico” in un settore cruciale per la nostra economia.
Occorre, però, anche guardare, con un po’ di coraggio, verso nuovi orizzonti nei quali il pubblico può giocare un ruolo determinante. Sfidando una ostilità, legata più alla evocazione narrativa che alla realtà dei fatti, Fannie Mae e Freddie Mac, le famose Government –sponsored entities (Gse) statunitensi, possono rappresentare un buon punto di riferimento. Le due agenzie governative, con il compito di acquistare mutui successivamente cartolarizzati, portano la croce addosso come uno dei maggiori responsabili della crisi dei subprime per aver favorito il credito facile e irresponsabile attraverso il noto meccanismo originate and distribute. Ma, come testimoniano recenti ricerche, da un lato quel meccanismo si è messo in moto quando le cartolarizzazioni si sono progressivamente spostate verso i private-label, e cioè i veicoli privati creati dalle banche di investimento, dall’altro la situazione è degenerata per successivi interventi regolamentari che hanno consentito alle Gse di derogare a una disciplina che consentiva l’acquisto dei mutui secondo rigorosi criteri di selezione. (2)Adesso, salvate dallo Stato, stanno restituendo i finanziamenti ricevuti con un anticipo sulla tabella prevista.
Seguendo il vecchio detto, non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca: la securitization non è la madre di tutte le disgrazie, ma uno strumento che, correttamente utilizzato, può rientrare a tutti gli effetti nella tastiera degli interventi pubblici per favorire l’accesso ai mutui. E visto che da noi il problema non è tanto quello di favorire, ma di riaprire un rubinetto ormai chiuso (v. C. Milani, Il mutuo, sempre più un miraggio, su www.lavoce.info) che potrebbe avere positivi effetti a catena sulla agognata crescita, le care vecchie cartolarizzazioni possono essere utili.
(1) Per un approfondimento vedi R. Lungarella, Le politiche statali e regionali per l’autonomia abitativa dei giovani, in G. Cordella , S.E. Masi., Condizioni giovanili e nuovi rischi. Quali politiche?, Carocci editore, Roma, 2012.
(2) A. Levitin, S.M. Wachter, Explaining the Housing Bubble, in The Georgetown Law Journal, 2012, p. 1183, disponibile anche su www.ssrn.com
*Raffaele Lungarella: Raffaele Lungarella, laureato in scienze statistiche ed economiche, è stato docente a contratto di economia applicata nell’università di Modena e Reggio Emilia, dove è stato anche cultore della materia di economia politica. Ha diretto il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici della regione Emilia-Romagna; dello stesso ente è stato responsabile dei servizi politiche abitative e lavori pubblici. È stato anche responsabile del servizio finanziamenti per l’innovazione tecnologica di una società finanziaria. Ora è in pensione.
**Francesco Vella: Francesco Vella è ordinario di Diritto Commerciale presso l’Università di Bologna. Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in diritto commerciale ha insegnato nella Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Modena dove è divenuto professore associato nel 1992 e straordinario nel 1998 . Nel 1998 diviene professore ordinario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, dove attualmente insegna nel corso di laurea in Scienze Giuridiche, nella Scuola di Specializzazione delle professioni forensi e nel Master per giuristi d’impresa.E’ membro della redazione delle riviste “Giurisprudenza Commerciale”, “Banca Borsa, Titoli di Credito”, “Banca, impresa e Società”, “Mercato Concorrenza e Regole” e della direzione della rivista “Analisi Giuridica dell’economia” alla cui fondazione ha contribuito . E’ tra i soci fondatori dell’Associazione Disiano Preite per lo studio del diritto d’impresa.Ha avuto esperienze di pratica professionale nel campo del diritto bancario e del diritto dei mercati finanziari ed è stato chiamato, in qualità di amministratore indipendente, a far parte del consiglio di amministrazione della Banca Bipop dal febbraio 2002 all’aprile 2002.
MORTE DEI PASCHI
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Gli sprechi della Difesa: frecce tricolori a Rivolto, colombe a Palermo
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Sankt Moritz, 13 mar. -(Adnkronos) - La prima tappa della Coppa delle Alpi by 1000 Miglia 2025, partita da Brescia alle 9:00 di stamattina, è in conclusione. La classifica aggiornata alla Prova di Media sul Passo Eira vede Francesco e Giuseppe di Petra in testa a bordo della loro Fiat 508C del 1938, seguiti da Belotti-Plebani sulla Bugatti T 37 A del 1927 e da un’altra 508C ma del 1937, quella di Aliverti-Polini. Conclusa la sosta per il pranzo a Tirano, gli equipaggi hanno iniziato a risalire la Valtellina toccando prima Grosio, con la vista del Castello Vecchio di San Faustino sullo sfondo, e poi Bormio, che ha ospitato un controllo timbro in pieno centro storico. Una volta lasciata alle spalle la cittadina, hanno iniziato a profilarsi i primi scorci imbiancati. Ben presto, gli equipaggi si sono visti immersi in un panorama completamente innevato, reso ancor più bello dalla luce del sole del pomeriggio.
Sul Passo Eira, ad un’altitudine di 2000 metri, si è tenuta la prima Prova di Media della manifestazione, dopodiché il convoglio è giunto a Livigno, che ha accolto i piloti per un coffee break nella Piazza del Comune. Il benvenuto del centro cittadino è stato caloroso, con una folla entusiasta che si è riunita nei pressi dell’arco all’arrivo nella cittadina, partner della Coppa delle Alpi 2025. Costeggiando il lago di Livigno, ghiacciato dalle rigide temperature invernali, gli equipaggi sono entrati in Svizzera passando dal tunnel Munt la Schera. Le vetture sono infine giunte a St. Moritz, primo traguardo di tappa della Coppa delle Alpi 2025.
Lasciandosi alle spalle la Torre Pendente di San Maurizio, hanno effettuato le ultime prove di giornata e, dopo aver costeggiato il lago di St. Moritz, sono finalmente giunte al Controllo Orario finale nella centralissima via Serlas sotto una consistente nevicata.
Verona, 13 mar. - (Adnkronos) - "Abbiamo voluto e portato all’interno di una manifestazione fieristica un progetto di natura sociale, per la prima volta in assoluto, in quanto non era mai accaduto che si dedicasse un intero padiglione alla fiera del sociale. Lo abbiamo fatto per la prima volta in occasione del primo evento di LetExpo, e ora siamo alla quarta edizione. Siamo partiti con tre organizzazioni tra fondazioni e associazioni: Fondazione Grimaldi, la Comunità Lautari e l’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon, con la sua Fondazione. Oggi sono più di 50 organizzazioni, c’è stata una crescita esponenziale. Sono felice di aver condiviso tutte queste annate con il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha condiviso con noi questi momenti”. Lo ha detto Eugenio Grimaldi, executive manager del Gruppo Grimaldi e presidente di Alis per il Sociale alla quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, in programma a Verona fino al 14 marzo. La fiera è promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
“Il ministro Locatelli ha ascoltato le istanze di queste fondazioni e organizzazioni, ci ha invitato a Palazzo Chigi, dove abbiamo avuto modo di parlare delle loro criticità e ascoltandole credo che nei nuovi decreti abbiano potuto portare e sollevare delle linee guida presenti oggi in questi nuovi decreti. Quindi, rappresenta un risultato tangibile che ci dà grande soddisfazione - afferma Grimaldi - Ho avuto la percezione anche di una crescita per i prossimi anni e questo dà sicuramente grande soddisfazione e ancora più voglia di lavorare”.
“E’ stato un momento di grande soddisfazione aver avuto momenti di condivisione con i gruppi del ministero della Difesa, come l’esercizio, che hanno partecipato in senso attivo non solo nel padiglione, dove c'è l'organizzazione del Ministero della Difesa, ma si sono avvicinati al padiglione 1, dedicato al sociale - spiega - Già abbiamo condiviso che l'anno prossimo avremo una partecipazione anche all’interno dell’organizzazione da parte loro. Abbiamo avuto anche l'Aeronautica militare, che con la Fanfara ha aperto il padiglione nella giornata inaugurale”. “Voglio ringraziare tutte le imprese, che rappresentano il senso di questo evento e le aziende che hanno già portato a termine alcuni progetti con la Comunità Lautari e con la Fondazione Grimaldi, ma soprattutto che hanno portato a compimento già con la Fondazione Santobono. C'è un senso pratico e tangibile del lavoro espresso in questo padiglione e in questa fiera, che porta sicuramente dei risultati nel terzo settore, dove ci sono i più fragili”, conclude Grimaldi.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Gruppo Webuild ha chiuso il 2024 con risultati record, superando gli impegnativi obiettivi previsti per l’anno grazie a una crescita a doppia cifra, con ricavi pari a 12 miliardi (+20% sul 2023) mentre l'Ebitda ammonta a 967 milioni (+18%, rispetto a una guidance fissata sopra i 900 milioni), corrispondente a un margine del’8,1%. Il gruppo sottolinea come la struttura finanziaria si è rafforzata ulteriormente mantenendo per il quarto anno consecutivo una posizione di cassa netta, che si attesta a 1.445 milioni nel 2024 (ben superiore agli oltre 400 milioni fissati nella guidance) mentre la leva finanziaria si è ridotta a 2,9x, attestandosi ad un livello migliore rispetto ai principali player internazionali di settore.
La crescita - si sottolinea - è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria MilanoGenova e Verona-Padova, Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia (Snowy Hydro 2.0, SSTOM Sydney Metro, Perdaman e North East Link di Melbourne) e in Arabia Saudita (Trojena Dams e Connector South).
Il Gruppo ha continuato a consolidare la propria leadership in Italia e nei principali mercati internazionali, tra cui Europa, Australia, Stati Uniti e Medio Oriente, che nel 2024 hanno contribuito per oltre il 90% ai ricavi, a conferma del proseguimento dell’impegno nella politica di de-risking.
A fine 2024 il portafoglio ordini totale di Weibuld risultava pari a 63,2 miliardi di euro, di cui 54,3 miliardi relativi a construction e 8,9 miliardi riferiti a concessions e operation & maintenance. Il backlog construction - si sottolinea in una nota - "si conferma tra i più alti rispetto ai principali peers europei nel segmento construction". Peraltro, ricorda Webuild, circa il 90% del backlog construction del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. In termini di geografie il portafoglio ordini risulta prevalentemente distribuito tra Italia, paesi dell’Europa Centrale e del Nord, Stati Uniti, Medio Oriente ed Australia - principalmente in segmenti legati alla mobilità sostenibile quali l’alta velocità, il settore ferroviario e il settore stradale - portando i progetti in queste geografie a quasi il 90% del backlog construction.
Alla luce dei risultati record raggiunti nel 2024, ma anche "del consolidato posizionamento in un mercato in forte espansione e della robusta piattaforma costruita nel tempo", Webuild ha rivisto al rialzo i target 2025, definiti nel piano "Roadmap al 2025 – The Future is Now", che già prevedevano obiettivi ambiziosi. La nuova guidance prevede per il 2025 ricavi superiori a 12,5 miliardi (il target precedente era di 10,5-11 miliardi), un Ebitda maggiore di 1,1 miliardi, rispetto ad un precedente target di €990-1.050 milioni, e una solida cassa netta superiore a 700 milioni, rispetto all’indicazione di una cassa netta positiva.
Webuild ha chiuso il 2024 con un utile netto attribuibile ai Soci della Controllante adjusted di 247 milioni di euro contro i 236 milioni del 2023.Il risultato prima delle imposte adjusted si attesta a 434 milioni con un aumento del 10% rispetto all’esercizio precedente mentre le Imposte sul reddito adjusted ammontano a 181 milioni. La Posizione finanziaria netta delle attività continuative al 31 dicembre 2024 era positiva per 1.445 (€1.431 milioni al 31 dicembre 2023), registrando un risultato superiore alle attese. Questo risultato - si sottolinea in una nota - "conferma l’efficacia delle strategie adottate per ottimizzare la gestione del capitale circolante e riflette i successi commerciali conseguiti dal Gruppo anche nel 2024, assumendo ancora maggiore rilevanza alla luce degli investimenti in dotazioni tecniche e beni in leasing (970 milioni) per l’avvio dei grandi progetti in corso".
A fine esercizio l’indebitamento lordo, al netto dell’effetto temporaneo di incremento del debito legato all’operazione di liability management di ottobre 2024, si attesta a 2,765 miliardi (2,609 miliardi nel 2023), con un rapporto Indebitamento lordo/EBITDA di 2,9x, in riduzione rispetto al dato di 3,2x al 31 dicembre 2023. Alla luce dei risultati nell'assemblea che sarà convocata per il 16 aprile sarà proposto un dividendo di 0,081 euro per azione ordinaria (+14%) e di 0,26 euro per ciascuna azione di risparmio.
Napoli, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - In una Campania in crescita, ma ancora segnata dal fenomeno della fuga di talenti, il legame tra formazione universitaria e sviluppo economico diventa cruciale. Se ne è discusso presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli, durante l’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', promosso dalla Luiss e dedicato alle lauree magistrali dell’Ateneo.
“La Luiss lavora in prima linea per costruire corsi di laurea magistrale strettamente legati alle necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma, dedichiamo particolare attenzione alla Campania, seconda regione di provenienza dei nostri studenti e territorio ricco di opportunità nei settori chiave come turismo, agroalimentare e aerospazio. Il nostro obiettivo è collaborare con le imprese campane affinché i nostri studenti possano realizzarsi professionalmente all’interno di esse, raggiungendo posizioni apicali”, ha spiegato Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss e responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’Ateneo.
Durante l’incontro sono state illustrate anche le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss: “E' importante farsi guidare dalle proprie passioni e dai propri interessi, ma anche essere pronti a sviluppare nuove competenze trasversali, saper dialogare con l’intelligenza artificiale con solide competenze verticali e lavorare sulle life skills, le cosiddette competenze della vita. Solo così si potranno affrontare le trasformazioni attuali e future. Per noi è fondamentale interagire con tutte le realtà del territorio, da cui traiamo spunto per disegnare un’offerta formativa sempre più aderente alle esigenze del mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è formare studenti altamente preparati, motivati e appassionati, in grado non solo di entrare nel mondo del lavoro, ma di costruire percorsi di carriera soddisfacenti e di successo”.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.