Il rapporto della Commissione europea sull’occupazione è impietoso. Nel 2012 l’Italia è il Paese che ha pagato più caro lo scotto della crisi. “Lo stress economico ha avuto ripercussioni in Bulgaria, Cipro, Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna e soprattutto Italia, dove è salita al 15% la popolazione in difficoltà economica”. Un dato che conferma quanto evidenziato pochi giorni fa dalla Confcommercio, secondo la quale il numero di persone “assolutamente povere” nel nostro Paese nel corso dell’anno supererà ampiamente i 4 milioni. Il rapporto Ue sottolinea che anche in termini di produttività l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa: “In seguito a crescita debole o negativa cala la produttività in Ue e l’Italia ha fatto registrare di gran lunga il suo calo più accentuato: -2,8% nell’ultimo trimestre 2012, dopo il calo ancora più forte del 3% del precedente trimestre”. L’Italia è il Paese, tra quelli più grandi d’Europa, dove la disoccupazione nell’ultimo trimestre 2012 ha subito l’accelerazione più marcata rispetto al trimestre precedente (+0,5%), seguono Polonia (+0,3%), Spagna (+0,1%) e Francia (+0.1%). Una situazione critica anche in prospettiva: secondo l’aggiornamento del Def (il Documento di economia e finanza nel quale l’esecutivo aggiorna le previsioni macroeconomiche del Paese) presentato dal governo in Parlamento, la stima del tasso di disoccupazione toccherà quest’anno l’11,6%, più dell’11,4% previsto dal precedente aggiornamento, per poi salire ulteriormente all’11,8% nel 2014.
Leggermente più roseo il quadro riguardante l’innovazione, ma l’Italia, nonostante miglioramenti dal 2008, resta tra i paesi a innovazione moderata, sotto la media europea. I punti deboli del nostro sistema sono i finanziamenti e gli aiuti, ma anche gli investimenti delle imprese, “ben sotto la media” europea. Sono al contrario “ben sopra la media” Ue i risultati in materia di crescita per i sistemi di ricerca aperti, di eccellenza e attrattivi, e gli effetti economici. Una “crescita elevata” c’è stata poi nelle vendite di innovazioni per mercato e imprese e anche nelle entrate dall’estero derivanti da licenze e brevetti. Un “forte calo”, invece, si osserva negli investimenti in capitali di rischio e nelle spese per l’innovazione diverse da quelle per attività di ricerca e sviluppo.
L’Italia è tra gli innovatori moderati insieme a Spagna, Portogallo, Repubblica ceca, Grecia, Slovacchia, Ungheria, Malta e Lituania. Al top della classifica ci sono invece Svezia, Germania, Danimarca e Finlandia, seguiti da Olanda, Lussemburgo, Belgio, Gran Bretagna, Austria, Irlanda, Francia, Slovenia, Cipro ed Estonia. Maglia nera per Polonia, Lettonia, Romania e Bulgaria. La resa innovativa nell’Ue, emerge quindi dal rapporto, è migliorata di anno in anno nonostante il perdurare della crisi economica, ma il gap dell’innovazione tra gli stati membri si sta allargando. “I risultati di quest’anno indicano che la crisi economica ha influito negativamente sull’innovazione in certe parti d’Europa”, ha spiegato il vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani, avvertendo che “gli investimenti nell’innovazione sono essenziali se vogliamo mantenere la nostra competitività globale e rilanciare la crescita in Europa”.