La Corea del Nord alza ancora il tiro e annuncia il riavvio della centrale nucleare di Yongbyon, fermata nel 2007 dopo un faticoso negoziato maturato al tavolo a Sei. Una decisione per nulla gradita dalla Cina, il più stretto alleato di Pyongyang, che, invitando “tutte le parti in causa” a “esercitare la calma e la moderazione”, non ha nascosto il fastidio per l’evoluzione della crisi e ha mobilitato le truppe al confine.
La centrale fu chiusa nell’ambito dei negoziati a Sei (di cui fanno parte le due Coree, Cina, Usa, Russia e Giappone), lanciati nel 2003 per “invitare” Pyongyang ad abbandonare le sue ambizioni atomiche in cambio di aiuti. “Chiediamo la ripresa di dialogo e consultazioni quanto prima in modo da cercare insieme modi per risolvere adeguatamente il problema”, ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hong Lei. La Cina ha allertato le truppe sul confine con la Corea del Nord, temendo che lo sgretolamento del regime porti al massiccio afflusso di profughi sul suo territorio: secondo fonti Usa, negli ultimi giorni si sono avuti forti movimenti di soldati. L’insofferenza di Pechino è in crescita, così come si sono moltiplicati i segnali per riportare l’imprevedibile vicino alla “ragionevolezza” dopo il terzo test nucleare del 12 febbraio.
Non solo il voto favorevole della Cina alla stretta delle sanzioni in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma anche lo stop all’export a febbraio di 30-50.000 tonnellate di greggio e, da ultimo, il blocco – secondo la tv sudcoreana Ytn – dei visti di lavoro ai cittadini nordcoreani. Lo stop prolungato potrebbe costare molto a Pyongyang, dato che ogni lavoratore (30.000 circa quelli ora impegnati negli impianti al confine) percepisce 2-300 dollari al mese, riscossi direttamente dallo Stato. Il rilancio di Yongbyon, a circa 90 chilometri a nord di Pyognyang, permetterà al Nord l’estrazione di plutonio dalle barre di combustibile esaurito, aumentando lo stock che, secondo le ultime valutazioni fatte dall’ex segretario di Stato Usa Hillary Clinton, è sufficiente allo stato per fabbricare dai sei agli otto ordigni.
Alla centrale, ha riferito l’agenzia ufficiale Kcna citando un portavoce del Dipartimento generale per l’energia atomica, “saranno adottate tutte le misure per riavviare il reattore e per ristrutturare gli impianti associati”. Per altro verso, la scelta è “coerente” con i propositi di “rafforzare l’arsenale atomico in termini di qualità e quantità” ed è funzionale a risolvere la “grave” carenza d’energia elettrica, malgrado gli ingenti lavori dopo che la torre di raffreddamento nel complesso di fabbricazione sovietica fu demolita nel 2008 con l’esplosivo, nel rispetto dell’accordo raggiunto nel negoziato a Sei.
Secondo la Russia, la priorità nella Penisola coreana è di “evitare uno scenario militare”, mentre il segretario generale dell’Onu, il sudcoreano Ban Ki-moon, ha parlato di crisi politico-diplomatica “andata troppo oltre”: è necessario tornare al negoziato. Dure critiche alla riapertura di Yongbyon sono state espresse da Corea del Sud e Giappone “per la violazione dei colloqui a Sei e delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”. Sul fronte Usa, la Marina ha spostato il cacciatorpediniere antimissili Fitzgerald, dotato di standard Aegis, intorno alla penisola coreana, dopo i superbombardieri B-52, i caccia F-22 e gli ipertecnologici B-2, coinvolti a vario titolo nelle manovre militari congiunte tra Washington e Seul. “Il loro schieramento pensiamo abbia ridotto le chance di errori e provocazioni”, ha detto Jay Carney, portavoce della Casa Bianca. Oltre il 38/mo parallelo, nonostante la retorica, “non ci sono segnali rilevanti di movimenti militari”, ha assicurato in serata il ministero della Difesa di Seul.