Ci sarebbe anche la collaboratrice italo-siriana del fattoquotidiano.it Susan Dabbous tra i quattro giornalisti italiani sequestrati nel nord della Siria. Il suo nome ha cominciato a circolare con sempre maggiore insistenza insieme a quello degli altri giornalisti che sarebbero stati bloccati da un gruppo armato riconducibile, secondo alcune fonti del ministero degli Esteri, alle truppe dei ribelli anti-Assad e secondo altre a miliziani fondamentalisti.
Gli altri inviati “fermati” sono Amedeo Ricucci della Rai (lavora in particolare per La Storia siamo noi) e i freelance Andrea Vignali e Elio Colavolpe. I quattro sarebbero in mano ai sequestratori dalla notte tra giovedì e venerdì. L’ipotesi è che siano stati bloccati per sottoporre a controllo video e foto realizzati in zone “sensibili”.
La Farnesina ha confermato il sequestro precisando di seguire “sin dai primi momenti la vicenda. L’unità di crisi si è immediatamente attivata” ed è in contatto “con i familiari”. “Occorre mantenere il massimo riserbo”, fa sapere sottolineando che “l’incolumità dei connazionali resta la priorità assoluta”.
I 4 giornalisti stanno bene, secondo Aya Homsi, una attivista e blogger siriana che vive e studia a Bologna, animatrice di un gruppo su Facebook, “Vogliamo la Siria libera”. Stando a quanto riferisce, Ricucci, Colavolpe, Vignali e Dabous sono trattenuti in attesa che dai documenti in loro possesso si accerti effettivamente che si tratta di giornalisti e quindi a quel punto verrebbero rilasciati o liberati. Non è ancora chiaro in mano a chi siano i 4 italiani: se a gruppi riconducibili alle truppe governative o ai ribelli anti-Assad.
Susan, da un anno e mezzo in Siria per documentare la guerra
Susan Dabbous, romana e siriana per parte di padre, vive ormai da più di un anno e mezzo a Beirut da dove segue l’evoluzione tragica della situazione in Siria, un paese che ama e che conosce. La sua famiglia paterna è originaria di Aleppo e non è questa la prima volta che Susan entra in Siria per documentare da vicino quello che succede.
“E’ una freelance nel senso più alto del termine – raccontano i colleghi dell’associazione indipendente di giornalisti Lettera22 – Susan scrive per diverse testate, sia cartacee che online. Al primo lancio di agenzia che riportava il suo nome tra quelli dei colleghi rapiti abbiamo provato a chiamarla sul suo cellulare libanese, che però squilla a vuoto”. Anche la redazione del fattoquotidiano.it ha provato a contattare la Dabbous, senza successo.
Fonti della Farnesina: “Non vero sequestro, ma ‘fermo’”
Secondo quanto riferiscono fonti dello stesso ministero degli Esteri i 4 sarebbero stati rapiti, come detto, tra giovedì e venerdì nel nord del Paese tra la regione di Idlib e quella turca di Hatay. Non si tratterebbe tuttavia di un vero e proprio sequestro, ma di un “fermo” per valutare il materiale che i giornalisti avevano raccolto (foto e video).
“Sono in mano ai ribelli, non a gruppi islamisti”
La notizia alla Farnesina è arrivata dalla Rai che aveva perso contatto con i suoi giornalisti. A quanto pare i 4 non sarebbero nelle mani degli islamisti, ma di gruppi dei ribelli che farebbero parte del Free Syria Army. Le stesse fonti riferiscono che se i cronisti non venissero rilasciati entro 48 ore allora la situazione potrebbe cambiare e diventare più preoccupante. Tuttavia per altre fonti il gruppo armato sarebbe formato da “miliziani fondamentalisti”.
In Siria per il reportage sperimentale “Silenzio, si muore”
I quattro fanno parte della troupe, guidata da Ricucci del programma Rai La Storia siamo noi, composta anche dal fotografo Colavolpe, il documentarista Vignali e la reporter Dabbous, impegnati in Siria da giorni a un reportage sperimentale dal titolo “Silenzio, si muore”. Si tratta di un primo esperimento Rai di giornalismo partecipativo. Ricucci aveva annunciato sul suo blog, alla vigilia della partenza, che con i suoi collaboratori sarebbe stato in Siria dal primo al 15 aprile, realizzando collegamenti ogni giorno via Skype con un gruppi di studenti di San Lazzaro di Savena. I ragazzi della scuola della provincia di Bologna avrebbero dovuto interagire attivamente con i giornalisti sul campo e fornire loro – grazie anche a indicazioni della redazione de La Storia siamo noi – spunti e suggerimenti circa notizie da seguire e storie da raccontare.
Rientravano ogni sera in Turchia
Ricucci e Colavolpe erano già stati assieme nei mesi scorsi per un altro reportage ad Aleppo, sempre prodotto dal canale di approfondimento Rai. Da Antiochia, i giornalisti italiani sono entrati nella Siria controllata dai ribelli lo scorso 2 aprile nell’area di Guvecci facendo tappa, tra l’altro, all’ospedale da campo di Yamadiye, di fronte alla località turca di Yayladagi. Il programma era di rientrare ogni sera in territorio turco e, quindi, di mantenersi sempre vicini alla striscia frontaliera tra i due Paesi.
“Video e foto di postazioni militari sensibili”
Le loro tracce – secondo le prime ricostruzioni – si sono perse giovedì quando nel pomeriggio era previsto il collegamento con i ragazzi di San Lazzaro. I cellulari GSM e satellitare di Ricucci e degli altri componenti della troupe da quel momento sono stati irraggiungibili. Venerdì mattina fonti giornalistiche siriane e straniere presenti nella regione turca di Hatay e in contatto con gli accompagnatori di Ricucci hanno riferito che i giornalisti si trovavano nel villaggio di Yaqubiya, e nord di Idlib, in stato di fermo. Secondo la ricostruzione offerta da queste fonti, i reporter italiani erano stati arrestati perché avevano filmato e fotografato postazioni militari sensibili.
Rai: “Collaborazione con la Farnesina e riserbo”
Anche la Rai comunica di essere in “costante contatto con l’unità di crisi della Farnesina” e “chiede la massima collaborazione e il massimo riserbo per garantire l’incolumità del collega”.
Fnsi: “Seguiamo la vicenda con trepidazione, siamo fiduciosi”
Segue “con trepidazione” la vicenda la Federazione nazionale della stampa che, spiega il segretario Franco Siddi, sta mettendo a disposizione della Farnesina tutta la “nostra collaborazione, nel riserbo dovuto per garantire l’incolumità” dei colleghi. “Siamo fiduciosi” nel lavoro della Farnesina e nel “ritorno alla libertà dei colleghi” aggiunge.