Ancora un sonoro no al governissimo insieme al Pdl perché porterebbe solo “a giorni peggiori”. Pier Luigi Bersani scrive a Repubblica – per rispondere all’editoriale domenicale di Eugenio Scalfari – e conferma tutta la linea tenuta fin qui. La notizia, insomma, è che il leader del centrosinistra ignora quanto avvenuto negli ultimi giorni con il partito che sembra andare in ordine sparso perché, a dispetto delle decisioni prese più volte dal partito, non appare proprio compatto sulla strategia per formare un governo. Le ultime voci forti sono state quelle di Rosy Bindi (“Il segretario ci tiene in ostaggio”), Dario Franceschini (“Governo di transizione se il tentativo di Bersani fallisce”) e soprattutto – ovviamente – Matteo Renzi che ha più volte invitato “a fare presto” e a “non perdere tempo”.
Bersani replica senza particolari pentimenti lo stesso concetto che ripete da settimane: non serve un governo qualunque sia, ma un governo di cambiamento, altrimenti è inutile. “Ci vuole un governo, certamente – scrive nella lettera spedita a Repubblica – Ma un Governo che possa agire univocamente, che possa rischiare qualcosa, che possa farsi percepire nella dimensione reale, nella vita comune dei cittadini. Non un governo che viva di equilibrismi, di precarie composizioni di forze contrastanti, di un cabotaggio giocato solo nel circuito politico-mediatico”. Via dal campo ipotesi di larghe intese con il centrodestra, insomma anche perché altrimenti “predisporremmo solo il calendario di giorni peggiori”. La definisce una “convinzione profonda, cui farei fatica a rinunciare”. “Il nostro Paese – chiarisce – è davvero nei guai. Si moltiplicano le condizioni di disagio estremo e si aggrava una radicale caduta di fiducia. Ci vuole un governo, certamente. Ma un governo che possa agire univocamente”. Basta, in definitiva, con il “piccolo cabotaggio”.
Bersani ringrazia Scalfari per il contesto “amichevole e rispettoso” delle critiche e nota che le stesse si fanno sentire “anche in contesti ben meno amichevoli” che con toni aspri denunciano “una sorta di puntiglio bersaniano”. Ma “la proposta che ho avanzato assieme al mio partito (governo di cambiamento, convenzione per le riforme) – precisa – non è proprietà di Bersani. Ripeto quello che ho sempre detto: io ci sono, se sono utile. Non intendo certo essere di intralcio”. “Esistono – si chiede il segretario democratico – altre proposte che, in un Paese in tumulto, non contraddicano l’esigenza di cambiamento e che prescindano dalla mia persona? Nessuna difficoltà a sostenerle! Me lo si lasci dire: per chi crede nella dignità della politica e conserva un minimo di autostima, queste sono ovvietà!”.
Gli uomini del segretario: “Un governo con il Pdl lo voterebbero in pochi”
Un leader apparentemente accerchiato, insomma, reagisce e rilancia. Il ragionamento, secondo una ricostruzione del Corriere della Sera, è questo: “Nessuna grande coalizione, un governissimo è per noi impensabile, non è questa la soluzione che sblocca il Paese. Ci siamo già passati con Monti e non ha funzionato. Sarebbe la palude… E poi, a parte un paio di renziani, tra i parlamentari del Pd non c’è nessuno che lo voterebbe, un esecutivo così”. Una lettura talmente decisa che le uscite di Franceschini e del capogruppo democratico alla Camera Roberto Speranza vengono interpretate “in linea” con ciò che pensa il segretario: “Anche quelle posizioni – spiega Davide Zoggia, bersaniano di prima fila – si muovono nel solco della direzione nazionale”. Sarà. Resta che il capo del centrosinistra è convinto che l’unica linea possibile possa essere il “doppio binario”: confronto con tutti sul Quirinale, ma governo di cambiamento.
Nessuno scambio sottobanco con il centrodestra
Nessun scambio sottobanco con il centrodestra. L’ultimo dei pensieri è “concedere” un ministro della Giustizia “conciliante” o un presidente della Repubblica che garantisca sui problemi personali di Berlusconi, prosegue il Corriere. Semmai l’offerta è di profilo “istituzionale”: legittimazione piena sul piano politico (“I voti di Berlusconi non sono di serie B” aveva detto lo stesso Speranza), la guida della Convenzione per le riforme (che però il Pdl rifiuta con sdegno) e qualche altro spazio in Parlamento. L’incontro tra Bersani e Berlusconi potrebbe finire fissato in agenda già per giovedì o venerdì. Altre voci, però, dicono che siccome resta l’atteggiamento di chiusura netta del segretario democratico, il confronto tra i due leader potrebbe saltare. Ad ogni modo, secondo Enrico Letta, citato ancora dal quotidiano di via Solferino, è inutile stare a tirarsi i capelli a vicenda in questi giorni perché ciò che sbloccherà tutto sarà l’elezione del nuovo capo dello Stato: “L’elezione del Quirinale sarà determinante per capire se la legislatura muore e va avanti”.
Elezioni più lontane (forse)
Cosa potrebbe accadere in caso di fallimento definitivo di Bersani resta materiale per indovini. La sensazione è che si riduca il fronte di chi vorrebbe andare alle elezioni subito: perfino tra la parte sinistra della coalizione (i Giovani Turchi del Pd e Sinistra Ecologia e Libertà) stanno riflettendo sulla questione. Perfino Nichi Vendola conferma, certo, che non ci sono altri orizzonti diversi da un governo Bersani pienamente di centrosinistra (e comunque senza intese con Berlusconi), ma definisce il ricorso immediato alle urne “una follia”.
Pdl: “Disarmante dover decifrare le letterine di Bersani”
Al Pdl la situazione piace naturalmente sempre meno. Altero Matteoli ci crede e tifa per l’accordo soddisfatto delle aperture di alcuni esponenti democratici negli ultimi giorni. Ma c’è chi non ci sta. “Il fatto – replica il coordinatore dei dipartimenti del Pdl Daniele Capezzone – che dopo 43 giorni dal voto si sia tutti ancora qui a decifrare una letterina criptica di Bersani a fare i conti con l’epistolario del segretario Pd, il quale peraltro conferma la linea di chiusura e quasi ammonisce i dirigenti del suo partito che avevano aperto a noi, è letteralmente
disarmante. Che altro deve succedere perché Bersani si decida a sciogliere i nodi?”.
Mineo: “Napolitano ha una responsabilità gravissima”
Certo, nel Pd la situazione resta davvero complicata. Per esempio si registra la posizione di Corradino Mineo, eletto come capolista del Pd in Sicilia. Il giornalista punta il dito contro il Colle: “La responsabilità di Napolitano è gravissima – dice ad Agorà, su Raitre – perché avrebbe dovuto dare l’incarico pieno a Bersani. Se la situazione di stallo continua azzarderei la scelta di fare le Commissioni. Da questo punto di vista, do perfino ragione al Movimento 5 Stelle”. Quanto al prossimo inquilino del Colle, per Mineo “il prossimo Presidente della Repubblica deve essere uno che ci mette la faccia, che vada anche a prendersi i fischi, che cerchi di rinsaldare il rapporto tra cittadini e istituzioni, uno che rispetti le leggi e che non si presenti come un accordo di Palazzo. Se il Pdl è d’accordo con un identikit di questo tipo, benissimo, ma rifiuto l’idea che sul presidente della Repubblica si faccia una ‘pastetta’”. A Mineo piacerebbero, dice, la Bonino e Rodotà”. Infine un commento sull’attuale esecutivo: “All’inizio il governo Monti ha avuto meriti indubbi, ma dopo qualche mese avremmo dovuto avere il coraggio di staccare la spina”. “Ho ben chiaro in mente il punto – ha aggiunto Mineo – cioè quando Alfano ha disertato un vertice dicendo che giustizia e Rai erano beni non disponibili e quindi cominciava il ricatto, poi continuato, che ha fatto svanire nel nulla tutte le riforme così come il proposito di tagliare le lobby”.
Currò (M5S): “Serve un governo con il Pd, la fiducia è solo un fatto tecnico”
Il dibattito resta puntellato anche su quanto il centrosinistra riuscirà ad attrarre in Parlamento voti del Movimento Cinque Stelle. Torna a parlare, peraltro, il deputato siciliano Tommaso Currò, che già nei giorni scorsi aveva caldeggiato un maggiore impegno dei pentastellati nella formazione di un governo: “Se abbiamo detto di avere un progetto di Paese – spiega oggi a Repubblica – e poi stiamo a guardare il governissimo Pd-Pdl, tradiamo la nostra prerogativa di mandare a casa la vecchia classe dirigente”. L’alternativa qual è? “Se proponiamo un governo a cinque stelle, il Pd e Sel faranno emergere persone che non hanno nulla a che vedere con il passato negativo. Obbligheranno la vecchia classe a fare un passo indietro, ne emergerà una nuova”. Quanto alle regole stringenti del Movimento “bisogna fare il bene del Paese – risponde Currò – Io sono qui per rispettare le regole sottoscritte. Ma non in modo che siano fini a se stesse, bensì per fare il bene dell’Italia. Perché fra le due io scelgo sempre il bene dell’Italia”. Il ragionamento di Currò arriva alla parola “magica”: responsabilità. “Se siamo stati una rivoluzione è perché siamo in un momento storico di rivoluzione. O lo si capisce, assumendoci una responsabilità proporzionale alla gravità del momento, o passeremo ignorati dalla storia”.