“Non era un seggio in un campo nomadi. Se avessi visto centinaia di ebrei votare in un posto dove ne abitano pochi lo avrei detto. Come noterei tanti gay in un seggio di mormoni”. Doveva essere il modo per difendersi dalle accuse di razzismo. Ma il risultato non è stato forse quello sperato. A scrivere quella frase, infatti, è stata Cristiana Alicata, membro della direzione regionale del Pd Lazio, vicina al sindaco di Firenze Matteo Renzi e al “suo” candidato Paolo Gentiloni. Poco prima la Alicata aveva sottolineato su Facebook e Twitter: “Le solite incredibili file di rom che quando ci sono le primarie si scoprono appassionatissimi di politica”. Voleva essere una denuncia politica, un riferimento a una presunta compravendita di voti durante le primarie del centrosinistra per scegliere il candidato sindaco di Roma. Tanto più che poco dopo Antonio Funiciello, portavoce del comitato “Gentiloni per Roma” dichiara: “Stanno arrivando al comitato numerosissime telefonate e segnalazioni di irregolarità e disservizi nei seggi elettorali. Invito tutti a vigilare affinché il voto si svolga in maniera regolare”.
A chi chiede alla Alicata per chi starebbero votando queste “solite e incredibili file di rom”, la Alicata si limita a una specie di pasoliniana denuncia scrivendo: “Io lo so. ma non lo dico. Sono le cose che sai, ma non hai le prove. Presente?”. Mentre scivola sulla questione del linguaggio utilizzato, che potrebbe sottintendere discriminazione razziale, di cui la accusano dapprima centinaia di utenti arrabbiati sui social network, e poi anche la collega di partito Mimma Alfonzo Miani, delegata alla multiculturalità nel XV municipio, dove la Alicata risiede e nel cui campo rom di via Candoni si riversano a frotte i giornalisti.
A quel punto Alicata dapprima si difende, scrivendo sui social network che trattasi “di voto di scambio, non razzismo”. Poi attacca e accusa chi protesta di essere “ipocrita”. E invita gli utenti a “guardare alla luna e non al dito”. Dove il dito dovrebbe essere il linguaggio da lei utilizzato, che però è importante per un politico. E che non muta nelle successive prese di posizione, anzi. Domenica sera sul suo blog personale in un post dal titolo “Non è razzismo, è statistica”, Alicata scrive: “Una frase velocissima e di getto che raccontava cosa stava succedendo in un seggio. Se ero arrabbiata? Sì? Con i rom? Certo che no. Il mio sarcasmo era ed è rivolto a chi sfrutta la loro non integrazione, il loro essere ancora comunità non ospitata nel tessuto cittadino a meno che non sia utile ai voti. Questo non inficia il lavoro di quei tanti (anche del Pd) che con la comunità rom (…) lavorano per favorire quella che io chiamo convivenza felice. Il razzismo non c’entra nulla. C’entra la statistica”.
Insomma quando sul blog i commentatori le fanno notare che per un politico il problema è proprio il linguaggio usato, e portano ad esempio l’utilizzo che ne era fatto nelle persecuzioni contro gli ebrei, Alicata non demorde e risponde: “Non era un seggio in un campo nomadi. Se avessi visto centinaia di ebrei votare in un posto dove ne abitano pochi lo avrei detto. Come noterei tanti gay in un seggio di mormoni”. U un modo curioso di giustificarsi. Per di più proprio oggi che si celebra la “Bahtalo romano dives” (buona giornata del popolo rom), la Giornata internazionale di rom e sinti, riconosciuta dall’Onu nel 1979, e che ricorda – tra le altre – le terribili persecuzioni subite dai rom anche nei campi di concentramento nazisti: insieme ad ebrei e omosessuali.