Con la decisione del tribunale di Portsmouth, che ha imposto alla vecchia proprietà la vendita dello stadio ai tifosi, è caduto anche l’ultimo ostacolo alla realizzazione della più grande acquisizione di un club di calcio da parte dei tifosi nella storia del Regno Unito. Nei prossimi mesi, completati i relativi passaggi, il Portsmouth FC diventerà proprietà del Pompey Supporters Trust (PST): un’associazione nata dal basso che attraverso collette, organizzazioni di partite amichevoli e il contributo degli azionisti, è riuscita a salvare il club dal fallimento. Una svolta storica, che propone l’azionariato popolare come alternativa più credibile a quelle proprietà – spesso difficili da rintracciare nella miriade di holding dietro cui si nascondono – che utilizzano le squadre di calcio come lavanderie, e poi le lasciano fallire scappando con il bottino. Che il tutto avvenga poi a pochi giorni dal decesso di Margaret Thatcher, che dell’ingresso del calcio nei paradisi fiscali della finanza è stata la grande artefice, è la nemesi della storia.
In Inghilterra e non solo, l’ultraliberismo applicato al pallone ha creato enormi bolle finanziarie, esplose una dopo l’altra. Dal Leeds al Charlton, dal Crystal Palace al West Ham, fino ai Rangers Glasgow nella Premier scozzese, tutte hanno toccato il cielo con un dito e poi sono precipitate nell’inferno del fallimento. E molte altre squadre, anche di primo livello, oggi tremano sotto il peso dei loro debiti. E la storia recente del Portsmouth è esemplare per raccontare la deriva della gestione economica del calcio nel Regno Unito. Agli albori del millennio il club è venduto dal serbo Mandarić al milionario franco-russo Gaydamak, che ne trasferisce la proprietà tra il Lussemburgo e le Isole Vergini e comincia ad acquistare campioni in serie, portando la squadra a vincere una FA Cup nel 2008. Ma più la squadra sale in classifica, più aumentano i debiti e spariscono gli asset solidi iscritti a bilancio. Gaydamak lascia il club a pezzi, millantando crediti.
L’anno dopo il Portsmouth è una girandola: cambiano ben quattro proprietari, e tutti passano il ‘fit and proper person test’ della federcalcio e della Lega, che dovrebbe garantire la solvibilità dei proprietari ma si dimostra facilmente aggirabile. Nelle mani dell’ultimo, un oscuro affarista di Hong Kong, nel 2010 la società è messa in amministrazione controllata per evitare il fallimento e, penalizzata di 9 punti, retrocede in seconda serie. I debiti ammontano a centinaia di milioni di sterline, e qualche mese dopo il tribunale fallimentare ne decreta la liquidazione. Ma ecco che rientra in scena Gaydmak, che si riprende la società come pagamento dei crediti del club nei suoi confronti, salvo poi cederla nel 2011 al lituano Vladimir Antonov, su cui pendono mandati di cattura internazionale per il fallimento di alcune banche. Anche qui l’apposito esame ‘fit and proper’ non è riuscito a scoprirlo, evidentemente abbagliato dal movimento di milioni fittizi che passano di mano in mano.
Per il Portsmouth è la fine. Ulteriore penalizzazione, retrocessione nella terza serie e dal 2012 i libri contabili di nuovo in mano al curatore fallimentare. E’ qui che entra in gioco l’azionariato popolare. Organizzato dai tifosi con l’aiuto di piccoli imprenditori locali, è previsto l’acquisto massimo di un’azione (prezzo minimo una sterlina) per evitare maggioranze mascherate. L’ultimo ostacolo è lo stadio, che la vecchia dirigenza non vuole cedere a meno di 12 milioni. Il PST ne offre 3, e il giudice Smith al termine di una giornata drammatica accetta l’accordo extragiudiziario a 3 milioni da lui caldeggiato. E anche lo stadio, ultima condizione necessaria, passa in mano ai tifosi che ora potranno procedere con l’acquisto del club: che come da statuto ritornerà ad avere lo scopo di migliorare il benessere della comunità, e non di creare profitto.