Tra governo da formare, Presidente della Repubblica da eleggere e parlamento da occupare, una notizia è passata piuttosto inosservata, e invece dovrebbe far riflettere: l’Italia è il fanalino di coda d’Europa per numero di laureati. Lo ha rivelato l’ufficio delle statistiche europeo Eurostat che attesta al 21,7% i giovani italiani tra i 30 e 34 anni con una laurea a fronte di una media europea del 35,8%. Peggio di noi nessuno tra i 27 Paesi Ue, nemmeno gli ultimi arrivati nell’Unione ben più poveri di noi ma, a quanto pare, più istruiti.
Dati alla mano, in Italia i laureati sono solo il 21,7% (17,2% fra gli uomini, 26,3% fra le donne), mentre nell’Europa a 27 la media è del 35,8% (31,6% fra gli uomini, 40% fra le donne). Come detto peggio di noi nessuno. A noi si avvicinano solo Romania (21.8%) e Malta (22.4%). In Grecia, tanto per fare l’esempio di un Paese che non se la passa bene economicamente, i laureati sono al 30,9% (27,6 uomini e 34,2 donne).
Se si guarda la cima della classifica c’è da sentirsi male. Al primo posto c’e’ l’Irlanda (51,1%), poi Cipro (49.9%), Lussemburgo (49.6%) e Lituania (48.7%). seguono a ruota Inghilterra (47,1%), Francia (43,6%), Spagna (40,1%) e Germania (31,9%).
Ma attenzione, in qualcosa eccelliamo pure noi: gli abbandoni universitari. Sempre Eurostat indica che in Italia chi abbandona il corso di studi è il 17,6%, una situazione migliorata rispetto al 2005 quando era il 22,3, ma a rallegrarsi ci vuole davvero coraggio, o incoscienza. Per capire meglio questo dato bisogna confrontarlo con gli abbandoni in Irlanda (9,7), Repubblica Ceca (5,5), Danimarca (9,1), Lussemburgo (8,1). Simile all’Italia solo la percentuale di abbandoni di Spagna (24,9), Malta (22,6) e Portogallo (20,8), Paesi però colpiti da una pesante crisi economica (Malta è una delle prossime papabili a cadere sotto i colpi della crisi insieme alla Slovenia).
Nonostante il panorama apocalittico descritto da questi dati europei, la notizia in Italia è passata quasi inosservata. Il tutto è stato liquidato con poche righe pubblicate sui giornali in mezzo al fiume in piena di parole spese per descrivere questo o quello scenario politico futuro, il Pd che si allea con il Pdl, il M5S che dice “no” al Pd, il PD che si spacca, e così via. Il fatto che i giovani italiani studino sempre meno non fa notizia.
D’altronde come si giustifica questo trend? Forse perché non hanno bisogno di studiare per trovare lavoro? I dati sulla disoccupazione smentiscono questa ipotesi. Forse perché il mercato del lavoro italiano non ha bisogno di ultra laureati? Se così fosse, la situazione sarebbe ancora peggiore. In un mondo ormai iper specializzato e globalizzato, dove la conoscenza è la chiave del futuro, la padronanza di più lingue sta diventando una necessità, l’economia e la finanza mondiale stanno vivendo una metamorfosi radicale, rinunciare a studiare e a innovare equivale ad un autentico suicidio.
Lo testimoniano le migliaia di giovani iper preparati che lasciano ogni anno l’Italia e trovano lavoro e fortuna all’estero. A Bruxelles, realtà che conosco personalmente, le istituzioni europee e il mondo che vi ruota attorno sono zeppe di giovani ragazzi e ragazze brillanti e di talento. Peccato che non possano esprimere le proprie capacità per il proprio Paese. Basta guardare il numero di domande italiane fatte per uno stage alla Commissione europea (marzo 2013): 2.535 su 10.747, uno su cinque (considerato che i Paesi Ue sono 27). Insomma, quanta voglia di andarsene!
Ciononostante tutto questo non fa notizia. La politica preferisce parlare di se stessa e baloccare nel suo teatrino, mentre il “giovane” viene tirato fuori solo in campagna elettorale, trattato ormai come il panda del Wwf, debole e in via d’estinzione. Chissà, forse perché in Italia di giovani ce ne sono sempre meno visto il bassissimo tasso di natalità, o forse perché parte di quelli che ci sono, si fanno la valigia e se ne vanno.
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