Voglio ringraziare pubblicamente la famiglia di Giancarlo Siani, il giornalista-giornalista massacrato dalla camorra, il 23 settembre del 1985 per aver messo alla porta tutti coloro che senza averne titolo hanno fatto la voce grossa alla proposta – legittima – avanzata dai deputati del Movimento 5 Stelle di “sostituire” Pinuccio Tatarella con Giancarlo Siani nell’intitolazione dell’aula di Montecitorio.

Paolo Siani, fratello di Giancarlo con parole desuete per l’epoca (rispetto, generosità, accoglienza e memoria) ha spiegato i motivi di quella iniziativa definita “inopportuna”. “Siamo onorati e contenti – scrive Paolo Siani – che il suo nome possa entrare in un’aula della Camera, è il miglior modo per onorare la memoria e per riaffermare con forza che la camorra non vale niente. Ci sembra però improprio e ci dispiace sinceramente apporre il suo nome in “sostituzione” di quello di Pinuccio Tatarella, una figura di intellettuale aperto al dialogo, oltre che personalità di rilievo di una determinata parte politica, e comprendiamo il dispiacere dei familiari a cui esprimiamo tutta la nostra vicinanza.

Non ci è mai piaciuto il metodo della contrapposizione o del contrasto tra il ricordo e l’onore reso a questa o quella vittima, a questa o quella personalità scomparsa”. “Sarebbe inopportuno, e per noi rappresenterebbe un grande dispiacere come lo è oggi per i familiari di Tatarella”. Giancarlo Siani è patrimonio di tutti. Sbagliano, in particolare, molti colleghi giornalisti quando “usano” il nome di Giancarlo per cucirgli addosso battaglie. Malevolmente utilizzano quel simbolo per costruire spot e carriere improvvisate.

Addirittura ci sono libri che nascondono trappole orrende e disgustose. Indegno. Subdolo. Mediocre. Paolo Siani, appunto, non a caso, parla nella sua lettera di “onorare la memoria”. Giancarlo non è un soprammobile da mettere in bella mostra e appropriarsene indebitamente quando tira il vento giusto. I furbi e i compagni di merenda lo sanno bene, specialmente a Napoli. Giancarlo rivive ogni giorno in chi non allineandosi cerca la verità, cerca di capire, cerca il meccanismo dietro le cose e pretende di raccontare. Fortapàsc, il film uscito nel 2009, diretto da Marco Risi, bene ci ha rappresentato chi era Giancarlo. Chi ci gira attorno e cerca la luce dei riflettori, lo fa solo per speculare. Le commemorazioni e l’odore della naftalina c’entra davvero poco con la breve vita di Giancarlo, uno normalissimo forse che neppure scriveva bene ma che faceva domande e voleva capire.

La lettera garbata della famiglia del cronista è attenta e di cuore. Parla con tono pacato di Pinuccio Tatarella di una “figura di intellettuale aperto al dialogo” senza contrapporsi. Questo è il metro di giudizio. Chi esce dal seminato lo fa solo per se stesso. Se ne fotte di Giancarlo Siani. Ci sono simboli che vanno oltre loro stessi. Sono patrimoni di valori e memorie che appartengono a tutti al di là delle appartenenze politiche, professionali e storie personali. Nessuno deve rubare, nessuno. Giancarlo – ad esempio – per tanti giovani cronisti è più vivo di quando era realmente vivo. Giancarlo – per dirla tutta -non appartiene neppure più alla sua di famiglia e questo lo sa bene Paolo. Giancarlo vive, si muove, si agita, si appassiona in tutti quelli che combattono le ingiustizie e pretendono non a chiacchiere un modo diverso, più giusto. 

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