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La decrescita non è chiedere l’elemosina

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Ho visto una signora ben vestita che chiedeva l’elemosina. Per la strada si vede sempre più gente che rovista nei cassonetti dell’immondizia per trovare oggetti che siano ancora utili. Al mercato rionale, quando i banchetti smontano, prima che arrivi la nettezza urbana è un brulichio di gente che cerca ortaggi o frutta che si possano ancora consumare.

I poveri sono tra noi. E sono sempre di più. In Italia 8 milioni secondo il recente rapporto Istat. Anche chi fino a qualche tempo fa riusciva a cavarsela, ora non arriva più alla fine del mese.

Perché dico ciò in un mio post? Perché non è questa l’immagine del mondo in cui si vive di poco. Non è questa la decrescita. Questa è solo un’altra faccia dello sviluppo e della crescita. La faccia da nascondere, di cui non parlare, di cui anzi vergognarsi. Non confondiamo, vi prego, la recessione che c’è e ci sarà sempre di più, con la decrescita.

La recessione non è e non può essere che la conseguenza non voluta ma necessaria dello sviluppo, perché non c’è uno sviluppo sostenibile con madre natura; la decrescita è una scelta di vita che armonizzi con madre natura.

Certo, fa specie parlare di decrescita oggi con la Monsanto, le sette sorelle, il cosiddetto “Brics”, ma i segni che tutto questo non funziona sono oramai evidenti intorno a noi. Ed anche certa scienza avverte. Jorgen Randers in “2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni”, di recente pubblicazione, sostiene che il sistema attuale potrebbe collassare nei prossimi decenni. Un po’ come quel tizio che cade dall’ultimo piano di un grattacielo e ad ogni piano mormora tra sé e sé che non si ancora fatto niente, l’umanità potrebbe improvvisamente implodere per cause imputabili ad essa, solamente ad essa.

Ma non è per questo che si dovrebbe cambiare rotta. Non per salvarci, ma per avere un mondo giusto, per stare meglio noi. Per non vedere la signora ben vestita tendere la mano all’incrocio della strada sotto casa.

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