Poco più di duecentomila voti. E’ questo il vantaggio che, a urne chiuse e risultato ufficiale proclamato, Nicolas Maduro, l’ex ministro degli Esteri indicato da l’ex presidente Hugo Chavez come suo successore, ha sul suo sfidante, Henrique Capriles, candidato unico dell’opposizione. “Risultato irreversibile” ha sottolineato più volte il Consiglio nazionale elettorale, l’istituto che regola il processo del voto, proclamando Maduro vincitore.
Ma Capriles, secondo un vecchio copione della destra antichavista, ha detto che non ci sta, che non considera “illegittimo il risultato” e chiede che “si ricontino tutte le schede”. Improbabile che un eventuale riconteggio, se gli verrà concesso, cambi il risultato. Se c’è una sola certezza in Venezuela, è che non sono possibili brogli nel sistema di votazioni. C’è una doppia identificazione degli elettori, prima con documento di identità e poi con impronta digitale. C’è una doppia certificazione del voto, prima emesso elettronicamente e poi inserito nell’urna attraverso uno scontrino cartaceo che certifica la votazione avvenuta. Impossibile votare più volte. Le operazioni di voto sono state monitorate da tre grandi gruppi di osservatori internazionali – gli osservatori di Unasur (Unione delle nazioni del sud, organismo multilaterale latinoamericano), gli osservatori del centro Carter e gli osservatori dello stesso Cne – oltre che da migliaia di rappresentanti di lista dell’opposizione presenti in moltissimi centri elettorali. La polarizzazione politica venezuelana, estrema e mai placatasi nei 14 anni di Chavez al potere, garantisce a ogni tornata elettorale (si è votato 18 volte dalla prima elezione dell’ex tenente colonnello alla presidenza nel 1998) una mobilitazione pressoché totale della società e un esercito infinito di rappresentanti di lista di entrambi gli schieramenti che si mettono a disposizione per sorvegliare il voto.
Una vantaggio così sottile però, consegna nelle mani di Maduro un risultato politico difficilissimo da gestire. Dovrà contrattare praticamente con l’opposizione, che gli ha già dichiarato guerra. E con gli avversari interni. Passata la burrasca dell’emergenza nazionale per difendere il risultato dalla aggressione della destra, le bande interne del chavismo, non tutte felici della candidatura di Maduro, presenteranno il conto. Diosdado Cabello – ex militare, potente presidente del Parlamento e referente politico della classe di nuovi ricchi cresciuti all’ombra della rivoluzione – ha già iniziato. Mezz’ora dopo la proclamazione del voto ha scritto sul suo account Twitter: dobbiamo chiederci perché le classi popolari scelgono in parte di votare per i loro sfruttatori. Difficile dirlo più esplicitamente. La linea politica va rivista, così si rischia di perdere, chiedono lui e i militari radicali a lui fedeli. Cabello non è un avversario da poco per Maduro. Ha una truppa di miliardari e, soprattutto, di ufficiali di rango, a disposizione. Ed ha molto carisma, una grande capacità di comunicazione politica e un enorme potere personale. Chavez, che non lo amava, non è mai riuscito ad allontanarlo completamente. Nel preferirgli Maduro come successore ha compiuto una chiara scelta di linea per il futuro della sua rivoluzione: non consegnare il Venezuela nelle mani dei soli militari. Maduro è un civile e ha posizione politiche molto meno radicali di Cabello. Ed è caro ai cubani, a differenza di Cabello che non ha ottimi rapporti all’Avana.
I prossimi giorni saranno quelli dell’unità chavista contro l’offensiva di Capriles, che dispone di falangi armate capaci di creare grossa tensione a Caracas. Ma, superata l’emergenza, arriverà l’ora dei lunghi coltelli dentro il chavismo. Con l’inflazione al galoppo, il cambio del dollaro di contrabbando al quadruplo del valore del cambio ufficiale e un debito gigantesco che i barili di petrolio non riescono a saldare, non sarà una passeggiata.