Azzeramento totale, dimissioni dell’intera segreteria, nuovo congresso. Scarico di responsabilità sui traditori, sui franchi tiratori e addirittura su Nichi Vendola, colpevole – con gli altri grandi elettori di Sel – di aver votato Rodotà. Del Pd restano le macerie, anche se tutte le figure principali cercano di salvare le forme. Addirittura Franceschini e Fioroni vorrebbero richiamare in servizio Bersani: “Ripensaci”. In realtà sembra già aperta la sfida per la successione. Da una parte il ministro Fabrizio Barca che è uscito allo scoperto chiedendosi come abbia fatto il Pd a non sostenere Stefano Rodotà, dall’altra Matteo Renzi che un po’ si schermisce e un po’ contrattacca: “Singolare e intempestivo”.
Non solo: sembra già aperta anche una delicatissima operazione di ricostituzione di una sinistra riformista che fa traballare non poco il partito democratico. La parola “scissione” non è mai stata sentita così vicina, probabilmente. Vendola ha già lanciato per l’8 maggio un “cantiere” della sinistra. L’elettorato del Pd è a dir poco disorientato: le bacheche facebook e le pagine twitter non sono certo un osservatorio attendibile, ma significativo quello sì. In pochi hanno capito il motivo della testardaggine con cui è stata respinta quasi con sdegno la candidatura al Quirinale di Stefano Rodotà. A meno che la spiegazione non sia quella di Anna Finocchiaro (che è la toppa peggio del buco): “Perché lo ha candidato il Movimento Cinque Stelle”. Oppure quella che hanno dato i “giovani turchi” e cioè che Rodotà non avrebbe comunque avuto i voti (un po’ come la volpe e l’uva: come se Marini e Prodi abbiano mai avuto i voti).
Terzo elemento. Il partito è entrato in un dispositivo di autodistruzione dove sembra un tutti contro tutti. Rosy Bindi denuncia che in Parlamento è stata eletta “gente inadeguata” e sbarra la strada a Enrico Letta premier (“Non è il momento”), Enrico Morando indica tutti i problemi nel non aver riconosciuto la sconfitta all’indomani delle elezioni, Beppe Fioroni spiega che bisogna smettere di guardare sempre a Firenze (Renzi) o a Genova (Grillo). Sono saltati tutti gli schemi. I teodem sono diventati tra i più vicini all’ex segretario Bersani, i “giovani turchi” (la corrente di sinistra di “giovani”, diciamo così) ora fanno asse con i renziani per quella che il Corriere della Sera definisce “rivoluzione democratica”.
PD VERSO CONGRESSO CON UNA REGGENZA – Il Pd apre il congresso anticipato che, forse attraverso una reggenza, porterà ad un nuovo leader ma, visti i passaggi, non prima di settembre. Nessuno, però, sa se per allora il partito esisterà ancora visto che la guerra intestina degli ultimi giorni, ammettono in molti, “ha fatto implodere il Pd’’. E il rischio che si paventa è che il Pd si spacchi in due, se non addirittura in tre, dopo che oggi l’endorsement di Vendola e Barca per Rodotà viene unanimemente interpretato come l’avvio dell’opa ostile sul Pd. L’ultimo giorno di Bersani da segretario finisce nella commozione in cui il leader si scioglie subito dopo la rielezione di Giorgio Napolitano, per il quale il segretario si spende dopo gli insuccessi per portare al Colle Franco Marini e Romano Prodi. L’ex leader lascia il testimone al vice, Letta, che però difficilmente guiderà, da solo, il partito fino al congresso. Sia perché, nonostante le smentite, Letta è dai più indicato come il vicepremier di un futuro governo del presidente. Sia perché in un partito del “tutti contro tutti” nessuno si fida più di nessuno, tantomeno del vice che per mesi ha sostenuto con lealtà le scelte del leader. “Basta con i soliti noti che fanno i soliti errori”, sentenzia Giuseppe Fioroni, che chiede una gestione collegiale.
BERSANI: “TUTTO IL PESO SU DI ME, DOVEVO TOGLIERMI DI MEZZO” – Sullo sfondo la spiegazione data dal segretario degli sforzi di queste settimane, delle guerre tra bande scoppiate anche sul voto per il presidente della Repubblica. “Serviva una scossa – dice a Repubblica spiegando le sue dimissioni – E adesso io sono più libero di fare politica e sono più responsabili i parlamentari di fronte agli eventi. Soprattutto di fronte alla scelta di eleggere un presidente della Repubblica”. Si sfoga: “In questi 55 giorni difficilissimi, il peso delle scelte del Pd è finito tutto su di me. Normale che fosse così. Mentre tentavo una strada complicava e cercavo di dare una risposta a un risultato elettorale impazzito, però, è venuta meno la solidarietà minima che dovrebbe esistere in un partito. Gli altri pensavano alle loro manovre, anche quando in gioco c’erano le istituzioni”. Insomma: “Il cerino finiva sempre nelle mie mani. Intanto, gli altri facevano i giochini”. Doveva finire lo scaricabarile, dice l’ex segretario, e il barile era lui. Poi c’era Renzi. “Ha cominciato a mettere veti – dice Bersani – sapendo che dopo toccava a noi risolvere i problemi. Marini e Finocchiaro erano due nomi su cui stavamo lavorando da tempo, poi è arrivato lui con il suo no. E noi dovevamo ricominciare daccapo”. Perché questo comportamento? Secondo l’ex capo del centrosinistra il sindaco di Firenze “negli ultimi giorni ha forse capito che stavamo per chiudere sul nostro schema. Lui invece doveva accelerare il voto perché sentiva che il suo treno passava adesso”.
FRANCESCHINI: “TRADITORI DA RINCORRERE CON UN BASTONE” – Ma, al di là delle rivalità personali, l’impressione è che il Pd negli ultimi giorni sia stato ridotto a “monadi” che vagano, polverizzando la “ditta”. Il punto di rottura è che, evidenzia un vecchio dirigente ex Dc, “nella Democrazia Cristiana e nel Pci ci si scannava dentro le riunioni ma poi, una volta votata la linea, ci si adeguava”. Ed invece sia su Marini sia su Prodi, si sono scaricati i franchi tiratori, i “traditori” come li ha bollati Bersani, dietro ai quali, sostiene Dario Franceschini, “bisognerebbe correre dietro con un bastone”. Timore che aveva fatto ipotizzare oggi di far segnare le schede per votare Napolitano perché, sostiene un dirigente, siamo ad un punto tale che “camminiamo come equilibristi del circo sul filo”.
Secondo l’ex segretario e ex capogruppo del Pd bisognerà respingere le dimissioni di Bersani “che paga colpe non sue”, chiedergli di gestire la fase che si apre per la nascita del governo poiché “con Grillo che parla di golpe e marcia su Roma abbiamo chiuso. Ora altri interlocutori per il governo” e poi bisogna costringere Sel ad ammettere “il grave errore” fatto votando Rodotà: solo così si può riprendere una strada insieme. La responsabilità di ciò che è successo, insomma, non è del Pd, ma di Grillo e di Sel.
BINDI: “RINNOVARCI MA NON CON UN’OPERAZIONE DI IMMAGINE” – Uno degli errori principali di Bersani, secondo Rosy Bindi (uscita allo scoperto nelle ultime settimane), è stato rinnovare solo per un’operazione di immagine, senza formare la classe dirigente. “Quei 101 franchi tiratori, giustamente definiti da Bersani traditori, non hanno la consapevolezza di cosa voglia dire fare i parlamentari – ribadisce oggi l’ex presidente del partito a SkyTg24 – Una delle responsabilità della segreteria è stata proprio questa: rinnovare una classe dirigente significa formarla, non fare solo un’operazione di immagine con primarie di due giorni”. La Bindi non fa nomi, ma certo quello di Alessandra Moretti, portavoce di Bersani che nel giorno in cui era candidato Marini ha votato scheda bianca, “è un esempio lampante di come non ci sia una classe dirigente formata”.
RISCHIO SCISSIONE A SINISTRA DEL PARTITO – Ora però si dovrà vedere quanto profonda è la ferita aperta nel partito. “Dentro il Pd c’è da fare una grande pulizia”, sospira Letta, sperando che basti a non fare dissolvere il partito. Ma i più giurano che il Pd si spaccherà e l’assaggio si avrà sulla fiducia al governo di larghe intese. Con molto sospetto, infatti, si guarda dentro il Pd alle mosse di Nichi Vendola sul “cantiere” della sinistra (che partirà dall’8 maggio). E al sostegno di Fabrizio Barca pro Rodotà che, spiega maligna una dirigente, “è una dichiarazione di intenti molto più efficace delle 47 pagine del suo manifesto”. Al nuovo partito di Barca sembra guardare il sindaco di Bari Michele Emiliano, alcuni esponenti della sinistra Pd ma, almeno per oggi, non i “giovani turchi” che puntano piuttosto alla scalata al vertice del partito in vista del congresso.
C’è poi un altro settore del Pd, i renziani, da sempre guardati con più sospetto, indiziati di poter uscire dal partito per fare un altro movimento magari insieme ad alcune aree di scelta civica. Ancora una volta Matteo Renzi smentisce: “Il Pd ha l’occasione di cambiare davvero, senza paura e noi ci proveremo”, sostiene aggiungendo di non sapere ancora se si candiderà al congresso. “Conta la sintonia con gli italiani. Per il congresso c’è tempo”, ha commentato il sindaco di Firenze a chi gli chiedeva di una sua possibile candidatura. Il rottamatore ha poi sentenziato: “Le vicende di questi giorni fanno pensare che o la politica cambia, o salta in aria“.
LE DIMISSIONI DI ROSY BINDI – Lo sfaldamento del Pd aveva preso forma dopo la debacle della candidatura di Romano Prodi come capo dello Stato, con le dimissioni prima della stessa Bindi, che si è autosollevata dall’incarico di presidente dell’Assemblea nazionale e poi con quelle del segretario Bersani. Pezzo per pezzo il partito democratico ha visto cadere i suoi vertici. Rosy Bindi, prima dell’assemblea del partito al Teatro Capranica, si era congedata con parole d’accusa: “Non sono stata direttamente coinvolta nelle scelte degli ultimi mesi né consultata sulla gestione della fase post elettorale e non intendo perciò portare la responsabilità della cattiva prova offerta dal Pd in questi giorni”.
BERSANI: “UNO SU QUATTRO HA TRADITO” – E l’addio di Bersani è stato ancora più drammatico. “Abbiamo prodotto una vicenda di gravità assoluta, sono saltati meccanismi di responsabilità e solidaretà, una giornata drammaticamente peggiore di quella di ieri”, sono le parole con cui il segretario saluta la platea del teatro romano. “Uno su quattro ha tradito, per me è troppo”, è l’accusa che Pier Luigi Bersani ha lanciato ai suoi, riferendosi all’ultima votazione per l’elezione del presidente della Repubblica. “Ci sono pulsioni – ha aggiunto Bersani – a distruggere il Pd“. E il segretario si è arreso.