Il governo Napolitano-Berlusconi con la faccia dell’ex craxiano Giuliano Amato nasce da una “lezione di politica e matematica figlia della grande storia amendoliana”. A Fabrizio Cicchitto brillano gli occhi nel cortile di Montecitorio. A lui, come a tantissimi altri parlamentari del Pdl. “Giorgio uno di noi”, il refrain del Pdl. L’ex socialista Cicchitto, falco del Pdl, non a caso cita Giorgio Amendola, leader della destra del Pci, maestro di “Re Giorgio” e padre putativo dei miglioristi, sempre sconfitti nel vecchio Partito: “Napolitano si è levato sassolini dalla scarpa a partire dal ‘63-‘64, ha fatto a pezzi tutti, da Ingrao a Berlinguer”.
ORIGINA DA LÌ, dall’eterno pragmatismo togliattiano, l’imposizione urbi et orbi delle larghe intese alias inciucio. Napolitano, per dirla con alcuni senatori del Pd, entusiasti, ha fatto un triplo discorso della Corona: “Da presidente della Repubblica, da presidente del Consiglio, da segretario del Partito”. Prendere o lasciare. Aggiunge un altro democrat: “A un certo punto ho pensato che indicasse pure la lista dei ministri per poi farci votare la fiducia”. La casella più in alto della lista, quella riservata al premier, ha solo un volto nella testa e nel cuore del quasi ottantottenne capo dello Stato: Giuliano Amato, emblema della Casta con la nota superpensione da 31mila euro al mese, unico vero ostacolo per farlo digerire al Pd devastato. I due, “Giorgio” e “Giuliano”, si sono anche sentiti per telefono ieri. Scambio di opinioni e anche altro, forse. Conferma un probabile ministro del Pd, a microfoni spenti: “Amato ha il 70 per cento di probabilità di fare il premier”. La verità, come dice sempre Cicchitto è che “le danze si aprono solo adesso”. In ogni caso, per Napolitano, l’eventuale incarico ad Amato entro giovedì ha anche una chiave sul lungo periodo: il premier del nuovo inciucio potrebbe essere il successore del capo dello Stato tra due anni, quando “Re Giorgio” compiuti 90 anni si dimetterà in virtù di quello che qualcuno chiama il “lodo Ratzinger”.
Dietro Amato, che ieri si è scagliato contro la Rete – “50mila persone che la usano non sono il popolo” – spuntano altri nomi per la poltrona di premier. Politici e tecnici. Per i primi: Matteo Renzi, se non altro per sparigliare il gioco imposto da Napolitano, in quanto “commissario del Partito”; il vice di Bersani Enrico Letta, futuro reggente del Pd; persino Massimo D’Alema. Per i secondi: Anna Maria Cancellieri, il sociologo Giuseppe De Rita, il redivivo Corrado Passera. A queste soluzioni va infine aggiunta l’ipotesi istituzionale, con il solito Pietro Grasso, presidente del Senato. Se a presiedere il consiglio dei ministri sarà Amato, oggi figura collocata tra le riserve della Repubblica, toccherà ai vice-premier dare sostanza e solidità politica all’esecutivo. Il ticket più quotato mette insieme due quarantenni: il già citato Letta, peraltro nipote di Gianni gran ciambellano berlusconiano, ed Angelino Alfano. Il loro impegno rappresenterebbe ai massimi livelli il connubio Pd-Pdl. Anche per questo non è scontato. Per esempio, nel Pdl, sono forti le ambizioni di Renato Schifani: prenderebbe volentieri il posto riservato in teoria ad Alfano. La delegazione berlusconiana dovrebbe essere nutrita. Il Cavaliere ha fatto sapere che vuole un “risarcimento consistente” per le dimissioni date nel novembre di due anni fa. Il criterio dovrebbe essere quello di pescare tra “i ministri di quell’esecutivo”, tipo Maria Stella Gelmini all’Istruzione. Gaetano Quagliariello, sempre del Pdl, potrebbe invece entrare in quota “saggi”. Come lui anche il pd Luciano Violante (alla Giustizia), il montiano Mario Mauro e il leghista Giancarlo Giorgetti (ma per il Carroccio bisogna tenere conto del veto già posto su Amato).
LE SORPRESE PIÙ clamorose potrebbero arrivare dalla partecipazione democratica. Per sedare la guerra interna, si sta pensando a prestigiosi esponenti che non siedono più in Parlamento. I primi due sono D’Alema e Walter Veltroni. Ma c’è anche Pierluigi Castagnetti. Per i dicasteri economici sarebbero in corsa il lettiano Francesco Boccia e l’ex dg di Confindustria Giampaolo Galli, oggi deputato del Pd. Una casella sarebbe poi pronta per il neo-laburista Stefano Fassina, responsabile economia del Pd, dimissionario con tutta la segreteria Bersani. Ai renziani due ministeri, in ossequio agli equilibri interni: Sergio Chiamparino e Graziano Delrio. A differenza del compromesso storico, che aveva solo due protagonisti, Dc e Pci, il governo di salvezza nazionale Napolitano-Berlusconi-Amato vedrà sicuramente l’ingresso di una terza forza: i centristi di Scelta Civica, il polo moderato messo su Mario Monti, attuale premier. Il Professore potrebbe traslocare agli Esteri, mentre la Cancellieri rimarrebbe all’Interno. Conferma scontata pure per Enzo Moavero Milanesi. Il parco tecnici avrebbe però la sua punta di diamante in Fabrizio Saccomanni, dg di Bankitalia, seguito dallo scienziato Mauro Ferrari e dai saggi Pitruzzella e Giovannini. Il totoministri entra nel vivo: oggi le consultazioni e lunedì, massimo martedì la fiducia in Parlamento.
da il Fatto Quotidiano del 23 aprile 2013