Fiumi di denaro pubblico investiti. E ancora nessuna decisione su quello che l’Expo lascerà ai cittadini. Doveva essere pronto entro aprile il progetto sul destino post 2015 delle aree che ospiteranno l’esposizione universale. Almeno secondo quanto annunciato sette mesi fa dalla società pubblica Arexpo, che possiede i terreni. Ma sul futuro dell’area a cavallo tra Milano e Rho dopo il 2015 non se ne saprà nulla ancora per un po’. Probabilmente fino a giugno o luglio, trapela dagli uffici di Palazzo Marino. Così ai tanti ritardi che sin dall’inizio accompagnano l’evento che avrebbe dovuto trasformare il volto della città, ora se ne aggiunge uno nuovo. E l’eredità dell’Expo, quello che rimarrà ai cittadini una volta che saranno smontati i padiglioni, rischia di essere un flop. O di trasformarsi in un’operazione di speculazione immobiliare dagli esiti incerti.
Del resto su quello che sarà il grande lascito alla collettività poco è stato chiarito. E un intervento di vaste dimensioni all’insegna del mattone sugli oltre 1,1 milioni di metri quadrati dell’area sarà con ogni probabilità una scelta obbligata. Perché i terreni, che erano in gran parte proprietà della Fondazione Fiera Milano e della società Belgioioso della famiglia Cabassi, sono stati pagati 164,9 euro al metro quadro da Arexpo, la società costituita da Regione Lombardia e comune di Milano, che ne detengono il 34,67 per cento a testa, oltre che da Fondazione Fiera (27,66 per cento) e, con quote marginali, dalla provincia di Milano e dal comune di Rho. Il totale pagato da Arexpo è di 151 milioni di euro, che una perizia dell’Agenzia delle entrate ha giustificato solo in virtù delle future potenzialità di espansione immobiliare dell’area. I piani previsionali di Arexpo stimano di vendere l’area, una volta terminata l’esposizione, intorno a 305-330 milioni di euro. Una cifra necessaria a far rientrare le casse pubbliche dell’investimento per l’acquisto dei terreni a cui vanno sommate tutte le spese notarili, gli interessi e gli oneri di infrastrutturazione dell’area. Alla fine, se il piano di cessione verrà rispettato, l’investimento di Arexpo avrà un rendimento che non andrà sotto il 2,5 per cento.
Sul ritorno dell’investimento, però, pesa la crisi del mercato immobiliare. E pesa una delibera che, nel luglio 2011, Palazzo Marino ha approvato in modo ambiguo. Poco dopo essersi insediato, il consiglio comunale a tinte arancioni ha dovuto dare in tutta fretta il suo ok all’accordo di programma ereditato dall’amministrazione Moratti. La delibera ha messo in evidenza tre punti per garantire l’interesse pubblico del dopo Expo: la creazione di opere al servizio della collettività, la costruzione di 30mila metri quadrati di housing sociale e il mantenimento di un parco che coprirà 475mila metri quadrati dei circa 900mila che ricadono nel comune di Milano (189mila metri quadri appartengono al comune di Rho).
Ma accanto a questi punti ci sono aspetti che con i vantaggi della collettività rischiano di non avere nulla a che fare. E di favorire invece gli interessi di immobiliaristi e imprenditori. Perché gli indici dell’area Expo consentiranno di costruire, oltre ai 30mila metri quadri di edilizia sociale, più di 500mila metri quadri di residenze e negozi, a cui si aggiungeranno altri 160mila metri quadri se le strutture permanenti, come il Padiglione Italia e l’anfiteatro, verranno destinati a funzioni pubbliche anziché private.
Una colata di cemento a cui con una mano il consiglio comunale ha dato il suo benestare. Mentre con l’altra mano cercava di mettere un limite alla cementificazione, approvando una mozione che impegna la giunta a ridurre la volumetria rispetto al massimo edificabile, aumentare le dimensioni del parco e, per quanto riguarda l’edilizia residenziale, puntare soprattutto su housing sociale e abitazioni per ricercatori e studenti. Richieste che, per quanto siano state votate, sono difficili da rispettare. Dal momento che meno mattone significa meno denaro da fare rientrare nelle casse pubbliche. Con la conseguente creazione di un buco a cui dovranno fare fronte con i loro soldi i cittadini stessi. E il pericolo per l’amministrazione di incorrere in un intervento della Corte dei Conti.
E’ su questa contraddizione che si stanno arrovellando gli uomini di Pisapia. All’interno della commissione di Arexpo che si occupa della questione, la palla è in mano a loro. Certo, un accordo andrà anche trovato con la nuova giunta lombarda guidata da Roberto Maroni. Ma determinante sarà la partita da giocare internamente, a Palazzo Marino. Per trovare una via d’uscita tra la necessità di rientrare dei costi e quella di puntare il meno possibile sul mattone. Sono questi dubbi, oltre alla pausa imposta dalle elezioni di febbraio, ad avere causato il ritardo nella decisione del post Expo. Un ritardo che si aggiunge a quelli provocati in passato dai litigi tra Letizia Moratti e Roberto Formigoni, oltre che dalle indecisioni del governo Berlusconi. E che si aggiunge ai ritardi accumulati da tutti i cantieri delle opere esterne all’area Expo, siano essi autostrade, parcheggi o nuove linee del metrò, e dai lavori interni all’area. Con tutti e due gli appalti principali, quello per la rimozione delle interferenze e quello per la costruzione della piastra, finiti sotto inchiesta per turbativa d’asta.
Così non si ha alcuna certezza su ciò che sarà ultimato il primo maggio 2015, giorno dell’inaugurazione. Come non si sa che cosa diventerà l’area alla fine dei sei mesi di esposizione. Le proposte che sono state fatte nei mesi scorsi sono via via tramontate, una dopo l’altra. Dalla cittadella della giustizia alla nuova sede Rai, fino allo stadio dell’Inter. Ultima idea, quella di Carlo De Benedetti, che ha proposto all’amministrazione comunale di dar vita a un “incubator”, ovvero “una cittadella che dia le infrastrutture perché possano nascere aziende in campo tecnologico”.
Una sollecitazione a Comune e Regione sul tema del post Expo è arrivata anche da Giuseppe Sala, amministratore delegato di Expo 2015 spa, la società a cui è affidato il compito di preparare l’area e di gestire l’evento. Per ora le istituzioni tacciono. Mentre sempre più probabile diventa un nuovo mega quartiere residenziale. Che sorgerà accanto ai 530mila metri quadrati di Cascina Merlata, altro tempio del cemento pensato per 8mila abitati nell’era Moratti. Qui le ruspe hanno appena iniziato a scavare, a poche centinaia di metri da quelle che preparano l’area per Expo. E che a fine 2015 torneranno per trasformare di nuovo la zona. Con un futuro che è già minato da un peccato originale, avere voluto un’esposizione universale su terreni privati.
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